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Storia, teoria e pratica del condizionamento giornalistico nel libro di Marcello Foa, Gli stregoni della notizia atto secondo

Che la professione giornalistica soffra un periodo di crisi, non mi pare nemmeno il caso di discuterlo. La concorrenza dei grandi siti gratuiti che aggregano notizie, la concorrenza scorretta di siti gratuiti che copiano notizie pubblicate da altri senza citarne la fonte, la legittima concorrenza di siti originali ma curati da dilettanti non iscritti all’Ordine dei giornalisti e una legge sui diritti d’autore ormai antiquata hanno in primo luogo eroso la vendita delle copie cartacee in edicola e in secondo luogo hanno prosciugato i budget pubblicitari che un tempo erano destinati ai quotidiani e ai periodici.

Se Atene piange, Sparta però non ride. Non va infatti dimenticato come gran parte delle testate giornalistiche online non navighi nell’oro tra i rari abbonamenti e gli introiti pubblicitari che in massima parte vanno ai grandi big di internet. Da tutto ciò ne è conseguita una sistematica ricerca di economia da parte degli editori che, sebbene giustificata da oggettive ragioni come il drastico calo di numero di lettori, ha inciso sulla qualità del prodotto, aggravando così la situazione.

Pagare infatti un praticante tre o quattro euro ad articolo quando va bene, e pagarlo in “visibilità” quando va male, raramente porta a mantenere sul lungo periodo standard qualitativi elevati.

Pagare infatti un praticante tre o quattro euro ad articolo quando va bene, e pagarlo in “visibilità” quando va male, raramente porta a mantenere sul lungo periodo standard qualitativi elevati. Spesso quindi la necessità di abbassare il più possibile i costi ha spinto molte testate ad adottare il modus operandi di copiare e a incollare i lanci di agenzia senza fare alcuna verifica per mancanza di tempo o di personale e ad azzerare l’ancor più costoso – e anche rischioso, per via delle possibili cause di risarcimento danni – lavoro di inchiesta. Ciò ha provocato un ulteriore calo della qualità del prodotto che inevitabilmente ha allontanato ancor più i lettori e gli inserzionisti. 

Intendiamoci però anche su un altro punto: la qualità della proposta giornalistica in Italia stava in ogni caso scadendo via via da parecchi anni a questa parte, da prima cioè dell’esplosione di internet, un po’ per il tradizionale utilizzo dei quotidiani come strumento di pressione politica da parte dei loro editori, interessati poi a fare affari in altri ambiti, un po’ per la brutta abitudine che si è accentuata negli ultimi anni, complice anche il restringersi dei posti a disposizione, di assumere nelle testate i figli di giornalisti. In alcuni casi si tratta di professionisti impeccabili, ma davanti a certi numeri – nei grandi quotidiani si parla di una quota di circa il 50% delle assunzioni – è inverosimile pensare, anche solo a livello probabilistico, che siano sempre i figli di giornalisti a essere i migliori candidati possibili a essere assunti. E anche questo è un comportamento che alla lunga ha abbassato la qualità giornalistica poiché quando non entrano forze fresche in un ambiente – in qualsiasi ambiente, non solo in quello giornalistico – prevale infatti il conformismo. I quotidiani sono uguali l’uno all’altro per circa il 90% delle pagine poiché il problema principale nelle redazioni non è quello di essere sicuri della fondatezza delle notizie che verranno date, ma è quello di dare sicuramente le notizie che anche gli altri quotidiani daranno. Per evitare il rischio di non dare qualche notizia che qualche altro giornale darà, nelle redazioni si tende pertanto ad andare sul sicuro e a parlare sempre delle stesse cose, alimentando un circuito autoreferenziale che non fa certo bene a un’informazione libera.

Per evitare il rischio di non dare qualche notizia che qualche altro giornale darà, nelle redazioni si tende pertanto ad andare sul sicuro e a parlare sempre delle stesse cose

La crisi della professione giornalistica in Italia non è dunque figlia solo di internet e di scelte finanziarie poco lungimiranti, ma è anche figlia di una crisi di credibilità.

Tutta questa lunga premessa per dire che c’è chi, di questa situazione, sa approfittarsi. Sono gli spin doctor, chi cioè sa imprimere alle notizie un taglio particolare: professionisti, al soldo dei governi o delle multinazionali, che sanno orientare e manipolare la stampa distorcendo il rapporto tra mondo dell’informazione e mondo politico e inducendo la stampa a far propria una determinata visione dei fatti.

