La creazione artistica è lo spazio della soggettiva elaborazione di pensiero, della ricerca e del fare. La persona di cultura deve sapere che il cambiamento e la rivolta si costruisce a "partire da sé". L’arte che riesce a catturarla è quella che mette in risalto la pratica politica femminista dell’autocoscienza.
Spesso ci troviamo a vivere nel tempo senza poi realmente abitarlo. Abbiamo perso l’idea della transitorietà della nostra vita mentre alcuni studiosi di social media e scienziati visionari dicono che la speranza di registrare tutto per sempre è la tappa della neuroscienza del futuro. Nei confronti di questa sfida mi capita di ripensare alle esperienze significative come quelle che Carla Lonzi ha proposto in passato per cercare di approfondire l’argomento. Scrittrice e critica d’arte capace di dare vita a continue sperimentazioni teoriche, la sua sollecitazione più interessante è senza dubbio quella dell’intervista in forma di conversazione, al fine di registrare il reale.
La forma dell’intervista è sintomatica di una precisa modalità di fare critica d’arte davvero nuova e in linea con la coeva produzione artistica.
Nata a Firenze nel ’31 e morta nel 1982, Carla Lonzi seppe concepire la forma della conversazione al solo scopo di mantenere la vivezza del momento della discussione a più voci permettendo al lettore di immaginare vividamente il dibattito. La questione critica e le possibili future applicazioni sono a mio avviso gli elementi più interessanti della sua ricerca teorica. Il vigore di questo tipo di lavoro sta tutto in questa schietta trascrizione del dialogo che la coinvolse e impegnò molto, sia dal punto di vista della riflessione linguistica che delle relazioni intersoggettive e dunque della politica che in esse trova compimento. Oltre che a mantenere un tono molto più coinvolgente che in un saggio critico impersonale, la forma dell’intervista è sintomatica di una precisa modalità di fare critica d’arte davvero nuova e in linea con la coeva produzione artistica. Le pause, i discorsi, le interruzioni e gli accavallamenti rendono il lettore partecipe e presente nel vivo della discussione e offrono uno spaccato dell’arte che è senz’altro meno verboso o virtuoso. Lo scopo è di diventare coinvolgente, vivo, vero e pulsante.
L’intellettuale femminista
Scrittrice e critica d'arte, Carla Lonzi non “si occupò” d’arte come avrebbe potuto fare chiunque altro. Per questa donna sobria e seria la vita divenne strumento femminista finalizzato alla teoria dell’autocoscienza e della differenza sessuale. Allieva di Roberto Longhi, ha ben presto l’occasione di pubblicare la tesi di laurea sulla commistione tra la scena e le arti figurative dalla fine dell'Ottocento. L’elaborazione per la resa in stampa però la obbliga ad approfondire molto di quanto aveva scritto e anche se Longhi considerava eccellente il lavoro svolto, le cose prendono un’altra piega.
L’autrice non è convinta. Decide di non pubblicarla, rifiutando così una carriera universitaria praticamente assicurata! L’università non è il luogo dove realizzare la liberazione. L’università è il territorio dove si corre il rischio invece, di perfezionare una repressione mirabilmente coltivata nella sfera familiare. Svolge piuttosto l’attività di critica d'arte, sia presso la galleria d'arte Notizie di Torino, sia per riviste come Marcatré. Il periodo si conclude con il lavoro sulle interviste al quale l’autrice assegna l’emblematico titolo Autoritratto. Siamo nel 1969. Ed è necessario ripensare l’atto critico nel contatto diretto con l’artista e verificarlo nella partecipazione alla creazione artistica.
Il suo autoritratto con parole altrui. la parità tra critico e artista
La raccolta di interviste registrate e poi pubblicate col titolo Autoritratto presenta non solo le parole ma addirittura la densità dei silenzi degli intervistati. Non mancano ripensamenti, divagazioni e pause. Tale scelta critica è dettata in primis dall’esigenza di mettere in dubbio il potere della critica e dei critici blasonati. Il lavoro confluirà, tramite lo sdegno per le forme e le modalità della cultura maschile tout-court, all’elaborazione del testo “Sputiamo su Hegel”. L’imperativo è uno solo: mettere in dubbio lo strapotere dell’aspetto meramente interpretativo operato dal critico a favore di una sorta di dialogo basato sulla co-creazione di contenuti. Molto più simmetrica, meno legata al potere della critica sull’artista e dunque senz’altro più democratica.
Sono gli anni della contestazione giovanile e di una cultura che prova a farsi largo, imbevuta di femminismo, di ribellione e di rifiuto. Per Carla Lonzi significò entrare nel merito e partecipare alla fondazione delle edizioni di Rivolta Femminile dei primi anni ‘70.
“Stare vicino agli artisti e liberarmi io” _ arte e contestazione
La sua attività politica prolifica e avvincente fu opportunamente alternata a quella di critica d’arte. In questa veste, Lonzi concepisce l’arte come percorso di rottura. La creazione artistica è lo spazio della soggettiva elaborazione di pensiero, della ricerca e del fare. La persona di cultura deve sapere che il cambiamento e la rivolta si costruisce a "partire da sé". L’arte che riesce a catturarla è quella che mette in risalto la pratica politica femminista dell’autocoscienza.
