di Marco De Coppi, Alessio Gamba, Claudio Onofrietti, Valentina Paiano, Michela Tilli
Durante l'adolescenza il corpo si trasforma, le emozioni prendono nomi sconosciuti e intorno ruota un mondo da scoprire.
Nel passaggio tra la scuola media e quella superiore gli adolescenti entrano in contatto con il mondo degli adulti, di cui ancora non conoscono le regole ma nel quale, affamati, cercano il loro posto.
È quello che succede ad Alice, ragazza timida, un po’ chiusa, alla sua prima festa. I suoi genitori si stanno separando e lei cerca nuovi punti di riferimento. C’è Martina, la sua nuova amica del cuore, che la sprona a sperimentare tutto perché la vita è una sola e loro sono pronte ad affrontare il mondo mano nella mano. C’è Sam, il perfetto migliore amico, quello di cui fidarsi e con cui fare un patto per il futuro.
E poi c’è la musica, l’alcol e le droghe. Alice non è molto convinta, però cerca di essere al passo con i coetanei, con la vita. Ma la festa a poco a poco si trasforma in un incubo. Se potesse scegliere un superpotere, Alice vorrebbe tornare indietro nel tempo e cambiare le cose.
(Dalla sinossi dello spettacolo teatrale “D.A.S. Dai forma al tuo futuro”, di Michela Tilli e regia di Valentina Paiano. Con Maurizio Brandalese, Marta Lucini, Valentina Paiano, Alessandro Treccani. Contributo scientifico di Marco De Coppi e Alessio Gamba. Produzione Compagnia Teatro Binario 7)
D.A.S. e la genesi del testo.
Note di drammaturgia, a cura di Michela Tilli
Quando Valentina Paiano mi chiese di scrivere la drammaturgia di “D.A.S.: droga, alcol, sesso – dai forma al tuo futuro”, la pandemia di Covid doveva ancora arrivare a sospendere le nostre vite. In quel 2019, che ora mi sembra così lontano, stabilimmo un titolo come indicazione di intenti. In testa avevamo solo due cose ben chiare: il teatro e gli adolescenti. Avrei scritto di loro e per loro (forse con loro), Valentina avrebbe creato e diretto lo spettacolo. Entrambe vicine al mondo dei giovanissimi per lavoro e vocazione, sapevamo che era quello che volevamo fare, anche se non sapevamo ancora dove la nostra collaborazione ci avrebbe portato.
Avevo già scritto di adolescenza, in romanzi, racconti e anche per il teatro. Avevo iniziato a occuparmene quasi inconsapevolmente, per poi rendermi conto a posteriori, grazie al dibattito pubblico con una psicologa in una biblioteca di Savona, che era uno dei temi su cui si focalizzava tutto il mio lavoro. Al centro delle mie storie c’erano sempre degli adolescenti, raccontati nel loro rapporto con la famiglia, spesso con le madri, oppure colti in relazione ai coetanei, agli amici per la vita, ai primi amori.
Proprio durante la stesura di D.A.S. cominciai a riflettere sul significato di queste scelte e sulla portata della richiesta che mi era stata fatta. Sentivo che l’adolescenza non era un tema fra i tanti, ma aveva a che fare prepotentemente con la scrittura e anche con il teatro, come quando si incontra un nodo con il pettine e si deve scioglierlo prima di poter andare avanti. Se avessi potuto confrontarmi subito con Marco De Coppi e Alessio Gamba, gli psicologi che a un certo punto si sono uniti al gruppo di lavoro, forse avrei capito prima molte cose. Ma forse non avrei avuto le domande giuste da porre e non avrei apprezzato così tanto il percorso nato da quell’incontro tra l’espressione artistica e il pensiero profondo sul senso e sull’esistenza.
