Jiří Kolář e André Masson "patroni" al MAC diretto da Alberto Zanchetta. I vincitori, le motivazioni e la presentazione del catalogo
«
Cambia pelle (come un serpente) e colore (come un camaleonte)»: queste le parole con cui Alberto Zanchetta, direttore del MAC, ha presentato lo scorso 1 dicembre la decima edizione del nuovo corso del Premio Lissone. La volontà di rinnovarsi, guardando però al passato contraddistingue l'attuale rassegna, perchè «l'etimologia della parola "tradizione" è uguale a quella di "tradimento", e dunque il Premio Lissone "tradisce la tradizione", ripartendo da essa».
Permane la formula dell'invito diretto – 33 quest'anno gli artisti selezionati – e la volontà di operare un confronto internazionale e intergenerazionale.
Tre le sezioni in cui è stata suddivisa l'attuale edizione: le prime due, riservate a ricerche metapittoriche, prendono il titolo in prestito da due citazioni di Robert Motherwell: «Desidero fare qualcosa di così bello come una tela vuota e di Philippe Sollers: «È strano continuare a pensare che la pittura sia fatta per essere vista», che vedono rispettivamente schierati il versante aniconico e l'orientamento figurativo.
Una terza sezione propone un dialogo simbiotico tra pittura e scultura, isiprandosi al celebre aforisma di Barnett Newman: «La scultura è quella cosa su cui inciampi mentre indietreggi per guardare un quadro».
"Patroni" dell'attuale edizione due artisti di fama internazionale: uno dei padri del collage - Jiří Kolář - e il surrealista André Masson.
Sebbene Kolář non abbia mai preso parte al Premio Lissone, la sua presenza è da ritenersi determinante perchè attraverso la serie presentata mostra una storia dell'arte che si "annida" nelle sue Ornitologie, in cui è possibile riconoscere alcuni celebri capolavori. Attraverso la tecnica dell'intercalage, scelta per la selezioe dei pezzi esposti, l'artista ha infatti fatto compenetrare silhouettes di rapaci e lepidotteri con alcune icone della storia dell'arte (da Giotto a Van Eyck, da Ingres a Van Gogh e Mondrian).
Jiří Kolář
Jiří Kolář ha sempre utilizzato il collage come proprio mezzo d'espressione, ma egli proveniva dalla tradizione letteraria. Il suo metodo di comunicazione creativa era il collage, la sostanza della sua arte la carta stampata; l'omofonia Kolář – collage illude peraltro che vi sia una connessione semantica tra questo genere artistico e il cognome (che in realtà significa "carraio" in ceco) e ha reso il maestro quasi un predestinato.
Già nel 1939, al Mozarteum di Praga, Jiří Kolář aveva esposto un gruppetto di suoi collages, ora perduti. Ma Il vero inizio della sua attività collagistica risale agli anni delle proibizioni, agli sciagurati tempi dello stalinismo. Nel 1950 -51, raccogliendo del materiale illustrativo per un libro sul folklore urbano, egli fermò la sua attenzione sui buffi effetti che scaturivano dall'accostamento di vari scampoli iconografici . Nacquero così le prime "konfrontaze" ("confrontages") e "rapportaze" ("rapportages").
Alla stessa famiglia appartengono gli "intercalages" ("prolaze") - presenti nella sala d'onore dedicata al maestro al MAC - parola derivata dal ceco "prolinati se": compenetrarsi.
Kolář inseriva frammenti di quadri famosi nelle silhouhettes di volatili, pesci o ali di farfalle. Un Monet, un Klimt, un Leger, un Rubens o ritagli di libri di geografia comparivano nelle ali di vanesse e di pieridi, oppure nel ventre di un pesce o di un uccello. Il catalogo del Premio Lissone introduce tale sezione con una significativa frase di Jean Cocteau: «Un uccello canta meglio sul proprio albero genealogico».
Queste immagini di opere d'arte sono fissate nella coscienza collettiva grazie alle tecniche di riproduzione industriale, perdendo, per effetto della banalizzazione, il loro potenziale simbolico, quello che Benjiamin, nel celebre saggio del 1936 L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, chiamava "aura".
