20190908 puleo

Attraverso questo archivio indisciplinato, polisemico e ricco che è il web, l'attività artistica diventa sempre più una questione di fattori che vanno oltre la sensibilità o la percezione dell'artista.

Instabilità e dinamismo sono le principali caratteristiche del mondo globalizzato in grado di interferire in ogni campo di azione. Di solito, parliamo di globalizzazione applicandola ai meccanismi di origine economica, ma la si osserva anche nel contesto delle pratiche estetiche. Le riflessioni su questo nuovo ordine globale condotte da Michael Sandel, Luciano Gallino e la coppia Hardt-Negri, esprimono preoccupazione per l’unificazione culturale creata da questo paradigma occidentale e in molti si chiedono quali saranno le conseguenze a lungo termine. Non solo: il mondo globalizzato sta diventando sia il luogo delle differenze, dell’individualismo e dell’alterità che uno spazio d’accesso immediato, che unifica il sistema simbolico, quello dell'immaginario e della cultura. Il conflitto tra locale e globale significa per l'arte contemporanea, abbandonare l'atteggiamento paternalista verso le diversità culturali, - come accadeva agli inizi dei Novanta nelle aperture del mercato verso l’arte postcoloniale – per divenire una più vaga consapevolezza sul fatto che l’arte e l’espressione nascono non dalla fissità del giudizio, ma dalla comprensione profonda di come l’interazione tra i soggetti influisca sulla forma finale.

 

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In epoca digitale, l’aura di cui parlava Benjamin non appartiene più all’oggetto ma all’evento e gli artisti riconoscono che la forza di un’opera non sta più nel lavoro in sé quanto nell’insieme di relazioni create col pubblico.

Per tutto il Novecento, e a seguito della rivoluzione degli anni Settanta, l’interdisciplinarietà è stata la parola d’ordine degli artisti. Già Umberto Eco nel ’68 vedeva irrompere l’arte in territori che non le erano propri, individuando affinità ed assonanze profonde. In questa interazione con l’ambiente, artista era colui che osservava affascinanti anomalie, insinuava quesiti imprevisti e non autorizzati e soprattutto incuneava uno sguardo trasversale, conseguenza del processo creativo. Un processo che la nostra attuale interattività interrompe influenzando l’autoralità e puntando su una partecipazione che sembra avere caratteristiche tribali di ricerca di uniformazione e adattamento. In epoca digitale, l’aura di cui parlava Benjamin non appartiene più all’oggetto ma all’evento e gli artisti riconoscono che la forza di un’opera non sta più nel lavoro in sé quanto nell’insieme di relazioni create col pubblico. Di conseguenza, artista è colui che non si limita a fare ma a suscitare processi atti a smuoverlo. Pertanto, la sua formazione tende ad assimilare e ad accomodarsi alle percezioni radicalmente trasformate del pubblico, assoggettandosi all’intossicazione dei brand e ai dettami di obiettivi condivisi e omologanti. Come quello di conformarsi alle richieste di persone che comprano gli stessi abiti, che hanno le stesse referenze musicali, visive e cinematografiche e che acquistano arte solo se prima è stata familiarizzata dal modesto bagaglio culturale acquisito attraverso un sistema educativo insufficiente.

L’artista continua ad essere nel pensiero comune colui che ascolta e crea, trasformando l’esperienza, ma in realtà le cose sono molto più complesse.

In questa accelerazione continua della globalizzazione, il sentimento di spoliazione di identità e il concetto di spazio culturale vengono continuamente rievocati a causa del rapido sviluppo dei media, dunque diventa sempre più difficile pensare di individuare l'artista e la sua opera in un punto spaziale specifico. Vediamo invece identità unite dalla natura del pensiero nomade stabilire relazioni tra radici ed esperienze culturali acquisite nello scambio. L’artista continua ad essere nel pensiero comune colui che ascolta e crea, trasformando l’esperienza, ma in realtà le cose sono molto più complesse. L’esplosione congiunta dei blog e delle piattaforme di condivisione (come Instagram, Behance, Saatchi ART, Deviantart o Artnet) e dei social network in genere, se ci dimostrano il massimo grado di debolezza e inefficacia dell’arte, hanno il merito di abbattere ogni distinzione di valore tra la fruizione diretta e la fruizione mediata dell'arte.

 

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Attraverso questo archivio indisciplinato, polisemico e ricco che è il web, l'attività artistica diventa sempre più una questione di fattori che vanno oltre la sensibilità o la percezione dell'artista. Processi economici, contestuali e politici, o idee su come o cosa un'opera d'arte dovrebbe essere si sommano all’assenza di un’opinione pubblica sull’arte contemporanea che ci tuteli dai comportamenti indotti o dalla superficialità del nostro coinvolgimento.

Dal mio punto di vista, artista è colui che dimostra una capacità d’intuire e sintetizzare gli aspetti salienti di questo nostro caotico divenire,

Dal mio punto di vista, artista è colui che dimostra una capacità d’intuire e sintetizzare gli aspetti salienti di questo nostro caotico divenire, sostenuto da un profondo impegno etico mentre sviluppa i suoi nuovi ambienti simbolici. Al contrario, il mercato dice che artista è colui che supera il passaggio obbligato della redazione del proprio “statement”, ovvero un testo che presenta, in poche righe, formazione e temi di ricerca, al fine di accattivare ed intrigare il lettore. Supplizio per chi non vuole dare una definizione alla propria indagine o non sa darla in uno spazio ristretto, questo strumento insieme ai mille corsi, workshop e suggerimenti utili a realizzare una carriera di successo sono associati alla produzione assistita dei tag, hastag e gestione dei reblogin, utili alla visibilità.

Instagram e Behance sono in questo momento sia strumenti per la scoperta di artisti, sia vetrina per gallerie d’arte e case editrici che assegnano valore alla quantificazione di follower. Ovviamente questi social offrono comunità creative in grado di scoprire il lavoro di un artista riferendo dell’ultima mostra della galleria di tendenza, così come alcuni retroscena del mondo dell’arte in un universalismo di informazioni da grande magazzino. Oggi i social sono portfolio online che testimoniano il processo creativo in tempo reale e alterano la distribuzione di influenza. In questo modo cambiano la comunicazione ma anche le regole di vendita: l’artista crea e si concentra sulla promozione, accettando modalità, strumenti e sistemi valoriali che dovrebbero almeno poter essere messi in discussione. 

I traffici artistici sui social ci raccontano come consumiamo le immagini tramite smartphone, alla ricerca di intrattenimento e svago, indicando anche come i prodotti di grandi aziende influenzano il modo in cui vediamo il lavoro dei creativi.

È evidente tuttavia che in questi ultimi vent’anni si sia formata un’ibridazione incrociata d'identità culturale dalla consistenza sempre più liquida che, come diceva Zigmunt Bauman (2002), si relaziona con un mondo che cambia rapidamente. La comune tendenza tra gli studiosi come il sociologo polacco è quella di affrontare le questioni economiche ed etiche di questi nuovi scenari generati dalla gratuità e ubiquità delle immagini online e dall’impoverimento della soggettività.  Altri cercano di descrivere il campo culturale globalizzato come uno spazio instabile, in cui il precario, il transitorio e l'ibrido sono le nuove coordinate. I traffici artistici sui social ci raccontano come consumiamo le immagini tramite smartphone, alla ricerca di intrattenimento e svago, indicando anche come i prodotti di grandi aziende influenzano il modo in cui vediamo il lavoro dei creativi. La conclusione è che stiamo perdendo l'idea di arte visiva come una forma di lavoro fatta da persone e ciò perché ci risultano imperscrutabili le pressioni sulla creatività dell’ideologia edonistica, vera e propria repressione silenziosa. Una repressione ammantata da uguaglianza che – come suggerisce il volume “L’arte della sovversione” (2009) -, punta verso una riproducibilità dell’artista nell’epoca della “singolarità qualunque”, mettendo a tacere l’autenticità, l’intenzionalità liberata dalla mercificazione e la concretezza delle idee suffragate dalle azioni. La posta in gioco ovviamente genera angoscia e scollamento quando l’artista non rientra tra chi è accolto, ricevuto e ben giudicato.

Lo sappiamo: non è più possibile parlare di “virtuale” e “reale” come dimensioni distinte e separate.

Lo sappiamo: non è più possibile parlare di “virtuale” e “reale” come dimensioni distinte e separate. Internet ha realmente generato una trasformazione antropologica, dal forte impatto sull’economia, sulla nostra vita sociale, politica e culturale. Le esperienze vissute online sono reali, dunque anche ciò che viene creato, vissuto e scambiato interferisce con la sfera del reale. Ce lo garantivano con discreto ottimismo Andrea Balzola e Paolo Rosa, i due autori del manifesto dell’arte post-tecnologica nel volume “L’arte fuori di sé” (2011) quando riflettevano sulle potenzialità della circuitazione gratuita e partecipata del web. Questa fruizione mediata della realtà però ha assunto una presenza così forte nella nostra esistenza da condizionare irrevocabilmente il nostro essere nel mondo, prova ne sia il dilagare di manuali di strategie di social media marketing da un lato e di corsi di crescita personale dall’altro.

 

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L’utente non assomiglia al pubblico del secolo scorso, perché non testimonia e non nutre la propria esperienza artistica da riviste, mostre, libri e conversazioni. L’utente non conosce e non è attratto dai progetti artistici – specie se complessi -, ma il suo intervento è in grado di rendere il lavoro dell’artista in grado di fargli guadagnare l’ambita viralità. Questo pubblico condivide immagini e video senza alcuna preoccupazione per paternità o contesto. Utenti d'arte per caso nel vortice della swipe o del tap, ovvero delle maniere di strisciare il dito o di picchiettarlo sullo schermo che non sanno valutare un artista se non è riconosciuto dall’influencer e che nel caso di marchi e aziende che si dotano di collaborazioni con illustratori fruiscono le immagini come scelta editoriale e non come post sponsorizzato. Viviamo la condizione di soggetti “always on” che dunque facendo il giro completo, sono connessi al reale in maniera virtuale. Joseph Firth, uno degli studiosi sulle alterazioni di aree cognitive del cervello ad opera degli strumenti digitali, ci dice nel World Psychiatry, che non solo abbiamo alterato il modo in cui il nostro cervello memorizza ma anche il modo in cui valuta i contenuti. Ciò induce a pensare che davanti a contenuti visivi siamo incapaci di definire differenze tra oggetto artistico e strumento interattivo. A ciò si affianca la ricerca spasmodica di adattarsi alle ricerche artistiche di chi ce l’ha fatta e per cercare di mantenere alto l'interesse, si mette in mostra l’ispirazione e il quotidiano vivere, in modo da ampliare il proprio marchio. Si pensano didascalie accattivanti, vere e proprie narrazioni visive allo scopo di stimolare i seguaci ad interagire, categorizzando sempre più il proprio contenuto. Chiuso l’artista dentro una scatola atta ad impedire di esporre qualunque forma di debolezza per non sentirsi meno valido e capace, lo si dota di tecniche difensive per proteggere la persona dai disagi che comportano gli argomenti, specialmente quelli delicati. Facendo di sé stessi una sorta di immensa sala di ricevimenti, un living aperto dove osannare le proprie conquiste e avere l’argomento a portata di mano. Un soggiorno di rappresentanza, dove però angolo cottura, zona relax e wc sono al limite del vivibile.

Gli autori di Vorrei
Matilde Puleo
Matilde Puleo
Storica e critica d’arte, curatrice, organizzatrice di eventi culturali e docente (www.megamega.it). Collabora con riviste di settore e scrive regolarmente di arti visive e cultura. La tendenza è quella di portare avanti l’approfondimento e l’articolazione del pensiero come fari con i quali sviluppare la necessaria capacità d’osservazione e di lettura del mondo.