Scrivere, nel senso di raccontare storie, è un’attività che affonda le radici nel tempo delle origini dell’umanità. Fu forse quando circa cinquemila anni fa i nostri antenati iniziarono a scrivere che si sviluppò la mente come (in parte) la conosciamo noi oggi. Scrivere significa affondare ogni volta nelle origini, cercare di raggiungere la fonte, ascoltare ciò che ne scaturisce. E che cos’è l’adolescenza se non l’età delle origini, quando l’adulto che sarà comincia ad affacciarsi alla vita? L’adolescenza, non a caso l’età evolutiva, è l’età delle prime volte, dei tentativi, delle possibilità, il cui ventaglio andrà poi irrimediabilmente a restringersi. Era questo il pensiero che mi ossessionava. La passione per le origini, la vertigine che abbiamo quando ci sembra di capire dove ogni cosa ha avuto inizio.
E così venne fuori la storia di Alice, alle prese con i primi incontri con ciò che rappresenta di volta in volta e a seconda dei punti di vista fonte di piacere ed estasi oppure pericolo mortale; Alice alle prese con i cambiamenti del corpo e delle relazioni; Alice che affronta la separazioni dei genitori e gli scombussolamenti dell’amore. Accanto ad Alice ci sono due coetanei, Martina e Samuele, e anche due personaggi particolari, un coniglio di pezza e la madre da giovane, portati in scena dalle sue allucinazioni durante una festa, che è il tempo in cui tutto accade.
Eravamo pronti a partire, quando l’emergenza sanitaria ci bloccò. Nel frattempo era nata l’esigenza di confrontarci con degli esperti dei problemi adolescenziali, che ci aiutassero anche a mediare il rapporto con le famiglie e gli insegnanti su temi tanto delicati. L’affinità fra teatro e psicologia è ben chiara a chiunque sia venuto a contatto per qualche motivo con l’uno o con l’altra. E così sfruttammo il nuovo tempo a disposizione per organizzare degli incontri di lavoro. Prendemmo coscienza del testo in modo diverso. Qualche dettaglio cambiò. Ma soprattutto, a quel punto, la nostra regista era pronta a trasformare quello che avevamo fatto fino a quel momento in un modo che solo il teatro, con la forza e l’attualità della sua presenza, può fare.
Da dove parte un’idea?
Note di regia, a cura di Valentina Paiano
D.A.S. è l’acronimo di droga, alcool e sesso. Questo il campo d’azione che mi interessava investigare. La composizione di questa parole ne rivela un’altra: il gioco dei bambini con il pongo plasmabile. Ecco che si modella il sottotitolo: dai forma al tuo futuro. Questa “casualità” ci ha aiutato a dare la strada del racconto che volevamo portare in scena: parlare di alcool, droga e sesso ai ragazzi dai 12/13 anni in su è complesso, delicato e anche ambizioso. Ma abbiamo così intuito che il nostro desiderio era approfondire il tema del cambiamento, della necessità di confronto con l’adulto e della fragilità con cui i ragazzi affrontano sia questi temi ingombranti sia alcuni passaggi della vita.
Lo spettacolo doveva debuttare il 13 marzo 2020, periodo ormai segnato in modo indelebile nella nostra immaginazione dalla pandemia che sta caratterizzando questo periodo storico. Il 9 marzo, in un teatro vuoto, con un pubblico composto solo da alcuni stretti collaboratori, portiamo in scena la prima versione dello spettacolo. Le nostre vite stavano per essere mandate all’aria. Un cambiamento mondiale stava iniziando e noi su quel palco portavamo in scena un’idea registica (la mia) semplice, a tratti banale, che seguiva fedelmente la drammaturgia composta da sette lunghe scene, nel goffo tentativo di raccontare in cinque attori una festa piena di adolescenti, ambientata in luoghi fissi che non ero riuscita a far esplodere in immaginari possibili e un’evoluzione della psiche dei personaggi lineare e coerente.
Usciamo dal teatro lasciando tutto così com’era. Quando tre mesi dopo ritorno sul palco, i teatri sono ancora chiusi per decreto. La scenografia è rimasta lì, immobile, pesante e impolverata. Capisco che è lo stesso strato di polvere che sentivo nella messa in scena. Così comincio a smontare gli elementi scenografici come nella testa comincio a smontare la regia.
