Intervista alla band romana «Diventare strumentali per noi è apertura e non relegarci in una nicchia: la voce, lo stile vocale, le parole utilizzate possono imbrigliare un linguaggio potente e metaforico come la musica in generi e stereotipi che non ci interessano più.»
Che sia classica, metal o post rock, per un annoso pregiudizio, la musica strumentale è spesso etichettata come noiosa e pesante. Niente che di più di sbagliato e penalizzante per quei musicisti che liberi dal vincolo lirico, dalla ricerca delle parole più adatte – oltre che dal rischio di cadere nelle espressioni linguistiche più banali – , riescono a creare semplicemente grazie ai propri strumenti un immaginario formidabile e potente.
È il caso dei Juggernaut, band di Roma composta di quattro elementi che, attiva da oltre un decennio, dopo un periodo di utilizzo dei testi, ha scelto di abbandonarli e dedicarsi interamente alle proprie melodie, cosa che peraltro le riesce molto più che bene.
L’abilità dei Juggernaut nel creare coi propri brani atmosfere oscure, visive ed evocative non è certamente passata inosservata dalla critica, e neanche agli organizzatori dei concerti nostrani e dei festival in Europa che in questi gli hanno fatto collezionare una lunga fila di concerti nonché condivisioni di palchi importanti come quelle con Dave Lombardo, Zu, Amenra e Today Is The Day.
“Neuroteque” è il loro nuovo disco, in uscita il prossimo 11 ottobre per l’etichetta Subsound Records, ed anticipato dal brano “Orbitalia”.
Sul nuovo disco, e sul suonare oggi in generale, abbiamo fatto loro qualche domanda, raggiungendoli mentre si trovano per alcune date in Francia insieme ai bolognesi Nero di Marte: il tour chiuderà in Italia con il trittico di live a Collegno (Padiglione 14, giovedì 26 settembre), Osio Sopra (Joe Koala, 27 settembre nell’ambito della rassegna Tutto Il Nostro Sangue) e Bologna (Freakout, 28 settembre).
Juggernaut per i Cave In o per il personaggio dei fumetti?
Rob: Nessuno dei due! Hai presente Magic The Gathering? La prima volta che ho sentito questo nome era su una carta di questo gioco. Mostrava un artefatto gigantesco, costruito dai goblin, che a stento riuscivano a governare. Il significato metaforico di una forza evocata dall'uomo ma della quale si perde il controllo è quello che veramente ci ha ispirato di questo nome.
Prima e adesso: cosa c’era prima dei Juggernaut, dove e cosa suonavate? Rispetto a ciò che fate oggi come è cambiato il vostro modo di fare musica? su cosa si concentra questoprogetto?
Rob: Veniamo tutti e quattro da esperienze musicali molto diverse ed eterogenee. Ma c'è una cosa importante che ci accomuna: il desiderio di ricerca, di poter dire la nostra e di dirlo alla nostra maniera. In questo senso la consapevolezza che è arrivata con gli anni ci ha portato a pensare la musica in maniera meno istintiva e più cerebrale. La soddisfazione l'abbiamo trovata elaborando un linguaggio nostro, riconoscibile.
Siete un gruppo (diventato) strumentale: l’aver abbandonato le linee vocali, al di fuori degli amanti del genere, costituisce un fattore penalizzante e generante di sbadigli?Che consiglio d’approccio d’ascolto dareste a chi i gruppi strumentali proprio non li digerisce, non dico per convincerli, ma provare a superare gusto e chiusura mentale?
Rob: Diventare strumentali per noi è stata apertura e non relegarci in una nicchia: la voce, lo stile vocale, le parole utilizzate possono imbrigliare un linguaggio potente e metaforico come la musica in generi e stereotipi che non ci interessano più. Non c'è nulla che possiamo veramente fare o dire per convincere un ascoltatore pigro e che ragiona per categorie. Mentre per tutti gli altri è molto semplice: basta venire ad un concerto: l'energia e la forza che si sprigiona allontanerà qualsiasi sbadiglio.
A ottobre pubblicate il nuovo disco: ci raccontate qualcosa di come sarà?
Rob: È la cosa più bella che abbiamo mai scritto! È astratto, può portare lontanissimo e poi risbatterti violentemente a terra. Dentro convivono leggerezza e pesantezza. E soprattutto c'è veramente tanto di ognuno di noi.
Com’è a Roma la situazione musica live? Si riesce a suonare, gli spazi resistono? E a livello di band? Ci consigliate qualche band/musicista locale?
Rob: Hai detto bene: "resistono". Di spazi a Roma ce ne sono parecchi e la scena musicale, anche se il più delle volte ghettizzata e autoreferenziale, è vivissima e sorprendente. Il problema è che comunque dobbiamo parlare di "Resistenza": fare musica dal vivo non è più un business ma una missione. Di artisti e band validi ce ne sono molti. Quelli che più ci hanno segnato non esistono più. Ad oggi vogliamo molto bene a: NoHayBanda, Mòn, SiNonSedesIs, Cayman the Animal, Lili Refrain, Caterina Palazzi - Sudoku Kille e Holiday Inn.
Sono passati ormai tanti anni da quando avete iniziato a suonare: cosa in questo periodo è cambiato in positivo nel panorama musicale? C’è qualcosa invece a livello di dinamiche che invece sperate sia un fenomeno di passaggio?Tra dieci anni dove e come vi immaginate musicalmente parlando?
Rob: ad oggi è molto più facile avere contatti virtuali con band e promoter lontani, ma la carenza degli spazi e la mancanza di ricambio generazionale rendono tutto più difficile. Però c'è da rilevare che il livello tecnico dei musicisti rispetto a quando abbiamo iniziato è progressivamente migliorato. Quello su cui si dovrebbe lavorare di più sono i contenuti. Tra dieci anni saremo tutti morti no?
Siete in tour con i Nero di Marte: quando si organizzano date insieme a un’altra band, quali sono i fondamentali da rispettare per una sana convivenza gomito a gomito 24/24 non solo con i propri componenti del proprio gruppo ma anche con i membri dell’altro?
Rob: Lavarsi i piedi e le ascelle innanzitutto. Ed i Nero di Marte lo fanno benissimo. Con loro avevamo una amicizia pregressa fatta innanzitutto di stima reciproca; ora è diventata una vera e propria fratellanza e non c'è niente di meglio di un tour per consolidarla.