Nel 1969 usciva “In the court of the Crimson King”, il primo alcum dei King Crimson. Alessandro Staiti lo celebra con un libro dallo stesso titolo: “Non considero il primo disco dei King Crimson un album progressive, bensi un album underground, oltre che un simbolo forte della controcultura di quei tempi.”
A cinquant’anni dalla sua pubblicazione, il primo disco dei King Crimson “In the court of the Crimson King” è ancora un album culto e punto di riferimento per gli amanti del “progressive” e non solo.
Alessandro Staiti, giornalista e scrittore che segue i King Crimson da molti anni, ha dedicato alla band inglese un libro che ha intitolato come quel famosissimo album.
L’ho incontrato per parlarne.
Scrivere un libro sui King Crimson non è facile, perché sono state scritti fiumi di parole. Come nasce questo tuo lavoro?
Questo libro nasce per passione. Anche se la prima volta che ascoltai “In the court of the Crimson King” non ne rimasi particolarmente colpito. Ero molto giovane e non destò in me particolare interesse. Fu solo riascoltandolo con attenzione molti anni dopo che ne rimasi talmente folgorato al punto che posso dire che quel disco ha cambiato il corso della mia vita. Provai una specie di shock nel rendermi conto delle contraddizioni interne che quel disco mi stava creando, dato che cominciai a provare emozioni molto forti legate a posti in cui non ero mai stato. Fu così che decisi di conoscere a fondo i King Crimson e Robert Fripp andando a cercare tutto quello che li riguardava. Documentandomi attraverso riviste inglesi e frequentando le discoteche venni in contatto con altri appassionati che mi hanno aiutato nella mia ricerca. Nel 1979 poi ebbi la fortuna non solo di vedere Robert Fripp, che era di passaggio da Roma per la presentazione del suo lavoro da solista, ma di di conoscerlo di persona. Quattro anni dopo fui il primo al mondo a pubblicare un libro su Robert Fripp e King Crimson, un libro che purtroppo incrinò il mio rapporto con Fripp. Fortunatamente riuscii a rimediare alla situazione quando gli feci un’intervista durante un corso nella sua scuola di chitarra, che era anche una scuola di vita e di disciplina. Da quel momento sono diventato il suo traduttore ufficiale e poi suo allievo nella scuola di chitarra.
Alessandro, tu sei nato a Roma. Hai legami particolari con altrui luoghi?
Sono romano ma di origini siciliane. Sono particolarmente legato anche ad Altamura. E poi c’è un personaggio a cui mi sento legato proprio come i King Crinsom: Federico II di Svevia, che pare abbia ispirato Peter Sinfield nella scelta del nome King Crimson. Il re cremisi sarebbe infatti proprio Federico II che con il suo antipapalismo sfidava il clericalismo medievale in nome della laicità. Si occupava di alchimia, oltre ad essere un cultore di arte, scienza e uomo dai vari interessi. E la cosa strana è che un mio antenato fu ospitato da Federico II, che gli consegnò le chiavi di Messina.
Giaime Pintor ha sempre sostentuto che il Prog sia un piattaforma musicale con meno mordente rispetto al rock degli anni ’60, con testi alle volte poco significativi. Invece questo primo disco dei King Crimson dimostra il contrario. Sei d’accordo?
In parte Pintor ha ragione soprattutto quando si fa riferimento a tutti quelli che hanno preso la scusa di un genere musicale comodo magari per fare solo musica di maniera, utilizzando da un certo punto di vista un “tappeto” musicale. Però se leggiamo i testi di Peter Sinfield ci accorgiamo che sono invece testi pieni di significato. Sinfield era non solo un poeta ma un grande autore a livello internazionale. Dopo l’esperienza con i King Crimson tradusse in inglese anche la PFM, che fu poi prodotta a livello mondiale. Sinfield ha avuto il suo massimo successo grazie alla collaborazione con Celine Dion ed è divenuto un’autorità a livello mondiale, nonostante la sua salute attualmente sia abbastanza precaria. Ad ogni modo concordo con Pintor solo per il dieci per cento, visto che io non ragiono per etichette. A mio parere la musica dei King Crimson non è musica progressive, a meno che con questo termine non si voglia intendere una musica che cerca sempre di rinnovarsi e di cambiarsi. La musica Progressive nel 1969 non esisteva e loro erano considerati controcultura. Insomma io non considero il primo disco dei King Crimson un album progressive, bensì underground oltre ad essere un simbolo forte della controcultura di quei tempi.
Parliamo ora dei testi che sono sicuramente molto forti e pregni di significato.
I testi hanno una forte componente onomatopeica e uniti agli accordi spesso ripetuti in maniera ossessiva esprimono una forte crudezza unita spesso ad un effetto claustrofobico che diventa un tutt’uno con la musica.
In quelli anni la produzione musicale era spesso influenzata dall’uso di sostanza psicotrope molto in voga in quei tempi. Anche per i King Crimson era cosi?
I King Crimson non seguivano quella corrente e non facevano uso di sostanza psicotrope, cosa che certamente dà ancora più valore alla loro creatività e grandezza. Spesso molti gruppi dell’epoca aiutavano la loro creatività con l’uso di queste sostanze, ottenendo spesso risultati di dubbio valore. I King Crimson invece non ne facevano assolutamente uso.
Non credi che il genere progressive abbia funzionato molto nel nostro paese anche grazie alla nostra tradizione sinfonica italiana? C’è molto melodramma nel prog?
Sicuramente la tradizione musicale italiana ha inciso molto sulla diffusione del genere progressive nel nostro paese, anche se noi abbiamo spesso seguito la corrente straniera nella diffusione dei generi musicali. Nel Prog c’è una forte componente melodrammatica e sinfonica, oltre ad una forte preparazione classica e melodica, soprattutto in questo disco dei King Crimson. Nella buona musica c’è sempre tanta roba che si mescola in maniera unica e forse irripetibile.
Claudio Rocchi affermava che “Volo magico numero uno”, il suo secondo album, rappresentava uno dei più grandi esempi di progressive in Italia. Inoltre sosteneva che la musica degli anni ’70 finisce nel ’75, dopo di che c’è stato il buio assoluto. Credi anche tu che la musica progressive finisca nel 1975?
Claudio Rocchi è stato un artista poliedrico e geniale, capace di fare tantissime cose, un personaggio anticonvenzionale, che sapeva sempre sperimentare tecniche nuove. Sono d’accordo con te che la musica progressive finisce nel 1975, anche perché poi inizia purtroppo a diventare solo musica di maniera con risultati il più delle volte insoddisfacenti e lontani dalle caratteristiche del progressive vero. Non a caso io considero l’album “Red” la fine di un epoca e non solo dei King Crimson. In quel preciso momento nascono altri generi che da lì derivano ma in maniera differente, come ad esempio il prog metal. Oggi manca lo spirito del tempo ed è per questo motivo che non si producono grandi dischi progressive, ma solo qualcosa che spesso è copiato.
Recentemente ho incontrato Danilo Rea e gli ho domandato come mai oggi si limita a fare cover. Mi ha risposto che ormai la musica è stata tutta scritta e si può solo replicarla. Io non sono molto d’accordo, visto che ci sono gruppi che sperimentano qualcosa di nuovo. Tu cosa ne pensi?
Potrebbe non avere torto, ma a mio parere Danilo ha gettato la spugna. Oggi non ci sono esperienze musicali molto creative se non in sporadici casi. Forse c’è stato un certo appiattimento dovuto alla poca voglia di sperimentare cose nuove per i timore che non vengano capite. Ecco perché si preferisce fare musica già ascoltata, cosa che indubbiamente non produce un rinnovamento. Sicuramente ci sono esperienze musicali nuove, ma sono veramente molto sporadiche. E’ pur vero che spesso la musica è legata alle grandi case discografiche, che spesso tagliano le ali alla creatività per imporre generi e metodiche commerciali. Non condivido il pensiero di Danilo Rea, ma se la pensa cosi avrà ovviamente fatto le sue considerazioni.
Credi che oggi ci sia poca ricerca musicale e improvvisazione?
Questo è un elemento sicuramente molto importante ed anzi ti ringrazio per avermi fatto questa domanda. Certamente mai come oggi manca la ricerca musicale o meglio la voglia di sperimentare qualcosa di alternativo. In questo disco dei King Crimson ci sono quasi dodici minuti di improvvisazione. Non ne sappiamo i motivi, però ci sono. E questo la dice lunga sulla loro genialità e sulla loro continua ricerca musicale ed esperienziale.
Io non sono d’accordo sul fatto che manchi l’innovazione. Non credi che il festival “Time Zones” dimostri il contrario?
Sono molto legato al festival “Time Zones”, che seguo da vari anni. Il 1988 è stato a mio parere l’anno migliore per tutto le performance che ascoltammo. Ricordo l’anno in cui venne Ennio Morricone e c’era anche Holger Czukay, che fu una vera e propria rivelazione per noi. Riconosco al festival di Bari un valore culturale pazzesco, anche in relazione a tutta la parte relativa alla sperimentazione musicale. Inoltre fu proprio grazie al festival Time Zones che mi riconciliai con Fripp con quell’intervista cui accennavo prima. Ad ogni modo il festival rappresenta sicuramente una grande manifestazione in merito alla ricerca ed alla sperimentazione musicale, ma rimane forse l’ultimo avamposto in questo senso. E meno male che c’è perché offre agli artisti la possibilità di improvvisare e proporre qualcosa di nuovo.