Quando ormai due anni dopo si riesce finalmente a riprendere lo spettacolo, sento che è ora del cambiamento e rubo da quello che la vita ci aveva raccontato fino a quel momento. Rubo con uno sguardo più attento il nutrimento mediatico dei ragazzi riportando al centro il senso del lavoro: la confusione di una festa, la confusione del corpo che cambia, la confusione dell’assunzione di sostanze, la confusione della crescita.
Parlo con Michela Tilli, l’autrice che con me ha affrontato questa sfida. L’idea è riprendere il testo, ora che gli attori hanno interiorizzato tutti i passaggi necessari per lo studio di un personaggio, dal suo punto di partenza, seguendone l’evoluzione e il punto di arrivo. Le chiedo di arrivare insieme a me all’osso di ogni parola strettamente necessaria al racconto, ai rapporti di cui parliamo, togliendo tutto ciò che naturalmente serve in alcune drammaturgia per “spiegare”. Da 46 pagine di copione arriviamo a poco più di 20. Le sette grandi scene a questo punto vengono frazionate ancora di più e diventano 31 micro scene.
Primo giorno di prova. Taglio fisicamente la carta e lancio in aria tutti i pezzetti della nostra storia. Con i miei fedeli compagni di viaggio raccogliamo le scene e creiamo un nuovo copione. Si salta da un discorso all’altro, da un rapporto all’altro. Il tutto ha dell’assurdo a tratti, ridiamo per le fughe che la protagonista deve fare tra un compagno e l’altro e per la fatica di ricordare: cos’è che devo dire ora?
Ma poi il caso in teatro non esiste, esiste solo l’illuminante organizzazione del caos. E così è stato. In due giorni i pezzi cominciano a prendere il loro posto, le immagini a nutrirsi, le ripetizioni diventano funzionali e le figure tra il poetico, l’onirico e il crudele raccontano quello che succede dentro e fuori una festa fatta di alcool, droga, sesso e soprattutto Vita, quella delicata che unisce gli amici, quella fragile che ti fa fare passi avanti avventati e immobili danze imbarazzate. La vita di giovani ragazzi che si muovono alla ricerca di una mano senza sapere dove allungare il braccio, tra mostri veri e pupazzi a cui non si vuole rinunciare, tra voglia di dire e parole che mancano, tra percorsi calpestati inconsapevolmente e futuri da costruire.
Un grande tulle bianco scherma il palcoscenico e l’intera storia per incuriosirci e portarci a compiere un passo attraverso e verso la protagonista, la sua mente e il suo cuore. Perché dobbiamo vivere un viaggio con lei, nella sua esperienza, con le sue scelte e le sue paure, con i suoi mostri e il suo peluche, tra amici, amori e tentazioni, con la mamma bambola e la sua voce strozzata. Solo poche scene avvengono fuori da quello schermo. Il prologo che vede due amiche “prima che tutto succeda” guardare il mondo degli adulti che hanno di fronte con tutti i suoi paradossi e le sue ambiguità, e l’epilogo, perché un viaggio può essere infernale, ma noi crediamo fermamente che quello che serve oggi è parlare ai ragazzi di futuri possibili, di incontri che fanno tremare il cuore e di costruzione che non abbia schermi davanti, ma mani, gambe, visi, uomini e donne che crescono e si ritrovano.
Non so se il Teatro può tutto questo. Spalancare le porte alle possibilità, all’importanza di come decidiamo di essere uomini e far nascere le domande che servono a sentirci parte di un tutto. Ma noi artisti, privilegiati raccontastorie, abbiamo la necessità, il coraggio e il dovere di farlo soprattutto quando parliamo a giovani in cammino, a genitori in bilico e umani che si siedono e ascoltano la nostra storia.
A teatro con lo psicologo
A cura di Alessio Gamba
La visione di uno spettacolo teatrale non è solo quello che si vede con gli occhi, ma è anche l'impatto sensoriale dell'acustica e delle luci oltre che quello che si respira con/attraverso il pubblico, nei suoi commenti o nei silenzi.
A partire dalla rappresentazione teatrale (il punto di arrivo) condivido qualche pensiero sparso, che riguarda non solo il testo, ma anche la regia e il mio utilizzo da spettatore. Per economia non vado in ordine, ma metto i pensieri come mi vengono.
Nella rappresentazione di D.A.S. sono stato molto colpito dalla presenza del buio, che non è solo un artificio teatrale, ma anche messaggio contenutistico e strumento teatrale. La sequenza che nasce da quel senso di interruzione delle luci e della visione (o di comparsa improvvisa, come nella colonna sonora) riporta da un lato al senso di vivere “momento per momento”, o ogni momento come se fosse l'unico, tipico degli adolescenti. La focalizzazione con occhio di bue isola il personaggio momento per momento, mentre lo sfondo diventa meno rilevante. La continuità (tema tipico degli adulti che hanno il “senno di poi”) non può essere un dato acquisito nell'adolescente e questo aspetto è stato ben rappresentato dalla frammentazione delle scene e dall'intreccio (talvolta apparentemente intricato e aggrovigliato, talvolta un po' surreale) di dialoghi, tempi, personaggi.
Anche l'uso del velo di tulle posto davanti al palcoscenico ha dato una dimensione onirica al tutto, delineando dei confini dentro/fuori, metacomunicando che una visione dicotomia o ingegneristica del mondo non corrisponde ai vissuti e alle storie che ognuno ha e che serve un po’ di flessibilità nel definire cosa sia reale e cosa no. Idem la musica, che mi è sembrata intervenire come il coro della tragedia greca, come voce parlante e altro attore/personaggio in scena.
Gli spazi vuoti, i discorsi lasciati in sospeso trovano dei rimandi in una prospettiva che mescola richiami impressionistici e surrealistici: dal coniglio parlante, al water. Qui viene alla mente Woody Allen di Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso e Provaci ancora Sam . Sempre Sam! E anche qui c'è Bogart...
Anche la chiusa finale di Marti-cazzo-cazzo-cazzo "Ti ricordi di Alice?" rimanda ad un ruolo attivo del pubblico che viene invitato a chiedersi di Alice, rispondendo in fondo alla stessa domanda rivolta a Sam-migliore-amico. Il pubblico diventa allora attore e parte della rappresentazione in un passaggio di consegne di pensieri, così che uno vada a casa e si chieda dove sia finita Alice. Credo che sia un po' il concetto del living theatre. Anche l'uso dei nomi rimanda ad una identità non virtuale ma non concreta, forse una identità multipla che prende un frammento e dà a questo una connotazione identitaria, parziale che richiede un lavoro di rielaborazione e di integrazione che sta in un futuro possibile.
Il tema del presente, del “qui ed ora” - con la fluidità delle atmosfere e dei momenti, all'intero dell'esperienza teatrale - mi sembra molto presente (cito una battuta dal film Casablanca: “Dove sei stato ieri sera? / È passato tanto tempo, non me ne ricordo. / Ci vediamo stasera? / Non faccio mai piani in anticipo”). Ma al contempo c'è un “tempo secondo” (o primo) che sta nella testa delle persone, anche legato a quell'effetto di destrutturazione temporale per cui compare Puzzipù e la madre-non ancora-madre, per cui si può voler cercare di “dimenticare il futuro”.
C'è un famoso testo di uno psicoanalista importante, W.R. Bion, che si intitola Memorie del futuro, forse c'era anche lui in scena.
Sono rimaste nel mio backstage psichico le domande che sono un motivo trainante della rappresentazione: "Dove cazzo siete?!?" è al tempo stesso una domanda e un'accusa. Questo aspetto di incompletezza è nello stesso momento un valore perché richiama all'autonomia e libertà di pensiero che viene lasciata a chi voglia rispondere a questa domanda, ma al contempo rimanda ad un aspetto di assenza e di vuoto, di desiderio e di speranza che interroga non a dare una risposta ma a chiederci chi sia colui o colei che si/ci pone questa domanda.
