"Storia di un impiegato": La canzone del padre
Nel 1973 conoscevo alcune canzoni di Fabrizio De André, non solo quelle più note come “Il pescatore” o “La guerra di Piero”, ma anche altre meno note di “Tutti morimmo a stento” o di “Non al denaro non all'amore né al cielo”: le ascoltavo in vacanza, quando andavo al mare del Golfo di Squillace e li stavo per due mesi, luglio e agosto. Nell'accampamento sulla spiaggia, fatto di baracche abusive, c'era un vicino che aveva il giradischi adatto ai 33 giri e aveva tra gli altri anche i concept album di De André. La musica che preferivo allora era il rock progressive, in particolare quello dei Genesis, Pink Floyd e Yes, ma anche degli italiani Banco del Mutuo Soccorso e Premiata Forneria Marconi. La maggior parte dei miei coetanei però preferiva ascoltare i cantautori, tra cui oltre a De De André spiccava Francesco Guccini e tanti altri ancora.
L'anno successivo, nel 1974, riuscii ad acquistare un giradischi portatile e mi presentai all'appuntamento estivo in Calabria con una piccola collezione di Lp acquistati nell'unico negozio esistente in quegli anni a Monza in via Zucchi. Con un certo orgoglio potei sfoggiare la musica rock moderna e più complessa della musica acustica dei cantautori italiani, che pure avevano parzialmente introdotto, almeno nelle registrazioni da studio, strumenti elettrici come moog e sintetizzatori. Tra questi c'era "Storia di un impiegato" e per il progressive "The Lamb Lies Down On Broadway" dei Genesis, a mio parer un capolavoro del genere. Potrebbe sembrare una un vezzo adolescenziale, ma fino a un certo punto, perché la musica accompagnava la lunga vacanza fatta di tanti e interminabili pomeriggi estivi, condividendo con gli amici il piacere della musica.
Nello stesso anno ero entrato a far parte del collettivo del Movimento Studentesco del Liceo Frisi. Alla maggior parte dei militanti piaceva poco De André e in particolare quell'ultimo disco divenne rapidamente inviso alla critica musicale dell'estrema sinistra. "Storia di un impiegato" veniva da più parti accusato di essere uno svilimento della contestazione studentesca e per alcuni versi in parte lo era, soprattutto in alcune canzoni come “Il ballo mascherato” o il “Bombarolo”, cosa di cui erano probabilmente coscienti gli stessi autori: De André, Nicola Piovani e Giuseppe Bentivogli. Ma nell'album era tuttavia contenuto un piccolo gioiello “La canzone del padre” e anch'esso criticato aspramente e a mio parere ingiustamnte, fino a considerare l'uso del sintetizzatore in quel brano simile allo scacciapensieri delle canzoni di mafia.
Invece a me dava sensazioni assai diverse e per questo ho continuato ad ascoltarlo per diversi anni nei pomeriggi quando tornavo a casa da scuola. Era come una sorte di rifugio psicologico. La ballata, si può dire tipica di De André, riproduceva quella sensazione di lentezza, di leggera tristezza e malinconia che si avverte nei lunghi pomeriggi primaverili tra marzo e aprile. Il testo è decisamente difficile da decifrare e a tratti intellegibile. Ma, ascoltandolo più volte, alla fine si capisce il senso profondo, collegato al resto del concept album: il corso e il ricorso del rigenerasi perpetuo del potere, visto con un vago riferimento al movimento della Beat Generation americana e alle teorie post strutturaliste di Michel Foucault. Quindi il brano concettualmente “vola molto alto” e fa il paio con l'altro brano contemporaneo e centrale di “The Lamb Lies Down On Broadway”, “The Colony of Slippermen”, anche se quest'ultimo ha un'abissale e differente raffinatezza musicale, con il magistrale virtuosismo alle tastiere di Tony Banks.
Il potere, che si è manifestato nel “Sogno numero due”, il precedente brano del lato A, ha così sentenziato:
Tu sei il potere.
Vuoi essere giudicato?
Vuoi essere assolto o condannato?
Così il trentenne impiegato, che si “sveglia” sei anni dopo la ribellione studentesca del'68, viene riconosciuto come parte integrante e inalienabile del potere, gli viene perdonato il gesto di follia rivoltosa e viene rimesso al suo posto, o meglio a quello che apparteneva a suo padre, per continuare a svolgere le stessi funzioni di controllo nelle gerarchie del potere assegnate: ...”Le più piccole dirigile al fiume, le più grandi sanno già dove andare"...
“Vuoi davvero lasciare ai tuoi occhi
Solo I sogni che non fanno svegliare"
"Sì, Vostro Onore, ma li voglio più grandi"
"C'è lì un posto, lo ha lasciato tuo padre
Non dovrai che restare sul ponte
E guardare le altre navi passare
Le più piccole dirigile al fiume
Le più grandi sanno già dove andare"
Così son diventato mio padre
Ucciso in un sogno precedente
Il tribunale mi ha dato fiducia
Assoluzione e delitto lo stesso movente.
Distendendo i panni al sole – Angelo Morbelli ( 1853 – 1919 )
Nel riprendere il proprio posto del gradino sociale, l'impiegato non fa a meno di comparare la vita triste e senza senso di un compagno di scuola, appartenente a una classe sociale inferiore:
E ora Berto, figlio della Lavandaia
Compagno di scuola, preferisce imparare
A contare sulle antenne dei grilli
Non usa mai bolle di sapone per giocare
Seppelliva sua madre in un cimitero di lavatrici
Avvolta in un lenzuolo quasi come gli eroi
Si fermò un attimo per suggerire a Dio di continuare a farsi i fatti suoi
E scappò via con la paura di arrugginire
Il giornale di ieri lo dà morto arrugginito
I becchini ne raccolgono spesso
Fra la gente che si lascia piovere addosso.
Il confronto è tremendamente spietato e si rivela una vita non molto migliore, se non negli aspetti di agiatezza, ma tuttavia carica di ipocrisie, tipiche della piccola borghesia e narrate più volte in altre canzoni più famose da De André:
Ho investito il denaro e gli affetti
Banca e famiglia danno rendite sicure
Con mia moglie si discute l'amore
Ci sono distanze, non ci sono paure
Ma ogni notte lei mi si arrende più tardi
Vengono uomini, ce n'è uno più magro
Ha una valigia e due passaporti
Lei ha gli occhi di una donna che pago
Commissario io ti pago per questo
Lei ha gli occhi di una donna che è mia
L'uomo magro ha le mani occupate
Una valigia di ciondoli, un foglio di via.
Nel finale c'è una sorpresa: qui siamo nel primo brano del lato B, la storia continua, questo è solo un tentativo di riportare all'ovile la pecorella smarrita, ma l'impiegato si risveglia ancora di soprassalto, non tanto perché si riconosce nel figlio meno voluto, “ Non gli importa d'alzarsi, neppure quando è caduto”, ma piuttosto nel “Il Guttuso ancora da autenticare”, cioè nel rigetto più ipocrita del piccolo borghese, quello di dovere dare valore a un'opera d'arte (in questo caso del pittore comunista Renato Guttuso che ha narrato con il realismo figurativo la vita delle classi subalterne) che evidentemente non si capisce o non si è in grado di capire, restando a dirigere dal ponte le navi:
Non ha più la faccia del suo primo hashish
È il mio ultimo figlio, il meno voluto
Ha pochi stracci dove inciampare
Non gli importa d'alzarsi, neppure quando è caduto
E i miei alibi prendono fuoco
Il Guttuso ancora da autenticare
Adesso le fiamme mi avvolgono il letto
Questi i sogni che non fanno svegliare
Vostro Onore, sei un figlio di troia
Mi sveglio ancora e mi sveglio sudato
Ora aspettami fuori dal sogno
Ci vedremo davvero
Io ricomincio da capo
Negli intermezzi musicali il sintetizzatore, quello aspramente criticato dalla critica musicale di estrema sinistra, viene sostituito da un fischiettìo che, a mio parere, oltre ad evocare la noia del pomeriggio, potrebbe essere una citazione delle colonne sonore di Ennio Morricone nei film “western spaghetti” di Sergio Leone e che negli anni precedenti avevano avuto un grande successo cinematografico, in particolare “Per un pugno di dollari”. Questa, come dicevo prima, è per me la canzone più significativa dell'album, poi seguono alcuni pezzi un tantino monotoni e si conclude con l'altra canzone altrettanto significativa “Nella mia ora di libertà” dove il ribelle impiegato diventa irriducibile e refrattario al potere: ...”se c'è qualcosa da spartire tra un prigioniero e il suo piantone che non sia l'aria di quel cortile voglio soltanto che sia prigione.
Il testo
Nella mia ora di libertà
Di respirare la stessa aria
di un secondino non mi va
perciò ho deciso di rinunciare
alla mia ora di libertà
se c'è qualcosa da spartire
tra un prigioniero e il suo piantone
che non sia l'aria di quel cortile
voglio soltanto che sia prigione
che non sia l'aria di quel cortile
voglio soltanto che sia prigione.
È cominciata un'ora prima
e un'ora dopo era già finita
ho visto gente venire sola
e poi insieme verso l'uscita
non mi aspettavo un vostro errore
uomini e donne di tribunale
se fossi stato al vostro posto...
ma al vostro posto non ci so stare
se fossi stato al vostro posto...
ma al vostro posto non ci sono stare.
Fuori dell'aula sulla strada
ma in mezzo al fuori anche fuori di là
ho chiesto al meglio della mia faccia
una polemica di dignità
tante le grinte, le ghigne, i musi,
vagli a spiegare che è primavera
e poi lo sanno ma preferiscono
vederla togliere a chi va in galera
e poi lo sanno ma preferiscono
vederla togliere a chi va in galera.
Tante le grinte, le ghigne, i musi,
poche le facce, tra loro lei,
si sta chiedendo tutto in un giorno
si suggerisce, ci giurerei
quel che dirà di me alla gente
quel che dirà ve lo dico io
da un po' di tempo era un po' cambiato
ma non nel dirmi amore mio
da un po' di tempo era un po' cambiato
ma non nel dirmi amore mio.
Certo bisogna farne di strada
da una ginnastica d'obbedienza
fino ad un gesto molto più umano
che ti dia il senso della violenza
però bisogna farne altrettanta
per diventare così coglioni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni.
E adesso imparo un sacco di cose
in mezzo agli altri vestiti uguali
tranne qual è il crimine giusto
per non passare da criminali.
Ci hanno insegnato la meraviglia
verso la gente che ruba il pane
ora sappiamo che è un delitto
il non rubare quando si ha fame
ora sappiamo che è un delitto
il non rubare quando si ha fame.
Di respirare la stessa aria
dei secondini non ci va
abbiamo deciso di imprigionarli
durante l'ora di libertà
venite adesso alla prigione
state a sentire sulla porta
la nostra ultima canzone
che vi ripete un'altra volta
per quanto voi vi crediate assolti
siete lo stesso coinvolti.
Per quanto voi vi crediate assolti
siete lo stesso coinvolti.
Per leggere tutti gli interventi di "Il nostro De André" clicca qui: