La più controversa tesi degli ultimi anni sui poemi omerici è stata avanzata da Felice Vinci, un ingegnere nucleare italiano.
Dopo che la teoria di Felice Vinci è stata citata anche da Umberto Eco nel suo saggio Storia delle terre e dei luoghi leggendari, tutto è diventato più facile: la comunità intellettuale italiana non ha più potuto far finta di niente.
Ma io ricordo i primi tempi, negli anni Novanta, quando le cose erano un po’ più difficili per Vinci, e la sua teoria era definita dai più come un’idiozia.
Il tempo però è stato galantuomo, e la teoria di Vinci è passata da essere considerata come una fandonia a essere considerata come una suggestione pericolosa, per poi essere vista via via con il passare degli anni come una tesi non provata, come una tesi in gran parte ancora da provare, come una tesi solo in minima parte fondata, come una tesi solo in parte accettabile, poi come una tesi da approfondire... insomma, pure se la tesi di Vinci effettivamente non è ancora stata corroborata definitivamente da ritrovamenti archeologici, tuttavia alla fine essa è stata accettata dal mondo accademico italiano come un oggetto degno di studio, anche perché nel frattempo il libro di Vinci intitolato Omero nel Baltico è stato pubblicato in Russia, Stati Uniti, Francia, Svezia, Estonia, Danimarca e Germania, riscuotendo ovunque interesse e apprezzamenti. In Italia, come vi ho detto, le cose per Vinci sono cambiate solo negli ultimi cinque o sei anni. Oltre alla citazione di Umberto Eco, segnalo per esempio anche un convegno all’Università la Sapienza di Roma e un numero monografico di oltre 350 pagine dedicato alla sua teoria dalla prestigiosa “Rivista di cultura Classica e Medievale”.
Nelle scuole e nelle università italiane, per non parlare del grande pubblico, la teoria di Vinci non è ancora approdata (ed è giusto che sia così, per queste cose bisogna aspettare una generazione almeno), ma ormai è solo questione di tempo, sempre che dal sottosuolo emergano i tasselli mancanti.
Ma di cosa parlava Felice Vinci nel suo libro uscito per la prima volta venticinque anni fa e che da allora è stato costantemente aggiornato nelle 6 edizioni successive diventando un malloppo di 700 pagine? E perché la sua tesi è stata così osteggiata?
Procediamo con ordine. La tesi di Vinci, con qualche semplificazione, è pressappoco la seguente.
Lo scenario in cui si svolsero le vicende dell’Iliade e dell’Odissea non sarebbe, come si è sempre pensato fino a oggi, il mare Mediterraneo, ma il mar Baltico e la Scandinavia. Nel II millennio a. C. in quelle aree, grazie a un clima molto più mite dell’attuale, fioriva una civiltà del Bronzo. Quando il clima si irrigidì, attorno al XVI secolo a. C., i popoli che le abitavano migrarono verso sud dando origine alla civiltà micenea, perpetuando la loro antica tradizione orale di generazione in generazione fino a fissarla in forma scritta otto secoli dopo. Inoltre tali popoli ricostruirono nel Mediterraneo il loro mondo originario, un po’ come hanno fatto gli emigrati italiani in America quando fondarono città chiamate Venice, Rome o Syracuse (ma Vinci ricorda anche di come i veneti inviati dal regime fascista a colonizzare l’agro pontino da poco bonificato abbiano chiamato alcuni dei luoghi che trovarono con nomi che ben conoscevano: Sabotino, Montello, Grappa, Monte Nero, e studiare la storia della prima guerra mondiale con questi ultimi riferimenti geografici sarebbe impossibile).
Se questa brutalmente è la tesi di Vinci, quali sono le prove che porta a suo sostegno?
L’argomentazione di Vinci è complessa. Faccio solo alcuni esempi.
Già nell’Antichità alcuni autori avevano scritto di una collocazione diversa di una o più avventure omeriche rispetto al Mediterraneo. Plutarco per esempio scrisse che l’isola di Ogigia, quella della dea Calipso, era a cinque giorni di navigazione dalla Britannia. Addirittura Tacito scrisse apertamente che nel suo peregrinare Ulisse era arrivato... in Germania. Ma anche Cratete di Mallo nel II secolo a.C. scrisse che i poemi omerici erano “atlantici”, e una tesi simile la sostenne nel medioevo lo storico danese Saxo Grammaticus.
Non sono solo alcune fonti antiche a essere perplesse. Tutta la geografia omerica crea infatti problemi anche al lettore di oggi. Omero dà indicazioni precise, descrive bene i luoghi, ma a noi sembra che non descriva i luoghi che conosciamo: l’isola di Faro, che è situata davanti al porto di Alessandria, secondo Omero è invece a un giorno di navigazione; Itaca per Omero è la più occidentale tra le isole di un arcipelago che comprende tre isole maggiori (Dulichio, isola lunga citata più volte ma inesistente nel Mediterraneo, Sarne e Zacinto), ma a noi non risulta che sia così. Il Peloponneso secondo Omero sarebbe una pianura (cosa che colpì anche Platone), ma noi sappiamo che non è vero. La città di Troia è collocata nell’Ellesponto, che Omero descrive come un mare sconfinato, cosa semplicemente falsa. Se spostiamo l’analisi al Baltico e alla Scandinavia, le cose però cambiano. Le descrizioni di Omero tornano a essere coerenti con i luoghi. Anzi, calzano a pennello.
Gli eroi omerici sono inoltre biondi e navigano in acque fredde, nebbiose, dove le tempeste durano giorni e dove sono presenti grandi vortici. Non è il Mediterraneo.