Anche i contesti di uso del termine “cazzo” mi sono sembrati del tutto intensi e appropriati, con un potere evocativo in cui la parola è un condensato di molteplici pensieri/sensazioni/dichiarazioni, in un sincretismo simbolico di mille ingredienti.
Su questo punto, mi sono trovato a recuperare confusi ricordi sulla Merda d'artista di Piero Manzoni (1961), in cui si intrecciano pensieri e provocazioni, trasgressioni e messaggi intono al tema della corporetà, del limite, della trasformazione creativa, di un personale percorso di identificazione e differenziazione, dal bisogno di espressione che si incarna nelle Impronte e le firme, il Fiato d’artista, la Merda….
In fondo tutto pertinente con il tema dell'identità e della corporietà, della personalizzazione. Oppure i quadri di Fontana e Burri, con le loro tele tagliate, lacerate, consumate, rovinate.
Questi temi sono ovviamente del tutto pertinenti all'adolescenza, ma anche al mondo degli adulti che cerca di dialogare con quello degli adolescenti; credo quindi sia del tutto evidente come lo spettacolo sia stato assolutamente nel mezzo della strada del cammin dell'adolescenza.
Sam: ...Martina?
Martina: ...Samuele!
Sam: Marti-cazzo-cazzo-cazzo!
Martina: Sam per gli amici!
Sam: Tutto bene?
Martina: Sì, grazie e tu?
Sam: bene, bene.. come mai qui?
Martina: sto aspettando un'amica... ti ricordi di Alice?
L'adolescenza di e in D.A.S.
L'ascolto psicoanalitico, a cura di Marco De Coppi
Chi si occupa di adolescenti a vario titolo (genitori, insegnanti, educatori, psicologi, psicoanalisti, eccetera) troverà in D.A.S. l'universo psichico in cui ragazze e ragazzi sono immersi in questa fase della vita caratterizzata dal “crescere” (adolescenza, dal latino adolescere = crescere) e, quindi, per definizione da cambiamenti e dall'incertezza.
Durante l'adolescenza il corpo si trasforma, le emozioni prendono nomi ancora sconosciuti e intorno ruota un mondo fatto di identità da scoprire.
Con queste parole, le autrici Michela Tilli e Valentina Paiano presentano il loro spettacolo e ci offrono già i 3 vertici da cui osservare gli adolescenti che mettono in scena: il corpo, le emozioni, l'identità.
Tre vertici strettamente interconnessi tra loro nell'accadere psichico dei giovani che attraversano le turbolenze tipiche del passaggio adolescenziale.
Alice prova delle forti emozioni. Forse è innamorata della sua amica Martina che sembra sempre così brillante e sa sempre cosa bisogna fare per essere vincenti. Martina, da parte sua, è spaventata dal futuro e la sua continua ricerca di azioni forti e situazioni sconvolgenti è solo un modo per riempire il vuoto. Invidia la semplicità e la chiarezza di Alice che ai suoi occhi è perfetta. Ma le due amiche, che potrebbero vivere pienamente le proprie emozioni e aiutarsi a vicenda a comprendere, sono invece travolte dalla potenza dei sentimenti e dall’incapacità di comunicare.
La psicoanalisi ci insegna che la costituzione dell'identità in adolescenza è sempre accompagnata dal sentimento perturbante dell’“estraneo familiare”: lo stesso corpo di prima che ora si trasforma espandendosi, le stesse emozioni di sempre che ora cambiano intensificandosi, gli stessi genitori di una volta che adesso diventano “più reali” perdendo la loro rassicurante onnipotenza e idealizzazione.
L'inquietante estraneità sollecita in ciascuno l'esperienza dello smarrimento e genera uno stato mentale di incertezza e attesa. Quell'attesa che il poeta romantico John Keats aveva ben colto e definito con il termine “capacità negativa”. In una celebre lettera del 1817, Keats descriveva la capacità del poeta di “trascendere i fatti della realtà visibile e conosciuta e di dimorare nel dubbio e nell'incertezza senza avere fretta di chiarire il mistero”.
E questa incertezza è ciò che attraversa e caratterizza anche le due adolescenti protagoniste principali di D.A.S.
In un tempo sospeso tra passato e futuro, comunque lontano da quello presente segnato da una pandemia che ha modificato anche le abitudini e i riti di passaggio degli adolescenti, le nostre protagoniste insieme a Sam si cimentano ad una grande festa con musica frenetica proposta da un dj che sembra spingere verso comportamenti maniacali. C'è il sesso un po' immaginato e un po’ vissuto nella sua acerba indefinitezza, ci sono i ricordi infantili che si incarnano nel rassicurante Puzzipù (il coniglio di pezza di Alice che fa il suo ingresso sulla scena “psichica” della ragazza quando la tensione sale alle stelle), ci sono l’alcol e le droghe come magici additivi per allontanare i problemi del quotidiano e l'angoscia del futuro. E poi ci sono anche genitori che si separano, padri che intessono nuove relazione con compagne quasi coetanee ai figli, insegnanti che bocciano e confrontano l'adolescente con i propri limiti e con il difficile compito di assumersi responsabilità verso se stessi e verso gli altri.
Ma l'incertezza per un “posto” non ancora trovato e un altro – quello dell'infanzia - “appena lasciato” fa barcollare e talvolta spinge a comportamenti risolutivi per placare l'angoscia che, dall'incertezza e dall'ignoto, deriva.
Ed è proprio in adolescenza - con i rapidi cambiamenti del corpo, la scoperta della sessualità, l'intensificarsi delle emozioni e la messa in discussione dei miti (e delle certezze) infantili verso una costruzione identitaria che si espande in orizzonti futuri – che l'essere umano si confronta con l'ignoto e l'incerto quale dimensione esistenziale perturbante con cui fare i conti e a cui cercare di dare un senso.
Di cosa avrebbero bisogno Alice, Martina e le altre e gli altri ragazzi della loro età? Informazioni ne hanno a sufficienza. Regole, forse, anche. Quello che forse manca è la possibilità di comunicare e la consapevolezza di non essere soli e, in questo, gli adulti con cui Alice, Martina, Sam e gli adolescenti tutti si relazionano giocano un ruolo importante.
La capacità negativa di “ignotizzare il noto” e di sapervi sostare è un elemento fondamentale per entrare in contatto con l'adolescente, per non lasciarlo solo e per poter insieme riflettere e dare significato alla scoperta dell'incerto e dell'indefinito quale conquista propria di questa fase della vita. Un buon incontro con l'adolescente può avvenire allora quando, dentro di noi, è in funzione quella “capacità negativa”, appunto, che ci permette di allontanarci dalle rassicuranti ma illusorie certezze della nostra realtà per aprirci al perturbante specifico dell'adolescenza e dell'esistenza tutta.
Il lavoro psichico del “negativo” destruttura cioè il nostro senso comune, il noto e il familiare, l'assolutezza del tempo presente e permette di generare parole condivise che ri-significano le fissazioni semantiche della lingua ordinaria aprendo a nuovi itinerari trasformativi della realtà interna ed esterna. Operazione questa, peraltro, tipica degli adolescenti che inventano sempre nuovi slang (“bella bro”, “scialla”, “'zzio”, “raga”, ecc.) per generare appartenenze gruppali e generazionali con funzione contenitiva di rispecchiamento dei processi di soggettivizzazione in corso.
Per parlare con gli adolescenti possiamo, forse, pensare alla “metafora” come fanno il teatro e la poesia che, attraverso possibili rappresentazioni di senso, non impongono direzione e significati precostituiti ma sostengono l'appropriazione personale e simbolica dell'esperienza soggettiva.
Riconoscere il potere della parola e della rappresentazione di senso significa cogliere e aiutare a trasformare i frammenti nascosti delle esperienze vissute e non vissute, i rumori della sessualità e dei cambiamenti del corpo, le inquietudini della scoperta del limite alla vita e a noi stessi.