Con l’impegno di “stare vicino agli artisti e liberarmi io“, Carla Lonzi decide di fare tabula rasa delle idee ricevute, quindi della cultura marxista e psicanalitica. Capisce di aver bisogno di fare “tabula rasa in me stessa per sottrarmi alle garanzie offerte dalla cultura… Sapevo troppo bene -dice - che le certezze acquisite nascondevano un veleno paralizzante”. Lo scopo è affermarsi sul vuoto di se stessa e “ascoltare la mia voce interiore” per cominciare ad avere degli interlocutori.
Carla Lonzi, Carla Accardi, Luciano Fabro, Luciano Pistoi e Giulio Paolini, 1965 - Foto tratta da ilmanifesto.it
Poeta e raffinata pensatrice
In una sua poesia si legge “Eccomi, risultato di circostanze favorevoli e sforzi energici, una sull’altra infinite volte sempre io. Vittoriosa di ciò che tira al contrario in me”. Forse fu proprio alla luce di queste parole che nel 1962 avvia una collaborazione con Carla Accardi, mentre scrive, organizza e collabora con la RAI, mettendo a punto la sua personale interpretazione del procedimento critico concepito come spostamento di sguardo. Dall’osservazione condotta solo verso la superficie dell’opera, Carla Lonzi s’interroga sulla necessità di alzare lo sguardo e condurre un dialogo con qualcosa di ben più ampio dell’opera. Qualcosa che renda visibile non solo il quadro ma il ruolo dovuto al processo creativo e alla personalità creatrice. In questo momento storico, lei è la prima intellettuale ad avere un’inedita esigenza. Ma… come metterla in pratica? La risposta è a portata di mano e per di più è sulla bocca di tutti. La soluzione è quella di mettersi in gioco in prima persona. Entrando nel vivo del contesto artistico, collocando e analizzando se stessi.
Basti pensare alla sua partecipazione “riflettente” nell’opera di Pistoletto per accorgerci di quanto fosse imprescindibile stabilire contatti significativi con l’arte anche dal punto di vista relazionale. Non è più possibile insomma, guardare opere nuove col vecchio metodo. Bisogna vivere la creazione e non l’ordine istituito su questa creazione a posteriori.
Interviste come uso inconsueto di gesti condivisi
Strumento privilegiato è l’intervista da intendere più verosimilmente nella sua accezione francese di colto intrattenimento e non di meccanismo basato su domanda/risposta. Intervista significa tempo lento. Parole piene di vita, prive di intellettualismi o di stile e per di più registrate! L’apparato tecnologico è garanzia di questa innovativa prassi critica. Alla diversa attitudine verso il suono della parola si associa un nuovo spazio di riflessione verso il silenzio carico di significati. A questo punto accade l’inevitabile e Carla Lonzi annuncia che la critica d’arte non esiste più. Si accorge che dare la parola all’artista significa avere una misura inedita della critica d’arte. Di ciò se ne rese conto senz’altro già all’epoca della collaborazione con Marcatrè. La quale non a caso era iniziata con i discorsi. Eppure, perfino questo modello era insufficiente. La critica che ne veniva fuori era ancora troppo fuorviante.
L’intervista migliore invece è quella dove Carla Lonzi decide di ritrarsi. Scomparire fino al punto da togliere le domande e sostituirle da punti di sospensione.
L’intervista migliore invece è quella dove Carla Lonzi decide di ritrarsi. Scomparire fino al punto da togliere le domande e sostituirle da punti di sospensione. È così che con Pascali, Lonzi sperimenta il caso dell’artista che divaga molto. O l’artista che avverte questo momento come fondativo della sua futura ricerca o di quello che per la prima volta riflette sul proprio percorso.
Nel frattempo Susan Sontag pubblica il saggio “contro l’interpretazione” e con la richiesta esplicita di una erotica dell’arte e non di una critica d’arte, dà il colpo di grazia, confermandole in tutto la bontà del lavoro condotto fin qui. Una conferma della necessità di far compiere alla critica d’arte un passo indietro a favore di un sentimento disordinato, caotico, privo di documenti ufficiali e sciolto forse nelle parole altrui. Un sentimento senz’altro rappresentativo di ciò che fa parte del vissuto dell’artista. Le parole a questo punto non potranno essere manipolate. E lei non lo fa. Non per un vezzo, ma per cambiare davvero rotta e offrirci l’immagine di artisti che vengono tutelati da quella sorta di omologazione inaccettabile che è l’interpretazione.
La scelta di smettere di occuparsi d’arte
Quando conclude Autoritratto, nel 1969 Carla Lonzi si asterrà dal fare altre sperimentazioni con la critica d’arte e purtroppo smetterà d’occuparsene. Si dichiara “fuori” e favorisce lo stare con se stessa. La tempesta provocata dalla sua uscita dall’arte altera la fisionomia della creatività che, d’ora in poi non sarà più la stessa. La registrazione del reale ci priva della funzione di presidio della conoscenza di cui abbiamo sempre più bisogno. Una funzione in grado di smorzare le continue invasioni da parte di politiche e apparati economici estranei all’arte. Di lei invece si dimenticarono artisti e addetti ai lavori inebriati dai fasti degli anni Ottanta. Oggi, la sua memoria è viva e persistente. Il suo contributo teorico sia in ambito artistico che politico è oggetto di convegni, pubblicazioni e di studi continui. Ecco perché sono convinta che ciò che l’ha esclusa davvero dall’arte, più della determinazione della scelta, è stata la sua prematura morte.
Carla Lonzi e Luciano Fabro alla Galerie de Nieubourg, Milano, 1969 - Foto tratta da ilgiornaledellarte.com
In apertura Carla Lonzi – Fondo Carla Lonzi, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea