«Ci sono persone che amano il successo e altre che ne hanno paura. Io ne ho paura.» Tutto comincia con una penna e un foglio di carta
Da Uzak riprendiamo una intervista del 2011 al regista di Fuga dalla scuola media, Happiness, Palindromes, Dark Horse.
C'è sembrato che in quest'ultimo lavoro presti ancor più attenzione al dettaglio, a tutti quei brand, e a quegli oggetti, diventati nell'immaginario collettivo dei veri e propri status symbol. Quella che prende forma è una società dominata totalmente dalle merci, dalle etichette, quasi fossero rimasti gli unici contrassegni ancora capaci di funzionare come dispensatori di identità.
Il protagonista del film, Abe (Jordan Gelber), è un giovane uomo. Ma non poi così giovane. È un collezionista. Fenomeno tipicamente maschile specilamente per quanto riguarda fumetti, action figures, videogames e cose del genere. È come se fosse bloccato all'adolescenza, non fa il passo necessario per diventare adulto. È effetivamente un consumatore, un tipico esponente della società dei consumi. E questa cosa emerge con una certa evidenza. Ma preferisco non dilungarmi troppo su questo argomento, non vorrei sembare troppo accademico. Per restare al film, non vorrei che i miei personaggi vengano interpretati unicamente dagli status symbol di cui si attorniano. C'è dell'altro. Il protagonista è un giovane uomo che si strugge nel non ruscire ad imprimere una svolta alla propria vita, incapace di lasciarsi andare e andare avanti.
Come riesce a creare i suoi personaggi?
Non so come riesca a creare questi personaggi. Miranda (Selma Blair) è una sorta di continuazione di Vi (personaggio di Storytelling). A diferenza di Abe, è stata capace di affronatere il mondo; aveva ambizioni e sogni che purtroppo si sono infranti ed è quindi dovuta tornare a casa con i genitori.
Tu mi hai chiesto come riesca a fare quel che faccio. Non lo so. Tutto comincia con una penna e un pezzo di carta. Scorpo la sorte dei miei personaggi nel corso della scrittura. Scrivendo. Come lavoro di tutti i giorni faccio l'insegnante, e i miei studenti mi chiedono sempre come fare a raccontare una storia. Io rispondo che questo non posso insegnarglielo. Posso aiutarli a capire su cosa concentrarsi. Ma, alla fine, quello della scrittura è un processo misterioso.
Quali sono i suoi rappoti con la middle class americana? È sempre molto puntuale e, allo stesso tempo, spietato nel descrivercela.
Sono molto legato alla classe media. È il mondo in cui sono cresciuto. I miei personaggi mi sono familiari. Ma non si rifanno a nessuna delle persone che realmente conosco.
Nei suoi film c'è sempre una predilizione al lato grottesco dell'esistenza, tanto che i suoi personaggi potrebbero quasi venir letti come a delle caricature.
Mi spiace se questo lavoro venga letto in termini caricaturali. Il film è troppo triste per essere una caricatura. È buffo! Forse è una commedia. Ma non mi piace definirlo così quando lo rivedo. Non voglio sentir parlare di caricuture, nemmeno nel caso dei genitori di Abe seppure abbiano comportamenti stereotipati. Per me è davvero doloroso vedere il percorso che il protagonista sta tentando di compiere e non potrei assolutamente dipingerlo frettolosamente in maniera macchiettistica. Pensare che sia solo una caricatura.
Può spiegarci come ha gestito i diversi inserti onirici? E soprattutto chi sogna chi?
Il film attraversa l'esperienza di Abe. Siamo convinti che quello mostratoci sia il suo punto di vista. Ma alla fine non è così chiaro di chi sia il sogno. Perché Abe è morto, e qui scopriamo che è Marie (Donna Martin) che sta sognando ad occhi aperti. C'è un ribaltamento di prospettiva. Abbiamo conferma che lei è l'unica ad avergli voluto bene nonostante le sue sfortune. Che teneva a lui. Lo ha amato. Come uomo.
È giusto interpretare i suoi personaggi, anche alla luce del loro bagaglio di difficoltà e sfortune, come a delle vittime della società con cui sono costretti a confrontarsi?
Dire che tutti sono il prodotto di questa società "pop" è riduttivo. Tutte le famiglie sono state profondamente influenzate da questa cultura. Una coppia, come quella dei genitori di Abe, difronte a due figli, uno di successo, l'altro che non trova la sua strada, si chiede dove possa aver sbagliato. Sono stati per entrambi buoni genitori. Non c'è realmente una risposta. Puoi provare ad analizzare le situzioni, cercare di trovare spiegazioni, ma alla fine devi accettare che non puoi controllare il destino. Nemmeno dei tuoi figli.