Nei libri centrali dell’Iliade si cita poi una grande battaglia che non si interrompe nemmeno di notte perché scese sul campo di battaglia una notte “chiara”. Nel sud Europa non accade mai, ma alle latitudini più settentrionali la cosa acquista un senso perché effettivamente ciò si verifica nei giorni vicini al solstizio estivo. Peraltro nei giorni successivi a questa battaglia viene descritta anche l’esondazione di un fiume, e nel nord Europa le esondazioni di fiumi avvengono proprio nei mesi del solstizio estivo. E, sempre a proposito dei fiumi, a un certo punto Omero descrive l’inversione di corrente in un estuario, fenomeno di modesta portata nel Mediterraneo, ma che può effettivamente esser violento nell’Atlantico.
Infine la migrazione dal Baltico al sud Europa via terra è ben attestata. Nelle tombe più antiche dei Micenei è stata per esempio ritrovata ambra baltica.
Vinci avanza poi prove anche in campo climatico, archeologico e vegetale. In questo senso il libro di Vinci negli anni è diventato una specie di opera a più mani. Molti cultori di scienze non classiche hanno scritto all’autore – anche per vedersi citati nelle edizioni successive del libro – dando suggerimenti di vario tipo in campo mai trattati dalla critica omerica classica. Altre “prove” arrivano anche dalla mitologia nordica, dove si ritrovano racconti in tutto e per tutto simili a quelli omerici. Colpisce molto, per esempio, trovare in una saga nordica il racconto del cane Argo che riconosce il proprio padrone che non vedeva più da decenni; ma è attestata anche un’antica leggenda lappone che ricalca in tutto e per tutto lo scontro tra Ulisse e Polifemo.
Infine ci sarebbe la spinossima questione dei toponimi. Detto in parole povere, nel mondo del nord Europa esistono città, montagne, fiumi, regioni che hanno nomi... grecizzanti, e che spesso si armonizzano bene con le descrizioni omeriche: Mykienes per Micene; Fårö per Faro; Kilkinskyla per Cilicia; Nekso per Naxos; Lemland per Lemno; Friggesby per Frigia; Rohdainen per (fiume) Rodio; Tåsinge per Zacinto; Toija per Troia, e via dicendo.
I risultati sono spettacolari, ma qui Vinci frena. Vari studiosi hanno infatti avanzato dubbi in merito alla possibilità che così tanti toponimi possano essere sopravvissuti dall’età del bronzo arrivando ai giorni nostri. Tuttavia rimane singolare il fatto che ci siano addirittura raggruppamenti di toponimi grecizzanti e omerizzanti in aree circoscritte del Baltico. Vinci sulla questione fa una considerazione interessante: “pur se non è stato possibile applicare un rigoroso metodo filologico ai toponimi presi singolarmente […] riteniamo che i loro raggruppamenti, allorché confortati da riscontri significativi, geografici o di altro tipo, possano avere, a livello di probabilità, un valore indicativo non trascurabile, soprattutto se vanno a inserirsi in un quadro complessivo razionale e coerente. Si tratta di un approccio per così dire probabilistico, non inusuale nelle scienze fisiche (ad esempio nella termodinamica) che può dare utili indicazioni […] se opportunamente supportato da altri elementi”.
Ma se la città di Troia che conosciamo non è la città di Troia omerica, allora Schliemann cosa ha trovato?
Innanzi tutto non è vero che Schliemann seguì le indicazioni omeriche per trovare la città di Troia: a scuola lo abbiamo sentito dire tutti, ma è una bufala. Fu un grande ritrovamento archeologico, non c’è dubbio, ma non esiste neanche un frammento ritrovato in quel sito che possa collegare la distruzione della città di Troia ritrovata da Schliemann alla Grecia micenea. Inoltre il presunto “tesoro di Priamo” probabilmente è relativo al 2.500 avanti Cristo, prima cioè della civiltà micenea. Insomma: quella ritrovata da Schliemann era probabilmente un’altra città.
Perché Felice Vinci è stato criticato fino a oggi? In primo luogo la tesi di Vinci è stata osteggiata per questioni campanilistiche e turistiche.
In secondo luogo perché Vinci non è “del giro”. È un ingegnere nucleare con la passione dei classici. Un dilettante, dunque, che ha proposto una tesi rivoluzionaria. E queste cose nel mondo accademico contano sempre molto. Anche perché se le tesi di Vinci venissero confermate dalle indagini archeologiche che sono in corso – sono operazioni lunghe (in alcuni luoghi si può scavare solo per pochi mesi all’anno), complesse e costose – la critica omerica classica si troverebbe in imbarazzo per aver sottovalutato per decenni (per secoli!) elementi che emergevano dal testo omerico così palesemente dissonanti rispetto alla realtà mediterranea, e per aver snobbato e trattato con spocchia chi aveva sostenuto una tesi che, seppur molto diversa da quella comunemente accettata, era risultata essere vera.
Le abitudini culturali però sono dure a morire, anzi proprio non muoiono.
Il grande fisico Max Planck a tal riguardo disse: “Una nuova verità scientifica non trionferà convincendo gli oppositori e facendo loro vedere la luce, ma perché alla fine gli oppositori muoiono e cresce una nuova generazione cui essa è familiare”.
Felice Vinci, Omero nel baltico: le origini nordiche dell’Odissea e dell’Iliade, Palombi Editore, sesta edizione aggiornata 2016, 701 pp., 25,00 euro.