«La musica è l’unico linguaggio che non si ferma di fronte alle razze ed ai confini. Ma deve essere vissuta come una missione di pace e riflessione»
Paolo Tofani è un chitarrista autodidatta che ha iniziato a suonare nel gruppo “I Samurai”, con il quale ha fatto una tournèe di alcuni mesi in Inghilterra. Dopo questa esperienza, con gli amici di Firenze, sua città natale, ha formato il gruppo “I Califfi”, con il quale suonava rock e blues, che era la musica del momento e dalla quale era più attratto. Per alcuni anni ha poi suonato a Londra, sperimentandosi come solista nell’uso di quegli strumenti elettronici che iniziavano allora ad essere utilizzati da diversi gruppi inglesi. Questa esperienza inglese fu il trampolino per entrare a far parte del gruppo italiano di rock-progressive e fusion “Area”.
Come si chiama il nuovo gruppo con cui stai suonando ora?
Il gruppo è quello degli” Strepitz open project”; una band di origine friulana con la quale collaboro di tanto in tanto. Io sono un’anima libera, quindi suono principalmente da solo e poi anche in queste occasioni di condivisione con gli altri, cosa che trovo molto interessante.
Ho letto che questa band è un laboratorio: significa che si apre sempre a nuovi musicisti?
Si, certo. La condivisione nella musica è fondamentale, come nella vita, per poter crescere; se noi incontriamo qualcuno da cui possiamo trarre qualcosa che arricchisce la nostra conoscenza ed esperienza, perché non farlo?
Se ti fermi è come se fossi già morto: ecco perché la ricerca è alla base dell’impegno e del senso della vita umana.
Quindi è sempre un modo per ricercare nuove frontiere musicali. A questo punto ti chiedo: quanto è importante la ricerca nel campo musicale?
La ricerca è fondamentale in tutti i campi altrimenti si cade nella peggiore routine. Un uomo che vive seguendo una specie di orario costante è paragonabile ad un morto che cammina: la vita umana serve per esplorare la realtà e le possibilità per uscire da questo “samsara” che altro non è che il ciclo di nascite e morti ripetute. Se ti fermi è come se fossi già morto: ecco perché la ricerca è alla base dell’impegno e del senso della vita umana.
Anche l’improvvisazione è importante nella musica?
L’improvvisazione è un'altra espressione del tuo modo di ricercare. Ci sono diversi tipi di improvvisazione; c’è la musica improvvisata che parte però da un minimo di riferimento melodico o armonico e poi c’è la musica che io preferisco, ed è quella spontanea che parte dall’ascolto. Quindi andiamo sul palco e aldilà del fatto di conoscerci o meno iniziamo a dialogare senza cercare di capirci, però poi con l’andare del tempo si comincia ad interagire e grazie all’umiltà e all’ascolto si costruiscono dei tessuti, che sono l’espressione vera di quello che sei in quel momento, ma che alla fine si esauriscono rinnovandosi sempre.
La contaminazione è una parola brutta perche si immagina per una malattia; in realtà la parola più giusta è condivisione.
Questo gruppo è partito dalla realtà friulana per poi allargare i propri confini. Quanto è importante oggi nella musica la contaminazione, anche alla luce dei discorsi che si fanno in tema di sovranismo o di identità?
La contaminazione è una parola brutta perche si immagina per una malattia; in realtà la parola più giusta è condivisione. Perché l’altro vive la vita in un modo che io non conosco, ma conoscendoci impariamo ciascuno il modo dell’altro e alla fine tutti e due abbiamo guadagnato da questo incontro.
Quindi il confronto è importante anche dal punto di vista umano, oltre che musicale?
È molto importante, perché le cattive abitudini ci sono in ognuno di noi; però incontrando qualcuno che vive in maniera corretta, sforzandosi d essere utile e altruista ne vieni contaminato, e perdi quell’atteggiamento egocentrico che ti fa sentire il centro del mondo. Ed è soprattutto affascinante e utile conoscere persone che hanno un alto livello di moralità
Paolo, quanto è importante la musica nell’umanizzazione dei rapporti, soprattutto in questo momento in cui c’è tanto razzismo e xenofobia?
La musica è forse l’unica forma di linguaggio che non si ferma di fronte ai colori, alle razze, ai confini: quindi potrebbe giocare un ruolo molto importante in questo senso. Però chi fa musica deve essere onesto; c’è molta gente che vive la musica come un lavoro, mentre la musica dovrebbe essere vista, secondo me, come una missione di pace e di riflessione. Con la musica si può far capire che le rivoluzioni vere non sono quelle in cui ci si ammazza in piazza ma sono quelle da fare in casa da soli nella profondità del nostro essere. Solo cambiando il nostro atteggiamento mentale e apprezzando le differenze, allora la società diventa vivibile. La società di oggi non è vivibile perche c’è tanta poca umanità e molto egoismo.
Quello che hai appena affermato quindi è molto coerente con la tua scelta di essere uno dei militanti di “Hare Krishna”?