Intorno a queste opere conservate in un museo immaginario, Kolář realizzò una nuova sintesi che rigettava le categorie tradizionali della storia dell'arte, le classifiche della critica ufficiale in stili, tendenze e scuole, la nozione stessa di periodizzazione. Egli mostrò come le opere potessero ignorare la tirannia del tempo e dello spazio, per esprimere, come disse Benjamin «uno spazio sicuro dell'avvenire».
L'eclettismo di Kolář si è sempre avvalso di espedienti che rimandavano all'arte dei secoli passati: «La plebe di uccelli e farfalle dei suoi intercalages sembra uscita dai paradisi animalisti della scuola di Praga», scriveva Angelo Maria Ripellino nel saggio dedicato all'artista. La memoria corre immediatamente alle Wunderkammer di Rodolfo II, alle pratiche astrologiche e alchimistiche della sua corte. Era nella tradizione ceca l'attitudine a catalogare, a ridurre a vocabolario: altrettanto scientifica fu la volontà di elencare metologicamente i vari momenti del proprio lavoro e le tipologie di tecniche usate nel suo Dizionario del 77 metodi di collage con le riproduzioni.
L'assidua presenza degli idoli del passato ingentilì il suo marchio di fabbrica. La sua arte si configura come una galleria di famose pitture, anche se contraffatte, un immenso compendio che convoglia la fantastica molteplicità del reale.
Il collage non era un'offesa all'opera: manipolandola, la serviva. Kolář ne era perfettamente consapevole: «So – diceva – che rendo agli artisti ciò che ho preso loro in prestito». Il collage esaltava l'autonomia delle opere d'arte proprio perchè confondendo e mescolando le icone consacrate diveniva esso stesso opera d'arte autonoma.
Una produzione indipendente dai vari movimenti ed indirizzi artistici, unica nel suo atteggiamento nei confronti della realtà e della passata storia dell'arte, di cui è attuale custode Sabina Melesi, titolare dell'omonima galleria lecchese, sede dell'archivio Jiří Kolář per l'Italia, da cui proviene la totalità delle opere in mostra. Un intercalage entrerà inoltre per l'occasione a far parte della collezione permanente del MAC.
Il secondo omaggio presente nella rassegna, dedicato ad André Masson, prende spunto da un enigma ancora oggi irrisolto: la X edizione del passato Premio Lissone del 1957 presentava un ritratto fotografico del celebre surrealista tra i partecipanti, ma il relativo catalogo non riproduceva alcuna sua opera. Non è dunque chiaro se l'opera di Masson fosse realmente giunta o meno a Lissone per l'occasione.
Certa è invece la partecipazione postuma dell'artista nella corrente X edizione 2018: la project room del MAC, collocata al secondo piano dell'edificio, accoglie un piccolo nucleo di tecniche miste realizzate tra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta su supporto cartaceo da Masson, che rivelano una forte inventiva segnica e sovversiva.
Sul versante figurativo un contributo fondamentale venne infatti dato all'Avanguardia surrealista dal maestro, che realizzò numerosi disegni automatici, sorta di grovigli o sismogrammi delle proprie pulsioni più profonde, facendo scorrere velocemente la penna sul foglio e assecondando il libero gioco delle immagini.
Giungendo finalmente ai premi assegnati, ai tradizionali Gran Premio della Pittura e Premio della Critica - aggiudicati da una giuria composta da Marco Meneguzzo, Demetrio Paparoni e Alberto Zanchetta - si affiancano ben due Premi alla Carriera e Premi Stima.
Novità l'ulteriore assegnazione di un Premio Editoria da parte della redazione di Exibart, media partner dell'evento, e di un Premio MAC, che garantirà all'artista vincitore una mostra personale presso tale sede espositiva.
Trionfatore dell'edizione 2018 e dunque vincitore del Gran Premio della Pittura è l'artista Gabriele di Matteo, che con le opere dal titolo China Made in Italy «minando l'autorità e l'autenticità dell'artista all'interno del sistema dell'arte pone una riflessione sul potere e sull'autonomia dell'immagine e della sua originalità. Tale equazione a ripetere genera un cortocircuito di persuasione che consegna agli annali dell'arte i suoi falsi autentici», spiega Zanchetta nella lettera di motivazione.