Il bel saggio che vi consiglio di leggere questo mese – scritto da Marcello Foa e che è stato adottato come testo d’esame in almeno sette facoltà di giornalismo e di comunicazione – si intitola Gli stregoni della notizia atto secondo e tratta proprio degli spin doctor: la loro storia cominciata oltre un secolo fa; il loro esplodere come fenomeno mondiale negli anni Ottanta con la presidenza Reagan; il loro influsso nelle maggiori vicende politiche degli ultimi trent’anni e le loro tecniche di condizionamento occulto.

Come fanno gli spin doctor a manipolare la stampa? Principalmente perché sanno che il meccanismo generale di creazione delle notizie è viziato in partenza e rende strutturalmente possibili le manipolazioni. Oltre il 90% delle “notizie” non sono in realtà fatti – come potrebbe essere uno scontro tra treni – ma sono pseudoeventi creati artificialmente dalle Istituzioni, come per esempio conferenze stampa e dichiarazioni rilasciate da Ministeri, Banche, Governi e così via. Non è un caso che d’estate, quando le Istituzioni sono chiuse, il lettore dei giornali ha l’impressione che ci siano meno notizie. Non è un’impressione, è proprio così: a intendersi ovviamente su cosa sia una notizia.

Oggi sono le notizie che vanno a cercare i giornalisti, all’ora giusta e con le modalità giuste.

L’immagine del reporter americano anni Trenta che consuma le suole delle scarpe sui marciapiedi di New York in cerca di notizie è dunque solo un ricordo romantico. Oggi sono le notizie che vanno a cercare i giornalisti, all’ora giusta e con le modalità giuste.

Se uno spin doctor riesce a muoversi e a condizionare l’inizio della catena – le grandi agenzie di stampa che danno le notizie e i grandi media che a loro volta vengono ripresi poi a cascata da tutti gli altri media più piccoli – è a cavallo: gran parte dei media seguiranno l’impulso dato in partenza senza fare alcuna verifica, ma accettando acriticamente quello che arriva dall’alto e con il taglio che arriva. Ciò che arriva dall’alto però non è evento neutro, ma è prodotto costruito da qualcuno.

 

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La seconda guerra del Golfo è un esempio perfetto delle capacità degli spin doctor. L’opinione pubblica è stata manipolata facendole credere l’Iraq fosse uno Stato alleato di Al Qaeda e che Saddam Hussein avesse un arsenale di armi di distruzione di massa e che fosse pronto a utilizzarlo contro gli Stati Uniti. È stato il governo degli Stati Uniti a inventare queste notizie e a metterle in circolazione attraverso i propri spin doctor – in circolazione ad alto livello, s’intende – per coprire le reali motivazioni della guerra, che erano legate all’instabilità politica dell’Arabia Saudita, grande produttore di petrolio e storico alleato degli Stati Uniti, ma anche regno fragilissimo e corrottissimo, a rischio oggettivo di colpo di Stato, almeno in quel momento storico (oggi gli Stati Uniti sono autosufficienti a livello energetico e la situazione dell’Arabia Saudita si è stabilizzata).

E anche se all’epoca molte voci autorevoli, perfino della CIA e dell’FBI, avevano tentato di smontare la tesi che Saddam Hussein avesse un arsenale di armi chimiche e che fosse pronto a utilizzarlo contro gli Stati Uniti, proprio la grande stampa – cioè proprio quella che di solito si compiace di definirsi cane da guardia del potere – si fece involontariamente complice della mistificazione trasformandosi in una propagandista delle posizioni governative americane che furono acriticamente accettate come buone o che furono verificate cercando riscontri… su altri mezzi di informazione: il che vuol dire non verificare niente.

Non è l’unico esempio. In Siria recentemente lo schema si è ripetuto pari pari: arsenali chimici e notizie verificate su altri mezzi di informazione. Qualche ufficiale presente sul campo, perfino uno italiano intervistato dal “Corriere della Sera” (non certo un giornale filo Putin), ha tentato di smontare la notizia ricordando che non esistono armi chimiche che colpiscano solo donne e bambini e che vengano lavate via con l’acqua, ma è stata una voce isolata – seppur autorevole e documentata – in un mare di voci contrarie e non verificate.

Ma gli esempi sarebbero innumerevoli, e a tutti i livelli. Le immagini girate a Kuwait City durante la prima guerra del Golfo (forse le ricorderete: su un muro campeggiava un’invocazione in inglese che chiedeva libertà per il Kuwait) erano state per esempio girate in uno studio di Hollywood e poi passate ai grandi media che però non verificarono la fonte.

Il famoso cormorano imbrattato di petrolio – un’immagine celebre – era stato imbrattato apposta da un operatore, e anche in questo caso, nonostante qualche esperto avesse fatto notare che non era la stagione giusta per i cormorani, le immagini vennero trasmesse da tutti i media del mondo, un po’ perché sarebbe stato complesso fare dei controlli sulle fonti, un po’ per paura di perdere una notizia che altri media avrebbero riportato.