È come se a complicare ulteriormente il blocco di crescita di Abe contribuisca l'inevitabile confronto-scontro con il fratello, uomo realizzato e di successo.
Ci sono persone che amano il successo e altre che ne hanno paura. Io ne ho paura. Mi domando spesso cosa voglia dire avere successo. E non so cosa risponderti. Per quanto riguarda i miei personaggi, tipo Abe, io li accetto come sono. Non cerco di dare spiegazioni, cercare cause sul perché si presentano così.
È corretto leggere Dark Horse come il suo lavoro più citazionista? Strutturalmente il film ci ha fatto pensare a Le charme discret de la bourgeoisie di Buñuel. Proprio per il modo in cui la dimensione del sogno non contamina quella della realtà, ma piuttosto la avvolge completamente determinando così una condizione di incertezza in noi spettatori che ci ritroviamo del tutto incapaci di stabilire se all’interno della narrazione, esista una zona non attraversata dall’allucinazione. Gli incontri che Abe ha con Marie richiamano quelli tra Benjamin e Mrs. Robbinson di The Graduate. Anche il dialogo tra loro, quando lui dichiara di aver già avuto relazioni con donne più mature, sembra rifarsi a quello tra i protagonisti del film di Nichols. E poi Christopher Walken straordinariamente keatoniano nella sua imperturbabile inespressività.
Gli altri mi dicono che nei miei film mi rifaccio a questo o a quell'altro regista. Ma io non lo so. Alcune volte è capitato che ne fossi consapevole. Ma non in questo caso. In certi è film è capitato, ma qui non posso dirti se abbia voluto omaggiarne qualcuno. Sto pensando se sia vera questa cosa. Ma non lo so.
Ha avuto difficoltà per produrre quest'ultimo lavoro?
Produrre un film è sempre un procedimento orribile. Non ho il fisico per sopportare tutto quello stress. Più che entrare nelle questioni produttive, amo partecipare alla scelta del casting, lavorare al montaggio.
Com'è riucito a coinvolgere nel progetto Mia Farrow?
Mia Farrow si era riritirata dalle scene. Sua figlia, grande ammiratrice del mio cinema, le ha fatto accettare la parte senza nemmeno voler leggere la sceneggiatura. Sono stato molto fortunato. L'ho utilizzata per creare questo personaggio super conservatore e ordinario. E sono sato molto felice di lavorarci insieme.
Riallacciandoci alla precedente domanda, chi sono i registi che più ama?
Mi piace John Waters, Andy Warhol. Cukor! E tutti i grandi autori della cinematografia americana.
Io sono cresciuto per lo più guardando Tv. Anche quando uscì il film di Cukor (pensiamo, stando alle date, possa trattarsi di The Blue Bird) mia madre mi disse che non era adatto a me. Ma io avevo 16 anni. Solo quando sono andato poi al college ho avuto la possibilità di ampliare i mei orizzonti di visione. Il mio interesse per il grande cinema è arrivato tardi.
Che percezione c'è negli Stati Uniti di questa crisi economica globale che sta facendo vacillare la sua leadership tra le grandi potenze occidedentali?
In America non solo adesso c'è la crisi. Sono 15 anni che siamo in crisi! Ma sono state crisi differenti. Comunque, nonostante la difficile situazione economica, io sono riuscito a fare il mio film. Sono un po' timido del dover parlare in termini generali della situazione americana. Chiaro che il grande cambiamento c'è stato con l'11 settembre. Anche nell'immaginario.
Nei suoi lavori ha sempre prestato molta attenzione alla colonna sonora. L'impressione è che negli ultimi film questa acquisti un ruolo ancora più rilevante e rivelatorio.
Amo la musica. E la musica funziona in modi differenti. Il personaggio di Abe è all'interno della logica di American Idol. Quindi ho pensato che il tipo d'immagine e di riferimenti dovesse rifarsi il più possibile a quell'universo. Ma la musica è anche una sorta di elemento psicologico del personaggio.
Cosa pensa della critica, sia in generale ma anche più nello specifico, quando questa si confronta con i suoi lavori?
Non ho controllo sull'apparato critico. Accetto allo stesso modo giudizi positivi e negativi. Cerco di non darci troppa attenzione. A volte anche una critica positiva può creare molte difficoltà.
Un ringraziamento speciale a Diego Mondella (senza il suo aiuto difficilmente saremmo riusciti a realizzare l'intervista) e a Giovanni Loiudice per il supporto tecnico.