Per i tipi de L’Orma è in libreria un volume che raccoglie tutti gli scritti su Beckett di Adorno, filosofo tedesco scomparso nel 1969, vent’anni prima dell’amico irlandese drammaturgo, poeta e traduttore.
A un amico che gli chiedeva come lavorasse, Samuel Beckett, Nobel per la Letteratura nel 1969, confidava: “Mi siedo davanti a un foglio bianco e comincio a concentrarmi; poi, se sono fortunato, riesco a sentire una voce. Allora metto in campo tutta la mia preparazione e forza critica per dare forma a questo materiale grezzo.”
C’è da esultare: per i tipi de L’Orma è in libreria un volume che raccoglie tutti gli scritti su Beckett di Adorno, filosofo tedesco scomparso proprio nel 1969, vent’anni prima dell’amico irlandese drammaturgo, poeta e traduttore. “Il Nulla Positivo” è il titolo di questo libro curato da uno dei massimi esperti italiani dell’autore di “Finale di Partita”, Gabriele Frasca, che insegna Letterature comparate a Salerno e che chiude la silloge con un saggio sulla fortuna di Beckett in Germania.
Apparentemente per pochi conoscitori di chi inventò Godot, si tratta di un libro che chi scrive farebbe leggere nelle scuole a memento dell’ultima, seppur disgraziata, epoca di grandi personaggi. Un’epoca che aveva chiaro quale fosse l’essenza dell’arte, nient’altro che la negazione: “Beckett mira a un nulla positivo, un nihil relativum, e cioè un nulla che non possa essere inteso che come negazione di qualcosa che esiste. Questo anelito verso un nulla positivo è negato agli uomini. A loro non è più dato di morire, e da ciò deriva un’estrema tristezza.” Così Adorno, massimo esponente della Scuola di Francoforte, entrava a gamba tesa in un dibattito della televisione della Repubblica Federale Tedesca del 2 febbraio 1968, dibattito la cui trascrizione apre questa raccolta di scritti che seguita con “Tentativo di capire il Finale di partita” e prosegue con appunti intorno a “L’Innominabile” e alcuni passi tratti dalla “Teoria estetica”.
Lettore entusiasta del poeta irlandese, che nutriva sana idiosincrasia per i mezzi meccanici di riproduzione, Adorno, nel dibattito durato due ore – preceduto dalla visione di “Commedia” e “Film” – sottolinea come per Beckett fosse inaccettabile alcun tipo di letteratura che si limiti a dire qualcosa senza esprimerla già nella forma.
Theodor Adorno
Umani ridotti, degradati a parole trite e ritrite, eppure Beckett riesce ad ammantarle di una forza poetica di cui nessuno le avrebbe credute capaci
Poeta doctus, Beckett se preso alla lettera coincide con la verità: “Va considerato un realista: fotografa nel suo aspetto più meschino una società che non è altro che un insieme di funzioni, mostrando ciò che diviene un essere umano all’interno di questo mondo funzionale”. Oltreché triste, l’essere umano è diviso e ridotto a monconi, torsi e mutilazioni finanche nei sensi, cieco, sordo e paralitico, ecco l’essere umano ingabbiato nel capitalismo, tanto che Godot non è altro che “la cieca totalità in cui tutti siamo invischiati.” Umani ridotti, degradati a parole trite e ritrite, eppure Beckett riesce ad ammantarle di una forza poetica di cui nessuno le avrebbe credute capaci; un’impossibilità del linguaggio, retaggio joyciano, che nel poeta dagli occhi di ghiaccio coesiste con la convinzione che il parlare sia una dissacrazione del silenzio, visto che l’univocità del significato non esiste, consapevolezza che apre al doppio senso e alla parodia della filosofia, persino del Vecchio Testamento.
E apre alla disintegrazione della tradizionale quanto illusoria unità dell’opera d’arte: se c’è un principio è quell’ “esse est percipi”, l’angoscia dell’essere percepito di Buster Keaton in “Film”, ennesima impossibilità, quella di sottrarsi all’esistenza con la fuga, da cui la condanna alla vita.
Affascinato dalla matematica, Samuel Beckett come Holderlin dice chiaro ciò che non funziona più o non ha mai funzionato, e denunciando l’io come apparenza, inaugura la critica sociale al principium individuationis: comprendendo che l’uomo non può liberarsi da sé servendosi della volontà, compie Schopenahuer portandolo alle estreme conseguenze tanto da trasformarlo nel suo contrario.
“Non c’è nulla da esprimere, nulla con cui farlo, nulla da cui farlo, nessun desiderio di farlo, insieme con l’obbligo di farlo”: ecco, se “pensare con ottimismo è da criminali” ché pensiero e ottimismo sono due cose inconciliabili, c’è da diventare tanto forti da sopportare una condizione senza speranza.
Ad Adorno, premeva proteggere Beckett da erronee interpretazioni che ne facevano uno scrittore esistenzialista: “Beckett suscita scandalo perché in lui la letteratura assume il punto di vista del solipsismo. Ma il solipsismo letterario è completamente diverso da quello filosofico, perché lo scrittore non parla d’altro che della propria esperienza alla quale viene tanto necessariamente rimandato che può diventare a sua insaputa lo storiografo del proprio tempo”. E lo fu: riuscì, da scrittore, ad appropriarsi della voce solitaria, voce di tutti a se stessa inconscia, e a farla giungere, oltre il fossato, agli altri uomini.
“Essere un artista equivale a fallire”: questo detto di Beckett, nell’evo contemporaneo zeppo di sedicenti artisti a maggior gloria dello status quo improntato al successo, potrebbe funzionare come insetticida.
“Essere un artista equivale a fallire”: questo detto di Beckett, nell’evo contemporaneo zeppo di sedicenti artisti a maggior gloria dello status quo improntato al successo, potrebbe funzionare come insetticida.
“Don’t know why he likes me or why I like him”: così il drammaturgo commentò con un’amica l’ennesimo incontro con Adorno, di fatto si piacquero.
E si stimarono, prova ne siano le ultime parole di Adorno nella trasmissione televisiva del ’68: “Se mi si chiedesse di esprimere in parole povere in che cosa consista l’elemento morale in Beckett, risponderei che sta nel fatto che non si trova in lui alcuna presunzione.”
Nella foto di apertura: Samuel Beckett a New York durante le prove di Aspettando Godot, 1964. Foto © Bruce Davidson/Magnum
Il Nulla Positivo – Gli scritti su Beckett
Di Theodor W. Adorno
L’Orma editore – aprile 2019
Pag 238 – 22,00 euro