 

Un estratto da Sesso & potere (Wag the Dog), film del 1997 diretto da Barry Levinson. Tratto dal romanzo American Hero di Larry Beinhart.

 

E che dire delle fosse comuni di Gheddafi? Si trattava di immagini di un terreno smosso. Punto e basta. Per non parlare poi del genocidio in Kosovo. In quest’ultimo caso non c’erano nemmeno le immagini: bastò la parola, anzi un’espressione che in quei giorni venne ripetuta da tutti i media del mondo: “mancano all’appello centomila persone”. A scuola chi copia almeno cambia le parole: nelle redazioni evidentemente non vale la stessa accortezza.

Recentemente è emerso che anche diversi filmati di propaganda dall’ISIS sono stati girati in Inghilterra e non da jihadisti d’oltremanica, ma da un’azienda di comunicazione che ha un’enorme contratto per curare l’immagine del governo e che utilizza queste forme di sofisticata propaganda – far apparire il nemico in tutta la sua brutalità – facendole transitare attraverso la stampa “indipendente”.

Ma non è prerogativa dei soli governi utilizzare le armi degli spin doctor.

Anche le grandi aziende li utilizzano, e la Monsanto ne è stato un esempio clamoroso. Per anni è riuscita a rallentare le indagini sul glifosato attraverso una serie di pressioni legali, ma anche attraverso l’opera spregiudicata dei suoi spin doctor che hanno fatto pubblicare, anche su grandi testate, risultati di ricerche compiute da istituti formalmente indipendenti, ma che venivano finanziati in modo indiretto dalla Monsanto stessa. È superfluo dire cosa dicessero questi studi.

Quella che abbiamo visto all’opera con la Monsanto è una delle tecniche più efficaci utilizzate dagli spin doctor, soprattutto quando ci sono di mezzo le multinazionali: si chiama tecnica della “terza parte indipendente”. Tale tecnica prevede che enti di ricerca formalmente indipendenti – in realtà finanziati, anche se non direttamente, da Stati o multinazionali – facciano uscire studi o sostengano tesi favorevoli ai loro finanziatori occulti.

Ma in Italia in anni recenti si è verificato anche il caso di una persona con la terza media – spin doctor di sé stesso – che, utilizzando solo il suo computer, è riuscita a mettere nel sacco per mesi e mesi le più grandi testate del Paese, ottenendo in questo modo fido bancario e influenzando perfino l’andamento in borsa di alcuni titoli. Si trattava di Alessandro Proto, che inviava comunicati stampa millantando spettacolari trattative, di solito immobiliari, con grandi gruppi o con personalità di fama mondiale che lui non aveva mai incontrato e con i quali non avrebbe mai potuto nemmeno intavolare trattative per il semplice fatto che le proprietà immobiliari non erano sue e che non aveva il mandato dei proprietari per avviare trattative. I giornalisti che ricevevano tali comunicati non li cestinavano perché avevano paura di perdere una notizia che altri avrebbero potuto dare – vedete a cosa può portare il conformismo – e così in pagina finì di tutto. La conclusione è stata la seguente: Alessandro Proto è finito in prigione e chi ha collaborato involontariamente (ma in modo colposo) a fargli compiere i reati continua a scrivere.

Ma, per comprendere in tutta la sua gravità il problema dell’influenzabilità della stampa, e attraverso di essa l’influenzabilità dell’opinione pubblica, non si può non citare anche il fatto che spesso in pagina finiscano burle di buontemponi prese per oro colato: che Kim, il leader della Corea del Nord, abbia fatto uccidere con un colpo di cannone un suo generale che si era appisolato durante un suo discorso, era un’invenzione di un giornale umoristico che venne presa per buona da un altro giornale, e poi riportata via via da tutti gli altri.

A proposito di notizie prese per buone, anni fa il nostro Ministero delle Attività Produttive caricò per sbaglio sul proprio sito un test editoriale che riportava una notizia inventata lì per lì per vedere come sarebbe venuto un articolo in pagina. L’articolo diceva che il prezzo delle colombe pasquali era rincarato del 50% rispetto all’anno precedente. Un’agenzia di stampa riprese la notizia, ma senza verificarla, e potete immaginare di cosa si parlava il giorno dopo sui giornali italiani.  

Ma in Italia c’è anche un buontempone – il cui operato è stato più volte segnalato agli organi di stampa, che però regolarmente cascano nei suoi tranelli quando basterebbe poco per evitarli – che da anni, e con una certa regolarità, riesce a far pubblicare una notizia falsa, sempre la stessa, e cioè una causa intentata alla Banca d’Italia da una persona che ha trovato per caso, e in circostanze singolari (con particolari molto succulenti per i giornali), alcuni miliardi di vecchie lire che non possono essere più cambiati da anni. Anche questo buontempone, a suo modo, è uno spin doctor, tuto sommato innocuo.

