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Il programma RAI degli anni ’60 e ’70, che ha segnato un’epoca e avvicinato alla musica non commerciale milioni di giovani, raccontato da uno dei suoi conduttori, Raffaele Cascone

Ci sono programmi radio e televisivi che segnano un’epoca e hanno una forte influenza su intere generazioni. È il caso del programma Radio Rai “Per Voi Giovani”, condotto all’inizio dal suo ideatore Renzo Arbore, a partire dalla metà del ’66, e poi affidata fino alla sua chiusura, nel luglio ’75, a tutta una generazione di D.J. diventati poi noti giornalisti, come Paolo Giaccio, Carlo Massarini, Mario Luzzato Fegiz, Raffaele Cascone, Fiorella Gentile, Teresa Piazza e Mariù Safier. Per un periodo fu condotta dal cantautore Claudio Rocchi e da Eugenio Finardi. “Per Voi Giovani” era praticamente l’unica trasmissione nella quale si poteva ascoltare la musica internazionale ed italiana meno commerciale, insieme a “Bandiera Gialla” condotta da Arbore e Boncompagni.

Raffaele Cascone  si è occupato della difficile uscita dalla colonizzazione musicale anglosassone, dando spazio a quello che viene definito “Rock Mediterraneo”

La chiusura del programma, sostituito da altri simili (Rai stereo notte, Radio due 21,29, Popoff) coincise, non a caso, nel 1976, con l’affermazione di massa delle radio libere, che si rivolgevano con un’offerta di programmi molto più ampia, allo stesso target, non più monopolizzato. Me ne occuperò in un prossimo articolo. Raffaele Cascone è stato conduttore di quel programma e si è occupato, agli inizi, della difficile uscita dalla colonizzazione musicale anglosassone, dando spazio a quello che viene definito “Rock Mediterraneo”, che vedeva in prima fila tutta l’area napoletana (Alan e Jerry Sorrenti, Napoli Centrale e Shawn Phillips). Oggi è psicologo e psicoterapeuta e stimato professore presso l’Università di Palermo, ma parte della sua storia personale sta in quella storia di musica che qui ci racconta.

Come nasce la tua passione per la musica?

Quando ero bambino, dopo la seconda guerra mondiale, cantavano tutte le donne: al lavoro, a casa, nei campi, alla finestra. Quelli che avevano la radio ci cantavano sopra. Cantavano anche i bambini, gli uomini a fine pranzo nei ristoranti, nelle gite fuori porta e ballavano tutti.

Tu hai suonato la chitarra in alcuni gruppi rock negli anni ’60?

Cominciai a suonare motivi popolari nel 1958, a 13 anni, con una chitarra acustica con l’amico Antonio Nava, che con delle spazzole per vestiti o con due cucchiai di legno suonava una sedia di legno-batteria: Volare, Ohio, Only you, Come prima. Vidi al Teatro delle Palme, a Napoli, un quartetto inglese, i Four Saints, suonare con le prime chitarre elettriche: ne rimasi affascinato. Presto mi procurai una chitarra elettrica Ecko che collegai alla presa fono di una radio a valvole Geloso, e il volume del suono cominciò a crescere. Suonavo Duane Eddy all’inizio, Chet Atkins, motivi del dopo guerra, ai miei familiari non dispiaceva. Alcuni amici più grandi del quartiere, stadio del Vomero, avevano anche un bel gruppo da night club dai quali imparai molto, penso ai Rikos del chitarrista Ulderico De Vita, che non ho mai perso di vista da allora. Addirittura una settimana fa mi ha salutato mentre passava in auto e io passavo per caso, fatto raro, nei luoghi della nostra infanzia.

Che tipo di rapporto hai avuto con la radio oltre a quello professionale?

Le radio militari AFN americane in Europa in onda media dai primi anni 50 trasmettevano jazz, be bop, rythm’n’blues e  le origini del rock. Era una bella onda d’urto rispetto alla musica leggera stile Sanremo della austera RAI. 

 

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Hai condotto nei primi anni ’70 programmi in RAI come “Per voi giovani”, “Rai stereo notte”, che sono stati di grande riferimento e crescita per un’intera generazione. Com’è cambiata oggi la radio?

Penso di avere portato in quel momento grandi innovazioni di contenuto, di stile e di formato radiofonico. Avevo vissuto a lungo in Inghilterra negli anni 60, avevo seguito bene il mondo della musica e delle radio anglo americane e avevo studiato bene Marshall Mac Luhan. Per me la radio e la musica erano dei media e degli accessi da distribuire ai giovani affinchè li utilizzassero come territorio di comunicazione e come linguaggio comune, per i loro progetti e passioni. L’idea di fare accedere a media per progetti, prima di creare progetti per i media. Per quanto oggi tutto sia cambiato, il problema della funzione dei media anche in Italia resta. I media sono delle astronavi che in Italia sono nelle mani di persone che non riuscirebbero nemmeno a guidare un tram.

Per me la radio e la musica erano dei media e degli accessi da distribuire ai giovani affinchè li utilizzassero come territorio di comunicazione e come linguaggio comune.

Hai contribuito a far nascere e crescere il “Sound di Napoli”, a cominciare dal gruppo “Napoli Centrale”, come ci sei riuscito?

Con l’aiuto di Alan Frenkiel e di Shawn Phillips gli trovai il nome, la formula musicale, artistica e contenutistica, coinvolsi il grande fotografo Aldo Bonasia che si inventò con quarant’anni di anticipo quella copertina che ritrae il gruppo nei luoghi dove sarebbe esplosa la terra dei fuochi, li imposi prima alla Ricordi e poi sulla radio nazionale.