Affrontare il lutto delle garanzie e delle certezze mitiche infantili, trovarsi ad affrontare una realtà complessa che si rifiuta di entrare negli schemi rassicuranti nei quali vorremmo imbrigliarla è un compito difficile e pur nello stesso tempo affascinante.
Possiamo vivere con passione questo compito, sostenuti da un'autentica curiosità che ci muove verso l'esperienza del reale e dalla consapevolezza di essere parte di una storia che ci ha generato. Oppure possiamo soccombere davanti alla perdita dei punti di riferimento che la rassicurante dipendenza infantile aveva promesso di fornire per un tempo illusoriamente indeterminato.
Rivolgerci agli adolescenti di oggi significa poterli pensare - e quindi aiutarli a pensarsi - come moderni viandanti davanti ad orizzonti incerti. Fiduciosi che possono essere capaci – perché noi stessi adulti ne siamo, o proviamo ad esserne, capaci - di una contemplazione errabonda dell'attesa, accompagnata da un'esperienza continua di chi siamo, del mondo che ci circonda e del tempo che ci attraversa e nel quale siamo immersi. Questo è il tempo dell’adolescenza, per sua natura tumultuoso, enigmatico ed in continua tensione emotiva, ma soprattutto un tempo denso di quelle straordinarie inquietudini ed incertezze che sono l’anima stessa della nostra intera vita (M. De Coppi, E. Simbari, Adolescenti oggi: sdraiati sulle ali di Icaro. Articolo pubblicato sulla rivista “Consultori Familiari Oggi,” N° 27; 2019/1, pp. 158-167).
Dietro il palcoscenico
A cura di Claudio Onofrietti
Lo scorso autunno Marco De Coppi, psicoanalista con la passione per il teatro, mi raccontò che lo aveva incuriosito il titolo di uno spettacolo in programma nel cartellone del Teatro Binario 7 che parlava di sesso, droghe e alcol tra gli adolescenti. Con Marco avevo già collaborato un paio di anni prima, organizzando insieme un incontro presso il Centro Culturale Ricerca (CCR) di Monza in occasione di uno spettacolo teatrale che affrontava il tema dell'ansia. Avevo un ottimo ricordo di quell’iniziativa, Marco esprimeva interesse per questi temi così delicati legati all’adolescenza e mi parlò dell’intenzione di coinvolgere un suo collega con una vastissima esperienza professionale in merito, il dottor Alessio Gamba. Insieme avremmo potuto immaginare una serie di eventi legati allo spettacolo, un incontro post spettacolo o un approfondimento dedicato ai ragazzi.
Ovviamente fui subito entusiasta della sua proposta, ma pensai che date le circostanze forse avremmo potuto rendere la collaborazione ancora più strutturale e prestigiosa. Il titolo in questione era D.A.S. Dai forma al tuo futuro, spettacolo di teatro ragazzi prodotto dal Binario 7, scritto da Michela Tilli su richiesta della regista Valentina Paiano, due donne abituate ad avere a che fare con gli adolescenti e che ai temi adolescenziali avevano dedicato gran parte del loro lavoro. Sarebbe dovuto andare in scena nel marzo del 2020 ma fu bloccato dalla pandemia. Dopo quasi due anni la regista sentiva la necessità di apportare delle modifiche, alcune dinamiche fra i personaggi erano da rivedere, il finale non era più convincente. Pensai quindi che sarebbe stato interessante far incontrare l’autrice e la regista di uno spettacolo che parla di adolescenti con uno psicoanalista e uno psicologo specializzato in età evolutiva. Ne sarebbe potuta nascere una collaborazione in grado di dare nuovi spunti, punti di vista diversi, nuova linfa a un lavoro che necessitava un’attenzione particolare al linguaggio e ai contenuti che voleva veicolare.
Grazie alla disponibilità di Marco e Alessio da una parte, e di Valentina e Michela dall’altra, nel corso dell’inverno 2021 quegli incontri hanno dato vita allo spettacolo andato in scena nel febbraio del 2022, con quattro repliche in tre giorni ed una serata di dialogo con il pubblico in sala sui temi dell'adolescenza.