doris salcedo 2

Potrei fare l’elenco di ciò che non comprendo, non ho neanche l’ingenuità degli anni a cui appellarmi per potermi giustificare. L’odio, certo, e l’indifferenza…

Non faccio che ripetermelo, qualcosa si è rotto. E il timore è che questa pensiero stia diventando per me come il cartello che segnala una via senza uscita. Non conosco la resa di fronte ai pensieri. E non posso permettermelo per come vivo e per ciò che ho scelto di fare ogni giorno. Se non fossi più in grado di interpretare la realtà come si presenta? mi ritrovo a chiedermi oggi più spesso di quanto vorrei, sentendo salire un certo spavento.

Sto preparando ciò che mi accompagnerà nei giorni prossimi di riposo, il mio zaino si sta riempiendo di salvavita e “attrezzi”, che immaginate essere libri e quaderni e tutto il resto, come molti di voi. Li guardo e mi dico che sembrano l’armamentario di un sub, tanto è il mio bisogno di ritirarmi per prendere respiro, per allenarmi al suo ritmo che ritrovo nel vivere selvatico, e potermi poi immergere di nuovo. Ci sto mettendo più del dovuto, inserisco e tolgo, cerco, segno di dover comprare d’urgenza, come se non riuscissi a colmare il vuoto di quello spazio come si deve.

Chi lo fa spesso, di riempire un bagaglio, sa che c’è una perfezione in quella misura del come si deve e oggi non la raggiungo, ma sono in largo anticipo mi dico che la troverò. Perché dico che qualcosa si è rotto… perché sento che non riesco a decifrare che cosa succede. Non dico che non possiedo gli strumenti per farlo, precisi o imprecisi che siano, e che gli anni che si sono succeduti non mi abbiamo fornito indizi chiari sulle derive di oggi, intendo invece dire che, di cerchio in cerchio, arrivando al nocciolo della questione, non riesco ancora a comprendere che cosa stia succedendo al cuore umano. Intendendolo, intenzionalmente, molto filosoficamente cuore e credendo fermamente a quella sua “visione” come unica Via percorribile per la protezione dell’umanità, come Maria Zambrano mi ha insegnato.

Potrei fare l’elenco di ciò che non comprendo, non ho neanche l’ingenuità degli anni a cui appellarmi per potermi giustificare. L’odio, certo, e l’indifferenza… ne discutiamo in tutti i modi. Ma io lavoro nel piccolo e mi chiedo che cosa succede dentro a una persona perché a un certo punto inizi a essere devota, per poi trovarsi sopraffatta, da questi sentimenti… da pensieri così grandi e bui capaci di intaccare il suo essere vitale, che è ontologicamente relazione, che cosa si è rotto? Mi interessa molto il discorso della rottura e di una sua possibile riparazione. Mi piace la parola riparare e la sua etimologia, il suo essere transitiva che mette al riparo, difende, protegge, custodisce, risarcisce, rimedia. Il suo essere riflessiva che mette al sicuro. E credo che la consapevolezza di essere fragili, quindi fallibili anche nei pensieri, potrebbe essere ciò che ci salva. La sua paura ciò che invece ci danna.

Vorrei che quando sento che faccio pensieri così innaturali per la vita, ecco vorrei andare da qualcuno o trovare qualcosa che mi ripara. Che mi ripara da me stessa. Riparare è mantenere la forma originaria intervenendo sul punto più debole. Vorrei, che qualcuno, quando non riesco più a vedere la verità delle cose, quando non riesco più a provare compassione, quando perdo di vista il bene, quando partecipo a ciò che può ferire o interferire con la vita di chi mi è accanto, sul suo essere e la sua libera espressione, la sua aspirazione vitale, perché ogni altro essere mi è accanto, qualcuno mi riparasse perché ciò che sto facendo lo sto facendo prima di tutto contro di me e sopra tutto, con conseguenze spesso tragiche, contro l’altro che è me.

Vorrei che qualcuno, per un po’ mi tenesse da parte per il tempo del riparo, in modo che ciò che dico e faccio finché non sarò di nuovo me stessa, degna di me stessa, non possa essere udito o visto e quindi emulato da un’altra donna, un uomo, un bambino. Vorrei che da quella crepa che si mi si è creata dentro qualcuno mi dicesse che può uscire ancora qualcosa di buono e di bello e di giusto. Che mi rassicurasse dicendomi che il mio passaggio qui sarà di luce, per me e per gli altri. E che mi insegni a usare tutta la mia energia nel fare questo. Vorrei potere essere protetta, da quel riparo. Mettendomi e mettendovi al sicuro.

 

La foto è dell’opera d'arte dell'artista colombiana Doris Salcedo. La vidi alla Tate Modern di Londra nel 2007 e da allora mi accompagna nel corso delle mie lezioni, acquisendo significato ogni giorno di più. Si chiama “Shibboleth”, in ricordo del massacro degli Efraimiti di cui parla la Bibbia.
Se vorrete leggere il significato della parola Shibboleth potrete comprendere perché l’abbia scelta anche per la mia “Traduzione della vita”, allo stesso modo di qui.
it.wikipedia.org/wiki/Shibboleth

Gli autori di Vorrei
Elisabetta Cremaschi
Elisabetta Cremaschi
Mi occupo di Pedagogia delle narrazioni, che significa di letteratura, di arte, di illustrazione, cinema, danza, teatro partendo e mantenendo come centro del tutto la visione dell’infanzia.