Assolutamente si. Io sono un monaco che vive tra la gente con la quale parlo e mi confronto su questi temi trovando alcuni momenti di riflessione. Quello che so fare é interpretare con la musica e con le parole la sofferenza degli altri cercando di dare un pò di conforto.
Quello che so fare é interpretare con la musica e con le parole la sofferenza degli altri cercando di dare un pò di conforto.
Questo quindi è il messaggio che lanci?
Dobbiamo comportarci in un modo che non danneggi gli altri; perché la sofferenza è impossibile da eliminare in questo mondo duale. Però noi dobbiamo operare al massimo per ridurla il più possibile.
Io ho anche amato un tuo grande amico, Claudio Rocchi, che mi ha fatto tanto riflettere per la sua musica. Con lui tu hai realizzato anche dei dischi: che ricordo hai?
Un ricordo bellissimo, di un’anima luminosa; con lui abbiamo passato 15 anni vivendo assieme in una stanzetta piccolissima ed organizzando la vita in accordo ai principi della cultura vedica. Sono stato molto fortunato a conoscere un’anima cosi luminosa, purtroppo è andato via troppo presto ma quando lo vedrò gli dirò: “Mascalzone, potevi aspettare ancora un po’ e darci ancora un po’ della tua preziosa associazione” (ride).
E musicalmente quale giudizio dai di Claudio?
Musicalmente era su una strada diversa dalla mia; per me lui era più un poeta che esprimeva pensieri sempre molto profondi. La musica che c’era sotto era solo un pretesto; quello che lo rendeva grande, fra le altre cose, era la sua capacità di esprimere i principi legati alla lealtà , onestà e pulizia, principi che ora stiamo perdendo. Mi manca molto Krishna Ceitanea, questo era il suo nome spirituale, mentre il mio è Krishna Prema.
Paolo Tofani e Michele Lospalluto
Il grande Gianni Sassi, senza i quali gli “Area” non avrebbero detto e fatto niente.
Come è nata la tua esperienza con gli “Area”, uno dei più grandi gruppi di rock progressive nel nostro paese?
È nata anche lì dal desiderio di condividere; io vivevo in Inghilterra dove ero sposato e stavo costruendo la mia carriera da solista per cui ero molto apprezzato. Poi è arrivata la PFM ed il loro impresario Franco Mammone, che mi aveva praticamente ritrovato, visto che ero scappato dall’Italia per vivere in un'altra dimensione, mi ha fatto questa offerta e ho sentito che era il caso di verificare. La solitudine artistica è molto bella, ma ogni tanto è piacevole anche condividere le esperienze. Sono tornato in Italia per verificare e ho ritrovato Demetrio, con cui avevo fatto un Cantagiro quando io suonavo nei “Califfi” e lui nei “Ribelli”, e ho capito che c’era una grande potenzialità, tanto più che a dare una mano c’era il grande Gianni Sassi, senza i quali gli “Area” non avrebbero detto e fatto niente. Un personaggio, Gianni, molto coraggioso, capace di uscire con qualcosa di forte per quei tempi.
Cosa rimane di quelli anni? Cosa hanno lasciato gli “Area”?
Hanno lasciato un ricordo che sembra essere nel cuore di molte persone; io personalmente l’ho vissuta bene ma sono contento di esserne uscito, perché quel modo di vivere la realtà con rabbia non è mai stata parte della mia natura pacifista. Sai, il desiderio di cambiare mi ha spinto a fare la mia parte; ma quando ho visto che il movimento giovanile era crollato nell’ipocrisia, ho deciso di lasciare gli “Area”. Certo, rimane un‘esperienza importante, ma non determinante come poi sarà quella con Claudio Rocchi che mi ha cambiato letteralmente la vita.
Che giudizio dai su quello che si muove musicalmente in Italia?
Io non ne sono molto al corrente, non mi interessa molto. Ascolto molto quello che faccio io per verificare dove sono e poi ascolto i grandi maestri del passato. Ma le altre cose non le ascolto molto.
Come giudichi il tuo rapporto con i giovani?
Un rapporto bello. I giovani hanno la potenza e quando acquisiranno un po’ di saggezza sarà perfetto.
Quando pensi che la acquisiranno?
Dipende dal loro desiderio.
E noi più adulti cosa dobbiamo fare?
Dobbiamo lavorare per far crescere nei giovani il desiderio di crescere.
Ti ricordi quando nel 1978 venisti ad Altamura e stemmo una notte intera a “Radio Murgia” discutendo e ascoltando tanta musica?
A quei tempi non sapevo niente, vivevo ancora in un sogno; mentre avrei voluto essere più utile a Demetrio quando in ospedale capì che non ne sarebbe uscito vivo. Io però, non avendo ancora acquisito la consapevolezza di quel poco che ho, non riuscii a dargli sollievo e questo mi spiace molto.
La tecnica è importante nella musica?
È molto importante, la tecnica, nella musica, ma non è tutto. Ci vuole il cuore e la fantasia. Le cose belle le vedi intorno non sono soltanto tecnica, perchè la natura crea cose meravigliose, ma è anche la visione che ricevi da queste opere meravigliose che deve essere tradotta in amore e rispetto. La tecnica rimane comunque fondamentale ma non può essere tutto.