Gabriele Di Matteo China Made in Italy Composition 2 2009-2018 olio su tela installazione dimensioni variabili
Medaglia d'argento per le pittosculture Moment in Time di Sali Muller, ricavate da blocchi di veneziane, che si aggiudica il Premio della Critica. Questa la motivazione della Giuria relativa al premio: «Le pratiche e quindi le problematiche del pensare in termini di pittura finiscono col questionare sul purismo e sull'aspetto proteiforme dell'arte, intrattenendo un rapporto basato su forme, volumi e colori primari che si animano in tensioni e suggestioni interne, alla continua ricerca di una definizione spaziale».
Lucio Pozzi Ponti al cielo 2018 acrilico smalto ferromicaceo 4 viti su legno dittico cad. 110 x 95 x 96 cm
Primo premio alla carriera per Lucio Pozzi, artista ottantenne militante nella New York degli Anni Sessanta, autore del dittico Ponti al cielo. Volumi essenziali e colori primari – giallo e blu – sembrano emanare dalla struttura stessa, originando un'esperienza «che pretende di essere sia piana che spaziale» secondo le parole del critico Demetrio Paparoni.
Stephen Rosenthal Painting 4.10 cluster 2018 olio su tela 82 x 715 cm
Ex aequo per Stephen Rosenthal, le cui opere «visive e intensive rifiutano l'ornamento, per sondare gli aspetti tecnico analitici della pittura. Metodo e coerenza denotano gli aspetti salienti di un'estetica tesa a sfidare la grammatica di base della pittura, che è anzitutto e soprattutto ispirazione e anche incanto».
Silvia Vendramel Bath 2018 resina e poliuretano espanso 40x190x30
Francesca Ferreri Progressioni 2016 legno gesso rinforzato pigmenti resina consolidante
frammenti ceramici oggetti n.2 elementi 207 x 35 x 10 cm n.2
I due premi stima sono infine conferiti a Silvia Vendramel, che con l'installazione Bath colloca lo spettatore in una dimensione intima e domestica, liberando la scultura dalla propria dimensione fisico gravitazionale e all'opera Progressioni di Francesca Ferreri, che attraverso un gioco di sintesi e dilatazione della materia presenta sulla sua superficie occultamenti, collisioni e operazioni segniche e pittoriche.
Alek O. Tangram Lying Down Cat 2015 tessuto sintetico elasticizzato da parasole 224 x 170 cm
Matteo Bergamini e Silvia Conta, membri della redazione di Exibart, assegnano il Premio Editoria – consistente in un'intervista che verrà pubblicata sul prossimo numero 103 della rivista on paper – ad Alek O..
Nei suoi Tangram «l'utilizzo di un materiale comune viene elevato a nuova identità, attraverso una precisa rielaborazione estetica e formale. Per un curriculum internazionale, ma costruito anche in Italia, segno che nonostante tutto in questo paese si può ancora progredire con il proprio lavoro, Alek O. prosegue nel solco della ricerca pittorica in maniera non tradizionale, quasi ripercorrendo una certa Avanguardia italiana. Infine perchè siamo contenti di averla intervista già nel 2015 su Exibart come giovane promessa e oggi è qui con un percorso strutturato e solido», motiva Bergamini.
Alexis Harding Fragment view 2016 17 olio e vernice su MDF 122 x 104 cm
Conferito ad Alexis Harding, il Premio MAC consentirà invece all'artista di presentare negli spazi del museo una serie più ampia delle sue opere, che con un'alta densità e intensità cromatica riconducono a una pratica di ripensamento dei limiti della pittura, ridefinendone l'epidermide.
Da menzionare inoltre un intervento site specific pensato e realizzato per il MAC da parte di Silvio Wolf, che stazionerà per un intero anno sulle porte d'ingresso e le vetrate del museo. L'installazione Scala Reale è magistralmente descritta dall'artista, da sempre attratto dai luoghi fisici e simbolici che rappresentano soglie.
La pellicola fotografica genera una struttura prospettica, bidimensionale e illusoria, sorta di equazione di un'immagine continua, che continua all'infinito e si proietta dall'interno dell'edificio. Wolf l'ha concepita come un elemento reso visibile dall'esterno dell'interno illusorio. Nata come immagine bidimensionale essa acquista un aspetto tridimensionale cercando di interagire con l'architettura, con il contenitore museale.
Si tratta dunque di un lavoro relazionale, che conduce lo spettatore all'interno del MAC entrando attraverso l'opera, senza creare discontinuità tra architettura, spazio, immagine e interazione di chi ne fruisce. Un ingresso nell'opera che è un ingresso nel museo.
La presentazione al catalogo del Premio Lissone 2018
À propos de la peinture
Alberto Zanchetta
Nel secondo dopoguerra molti premi d’arte sono stati al servizio della propaganda, circostanza che si accordava con le località turistiche e i centri produttivi in cui venivano organizzati. Lo stesso è accaduto a Lissone, che ha inteso patrocinare un premio per la pittura allo scopo di conferire lustro alla manifattura mobiliera della cittadina briantea. Anche se molte di quelle rassegne sono state falcidiate dall’insorgere del movimento sessantottino, l’insofferenza per i premi d’arte si stava trascinando già da diversi anni e se ne può avere una riprova sfogliando il libro Il Pittore, scritto da Mario Lepore per i tipi di Vallecchi. Nel capitolo intitolato “Tutti scontenti delle mostre e dei premi” l’autore si fa portavoce delle lamentele di artisti e critici d’arte, per lo più amareggiati a causa della proliferazione di manifestazioni artistiche che duravano «l’espace du matin». Nelle pagine di questo catalogo vengono riportate alcune delle dichiarazioni apparse nel libro poc’anzi citato (la maggior parte degli interpellati sostengono che i premi siano utili agli artisti più che all’arte, talaltri suggeriscono di abolirli per favorire l’assegnazione di borse di studio o magari incentivare le acquisizioni dei musei), in quanto crediamo sia doveroso tenerne conto ancor oggi per riuscire a progredire e migliorare nell’organizzazione di tali eventi.
Benché i premi d’arte siano stati spesso mediocri e aleatori, in taluni casi sono riusciti a incentivare la divulgazione dell’arte. Nel libro di Lepore sono citate le manifestazioni più importanti e longeve dell’epoca, in primis la Biennale di Venezia, subito seguita dal Premio Marzotto e dalla biennale “Pittori d’oggi Francia-Italia”, quindi dal Premio Lissone cui viene dedicato un breve inciso, spiegando che «da alcuni anni la cittadina lombarda, nota per la sua industria del mobilio, […] ha avuto finora un orientamento non figurativo».
Sfogliando i quotidiani degli anni Cinquanta non è infrequente imbattersi in vivaci polemiche che contrappongono i pittori figurativi ai pittori astratti (nel 1952, quando la segreteria del Premio Lissone veniva affidata a Guido Le Noci, Ennio Morlotti e Mauro Reggiani si aggiudicavano ex aequo il Gran Premio della Pittura, ribadendo così lo spartiacque tra le due diverse coalizioni). Ma tale antagonismo non si limita alle setole dei pennelli, coinvolge vieppiù le penne – ben più affilate – dei critici e dei giornalisti; mentre Giulio Carlo Argan, Franz Roh, Giovanni Testori e Renato Birolli inneggiano al fervido sodalizio tra le arti visive e le arti applicate, auspicandosi che gli astrattisti contribuiscano ad ammodernare il gusto e la produzione mobiliera degli artigiani locali, dall’altra parte divampano le invettive di Anacleto Margotti, Vincenzo Costantini e Leonardo Borgese. Le “impudenti stroncature” di quest’ultimo infiammarono gli animi dei lissonesi, mossi alla speranza che qualcuno si adoperasse «a dare una lezione almeno di educazione critica e giornalistica a questo moderno solone». Caso ben più curioso è quello di Dino Buzzati: pur ammettendo di essere «favorevole in linea di principio all’arte astratta», non manca di descriversi come un’anima in pena, smarrita e sbigottita di fronte alla pletora di quadri astratti esposti al X Premio Lissone.