Tu hai conosciuto “Shawn Phillips”, bravissimo cantautore americano, che ha vissuto per alcuni anni a Positano. In una intervista hai sostenuto che ”quell’artista ed i suoi musicisti avrebbero potuto rappresentare il collegamento della musica napoletana alla cultura internazionale”. Questo significa che quella stagione avrebbe potuto “sprovincializzarla”?

A parte Alan e Jenny Sorrenti che sono di madre inglese, i musicisti campani sono stati sempre isolati, come Napoli, che mentre è sempre a contatto con il resto del mondo, quindi non è provinciale, difende però come i pellirosse una sua identità primitiva, a volte in maniera intelligente, a volte in maniera idiota, al costo di rischiare di estinguersi come cultura e come popolo.

Ma non è stato Pino Daniele a portare il suono di Napoli nel Mondo? Che rapporto hai avuto con lui?

Pino si è messo nella scia di Napoli Centrale e di James Senese e da un lato ha alleggerito il filone etno jazz di James facendo musica leggera, dall’altro ha contaminato il suo stile napoletano con una fusion di generi da tutto il mondo.

 

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Edoardo Bennato ti ha immortalato in due brani, “Venderò” e “Pronti a salpare”.

Edoardo è un genio commerciale ma non ha realizzato il suo potenziale artistico fino in fondo, e pur sapendolo non riesce a uscire da questo limite. Ha dei vincoli e dei freni strani che non capisco, accompagnati da grandi aperture inaspettate e sorprendenti: “Pronti a salpare”, nell’esecuzione con Barbarossa all’Expo di Milano, è stata formidabile.

Come e quando finisce di andare in onda “Per voi giovani”?

PVG termina il 31 luglio 1975, per sempre.

E la tua esperienza alla Rai?

Leggila da “Marginalità protagoniste”

A metà anni ’70 nascono le cosiddette “radio libere” che rompono il monopolio della Rai. Quale giudizio dai di quell’esperienza?

Nel 1976 rimasi fuori dalla Rai e fondai per conto dell’editoriale l’Espresso, Radio Repubblica, R.R. 96. Fu chiusa perché la politica italiana decise di non regolamentare Radio e TV private per 15 anni. Nel 1989 a Napoli iniziai Radio Med, grande successo ma flop commerciale. 

Con la presenza di internet, quale ruolo ha oggi la radio? Viene ancora ascoltata, ci sono programmi interessanti?

Si c’è un grandissimo futuro per la radio, che ancora non è stato capito e attualizzato.

Raffaele tu sei un bravissimo comunicatore ( i tuoi programmi sono stati straordinari per racconto e passione), sei anche psicologo e psicoterapeuta. Che relazione c’è tra la radio e la tua professione? La radio può essere considerato uno strumento psicoterapeutico?

Si

Ci sono musiche che possono essere utilizzate in psicoterapia?

C’è un grandissimo futuro per la radio, che ancora non è stato capito e attualizzato

Sono impegnato nel Listening project e nella ricerca del Professor Stephen Porges, ma, secondo me, ancora non siamo pronti.

Suggerisci ai nostri lettori alcuni album da aggiungere alla propria collezione.

Highway 61 revisited, Mali Blues, Fathomara Diawara, tutto J J Cale, la nuova musica africana.

Torniamo alla tua professione. A 40 anni dalla legge 180 che ha liberato i pazienti dai manicomi, qual è il tuo giudizio su quella stagione? Quanto è stato realizzato di quella legge e quanto c’è ancora da realizzare? Franco Basaglia parlava di “avviare un processo di democratizzazione del territorio” e non si riferiva al solo recupero della centralità degli emarginati, ma probabilmente, al problema più in generale della democrazia. Oggi ritieni percorribile un tale processo, la società di oggi ne avrebbe giovamento?

Basaglia ha compiuto degli interventi dirompenti di psico-socio terapia di massa: con la chiusura dei manicomi ha rimandato al campo delle relazioni interpersonali, familiari, sociali, economiche e politiche il problema della salute mentale e della salute in generale, mostrando che il livello tecnico-scientifico e specialistico medico-biologico e psicologico, è solo uno dei tanti livelli del problema.

 Le burocrazie e le corporazioni professionali che dominano e che mantengono il potere sui corpi, il bio-potere, non hanno risposto alla proposta di Basaglia ma hanno perseverato nel business as usual con tutte le contraddizioni che derivano dal fatto che i cosiddetti psicofarmaci bloccano i sintomi di squilibrio, non agiscono sulle cause, creano assuefazione, quindi non possono essere più sospesi, e contribuiscono alla cronicizzazione. Sono delle camicie di forza farmacologiche. Non a caso dal 1980 le case farmaceutiche come Big Pharma non investono più nella ricerca su nuovi farmaci, e il National institute of mental health non finanzia più ricerche basate sul DSM, e ha proposto la Matrice R-Doc , la Matrice dei criteri dei domini di ricerca per una ricerca e una clinica basate sulle dimensioni e domini funzionali e non più sulla diagnosi categoriale.

C’è una rivoluzione positiva in atto nella psichiatria, nella psicoterapia e nella medicina, che, come successe per Basaglia, si tende a ignorare o a minimizzare, ma le cui implicazioni e le ricadute sul piano politico e sociale sono enormi.

Gli autori di Vorrei
Michele Lospalluto
Michele Lospalluto
Speaker e giornalista di Radio Regio di Altamura. Appassionato di musica rock, blues, jazz, etnica, d'autore e sperimentale.