Gli obiettivi di uno spin doctor sono controllare il flusso delle informazioni, pianificare in anticipo ogni comunicazione e valorizzare l’immagine del proprio cliente e difenderlo dagli attacchi.

Ottengono questi risultati utilizzando varie tecniche.

Una l’abbiamo vista già all’opera, ed è la tecnica della “terza parte indipendente”, che è una tecnica efficacissima, ma anche costosa. Ce ne sono però di meno costose.

Alcune sono facili come inviare un comunicato a un’agenzia o convocare una conferenza stampa, possibilmente all’ora giusta per andare in pagina o alla televisione per ottenere il massimo ritorno di immagine possibile. Abbiamo visto, per esempio nel caso della falsa notizia del rincaro delle colombe pasquali, che basta che una notizia venga data da un’Istituzione per farla prendere per buona.

Un’altra tecnica tutto sommato a buon mercato è quella di confezionare gli articoli o i filmati, cioè consegnare ai vari giornalisti il loro lavoro già bello e compiuto, solo da firmare. La pigrizia farà il resto.

Altre tecniche sono più sofisticate, come premiare i giornalisti più “allineati” con possibilità di fare interviste e ottenere scoop. I giornalisti possono venir sedotti, e anche abbastanza facilmente, gli spin doctor lo sanno benissimo, per esempio introducendoli in una rete di relazioni dalla quale non avranno più interesse ad uscire. Giustamente Foa fa notare come siano scarsamente critici i giornalisti che seguono giornalmente i lavori dell’Europarlamento e maliziosamente fa notare di come essi probabilmente non abbiano interesse a criticare un’Istituzione che è anche la loro comoda casa.

Altre tecniche sono ancor più subdole. Una di queste – usata molto frequentemente – è quella che prevede una fuga di notizie seguita da una smentita risentita, con qualche precisazione. Un messaggio così veicolato ha il pregio di sembrare spontaneo e meno costruito rispetto a una dichiarazione ufficiale, ed è quindi più efficace. Durante la crisi siriana un giornalista americano raccolse per esempio una soffiata proveniente dagli ambienti del Dipartimento di Stato americano secondo cui Assad avesse usato i gas sui ribelli. Il Dipartimento di Stato smentì la circostanza, precisando però che se mai Assad li avesse usati... Il più era fatto. La tematica “gas” era stata messa sul tavolo. Non è stato a quel punto difficile convincere l’opinione pubblica che Assad del loro uso, anche se non esistono a questo proposito prove indipendenti che lo dimostrino. 

Un’altra tecnica complessa e per certi versi costosa è quella di produrre nell’opinione pubblica un certo frame, cioè una cornice emozionale da riempire poi di contenuti. Abbiamo per esempio visto che il famoso cormorano impregnato di petrolio della prima del Golfo era un’immagine costruita a tavolino. Tale immagine finì su tutte le prime pagine dei quotidiani di tutto il mondo e colpì l’immaginario collettivo molto meglio di qualsiasi discorso di politico. Creò in molte persone un’impressione a livello subliminale di crudeltà del regime di Saddam Hussein.

20181220 ibro foaSicuramente quello di Foa è un testo che deve essere letto da chi si occupa di informazione, a ogni livello lo faccia. Ma è anche un testo utile per i fruitori di notizie, cioè tutti noi, che attraverso la sua lettura possono apprendere le tecniche utilizzate dagli spin doctor per influenzare i media. Dovremmo diventare tutti lettori più critici, più scettici, ricordando che il termine “scetticismo” deriva da un temine greco che significa ricerca. Foa segnala anche alcuni indizi che possono far sospettare l’attività di uno spin doctor: il riferimento a soffiate provenienti dall’interno delle Istituzioni, un’improvvisa pressione mediatica, un’intolleranza verso chi dissente, l’apparire di immagini ad effetto e l’irrompere sulla scena di una terza parte indipendente.

Davanti a questo spettacolo, la battaglia portata avanti dalla grande stampa contro le fake news che appaiono sui social network appare in tutta la sua ipocrisia.

Marcello Foa, Gli stregoni della notizia atto secondo, Guerini e Associati, 2018, 21,50 euro.

 

L'illustrazione di apertura è di Alessandro Gottardo Shout, tratta da Internazionale.

Gli autori di Vorrei
Juri Casati
Juri Casati

Classe 1975, lavora in un'Agenzia per il Lavoro. Laureato in Filosofia, è autore di numerosi racconti di genere horror, gotico, fantastico e fantascientifico. Coltiva interessi in ambito storico e di filosofia della scienza

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