Volendo rammemorare la controversia del secolo scorso, l’attuale edizione del Premio Lissone è suddivisa in due sezioni, Desidero fare qualcosa di così bello come una tela vuota ed È strano continuare a pensare che la pittura sia fatta per essere vista, che vedono schierati il versante aniconico e l’orientamento figurativo. Com’è ovvio si tratta di un criterio anacronistico, e comunque pretestuoso, giacché gli artisti – sia dell’una sia dell’altra fazione – appartengono in pari modo al linguaggio metapittorico. Eppure, il “coraggio di contraddirsi”, ossia di ammirare senza emulare pedissequamente lo storico Premio Lissone, è un tratto distintivo di questa edizione che annovera una terza sezione dal titolo La scultura è quella cosa su cui inciampi mentre indietreggi per guardare un quadro, incentrata sulla correlazione tra la pittura e la scultura. Un binomio già sperimentato nel 1965 e nel 1967, anche se in modo completamente avulso dall’identità della rassegna lissonese. Con questa edizione confidiamo di essere finalmente riusciti a coronare il connubio – serrato e simbiotico – tra le due “arti sorelle”.
In conformità con il 2016, anche quest’anno sono state ripristinate le partecipazioni a invito diretto (una prerogativa delle edizioni storiche, così come di quelle tenutesi dal 2002 al 2007) che riteniamo siano indice di esclusività e di prestigio. Due omaggi, rigorosamente fuori concorso, avvalorano ulteriormente questa reputazione. Una Sala d’Onore è riservata a Jiří Kolář e alle sue Ornitologie, opere in cui si “annida” un piccolo compendio di pittura che risale a Giotto, prosegue con Van Eyck e Ingres per passare poi a Rousseau e Mondrian. Claudio Parmiggiani ricorda che Kolář «si pronuncia “Kolàge”, come “collage”, e il collage è stato il genere nel quale si è identificata la sua arte»; attraverso la tecnica dell’intercalage – una delle tante declinazioni che l’artista ha brevettato a partire dal collage – assistiamo infatti al compenetrarsi delle silhouettes di rapaci e lepidotteri con alcuni celebri capolavori della storia dell’arte.
Un secondo omaggio è dedicato a André Masson, e non per caso: ancor oggi non è chiaro se egli abbia effettivamente partecipato al X Premio Lissone. Benché nel catalogo del 1957 non sia riprodotta nessuna opera dell’artista, un suo ritratto fotografico è incluso tra i partecipanti della rassegna lissonese. A Masson, quindi, è stata riservata la project room del MAC ove abbiamo deciso di [r]accogliere un piccolo nucleo di tecniche miste che datano dagli anni Quaranta agli anni Sessanta. In queste opere su carta emerge tutta l’inventiva segnica e sovversiva del Maestro surrealista che negli anni Ottanta ha rinunciato definitivamente alla pittura per dedicarsi con esclusività al disegno e all’incisione.
A fianco della pittura, della scultura e del disegno non può certo mancare la fotografia. Il nostro particolare encomio è rivolto a Silvio Wolf per aver concepito un intervento site-specific che avvolgerà il MAC per un anno intero. Allestista su entrambi i lati del museo, l’installazione interagirà con lo spazio architettonico e instaurerà al contempo una relazionale con il pubblico, così che l'accedere all’interno dell’edificio significherà anche entrare nell’opera.
Scegliendo di differenziarsi da analoghi premi d’arte, il Premio Lissone si rinnova per la seconda volta consecutiva, cambiando pelle (come un serpente) e colore (come un camaleonte). Oltre che internazionale, il Premio si prefigge di diventare intergenerazionale, senza mai dover soccombere a quei dispotismi che nel vicino passato hanno impedito di introdurre varianti e novità nel suo assetto espositivo. Approfondendo la disciplina pittorica e affrontandone le tendenze più attuali, il nuovo Premio Lissone intende continuare a “battere sullo stesso chiodo” per affrancarsi da quel «furore premiatorio» – come lo definiva Alberto Savinio – «dal quale non si è salvato nessuno».