Due grandi figure dell’editoria italiana, aprono la loro cassetta degli attrezzi in un volume edito da Einaudi, un «manuale involontario di scrittura con esercizi svolti»
A chi ha amato Fruttero & Lucentini o a chi vuole avere qualche dritta su come scrivere meglio, io consiglio la lettura dell’antologia “I ferri del mestiere: manuale involontario di scrittura con esercizi svolti”.
Prima di tutto spendiamo qualche parola su Carlo Fruttero (1926-2012) e Franco Lucentini (1920-2002), meglio noti come Fruttero & Lucentini.
Molti li ricorderanno come autori di articoli di costume per il quotidiano “La Stampa” di Torino. Pur essendo ormai passati trent’anni – e a volte anche di più – da quegli scritti, essi ancor oggi non hanno perso interesse sia per l’eleganza delle scrittura sia per la finezza delle osservazioni, del tutto scevre da ideologismi e da pesantezze sociologiche e moralistiche.
Un loro articolo in particolare passò alla storia poiché scatenò una crisi diplomatica tra Italia e Libia, fatto inusuale per un pezzo di costume. Fruttero & Lucentini avevano infatti scritto una mezza paginetta che faceva della garbata ironia sul colonnello Gheddafi, allora grosso azionista FIAT, a sua volta azionista della “Stampa”. Il ràis se risentì moltissimo e chiese la testa – metaforicamente, per fortuna – dei due; richiesta che venne fortunatamente respinta al mittente dall’avvocato Agnelli.
Segnalo che i loro articoli sono facilmente reperibili in volume (vi consiglio per esempio di leggere “Il cretino in sintesi”), ma sono saltuariamente ripresi anche da mensili e da quotidiani (in questo periodo per esempio il “Corriere delle Sera” ne sta ripubblicando alcuni).
Moltissimi poi ricorderanno Fruttero & Lucentini come scrittori di successo. Il loro libro più celebre fu “La donna della domenica”, un testo che introdusse un genere letterario che fino ad allora non esisteva in Italia: la letteratura d’evasione colta. Non mi pare il caso di aggiungere altro, se non che la cifra stilistica di Fruttero & Lucentini, e in fondo anche il loro modo d’essere, è stata la “sprezzatura”, un termine che nel Rinascimento indicava l’atteggiamento ricercato di disinvoltura, di spontaneità, volto a ostentare un’abilità che non richiede sforzo; la capacità dunque di “nascondere l’arte” sotto i modi del dilettante, con disincanto e senza darsi delle arie.
Qualcuno poi li ricorderà anche come autori e interpreti di una fortunata trasmissione televisiva intitolata “L’arte di non leggere”. La trasmissione era dedicata ai libri, ma i Nostri – per precisa scelta – decisero di non occuparsi delle ultime uscite editoriali, ma solo dei classici, e anzi decisero di affrontare temi inusuali per trasmissioni di questo tipo, come per esempio se sia proprio necessario leggere integralmente certi libri molto lunghi (risposta: “Guerra e Pace” sì, va letto tutto; “Don Chisciotte” no, se ne possono saltare varie parti).
Fruttero & Lucentini furono però, e soprattutto, uomini-macchina delle maggiori case editrici italiane: lessero montagne di manoscritti, tradussero autori, diressero collane e riviste, redassero schede di valutazione, scrissero quarte di copertina, trattarono diritti d’autore, fecero gli editor come nessuno o quasi lo aveva fatto fino ad allora, elevando notevolmente gli standard della letteratura di intrattenimento.
Il loro merito maggiore in campo editoriale fu l’aver svecchiato, e parecchio, nella seconda parte del XX secolo la cultura letteraria in Italia facendo conoscere al grande pubblico autori poco considerati o del tutto sconosciuti (Lovecraft e Borges, tra gli altri) e legittimando agli occhi del pubblico colto generi considerati – a torto – minori come la fantascienza o la “letteratura per ragazzi” (un’invenzione, quest’ultima, tutta italiana – di epoca fascista per giunta – che ha prodotto notevolissimi danni non ancora del tutto superati).
A chi meglio di Fruttero & Lucentini poteva dunque essere affidato un argomento come i ferri del mestiere editoriale? Probabilmente a nessun altro. E infatti un libro come questo poteva essere scritto solo da loro.
Una precisazione: non aspettatevi un manuale di scrittura creativa fatto di capitoli su come costruire una frase o la trama di un libro, e pieno di regole e precetti. No, siamo di fronte a un’antologia, cioè brani scritti per le occasioni più disparate e brevemente introdotti da Fruttero. Quindi il testo procede per temi, e le dritte ve le dovete cercare pagina per pagina.
L’indice dell’antologia dice già molto. I capitoli sono i seguenti: scrittura creativa; la parodia; il dialogo; la traduzione; fantascienza; storie americane di guerra; la ghost story; una sola parola: murder!; fumetti; mercato, mercanti; blurb, l’arte dell’autopromozione; addio al passato.
Ce n’è dunque per tutti i gusti. Secondo me le pagine dedicate ai dialoghi e alle traduzioni sono le migliori per chi deve perfezionare la propria capacità di scrittura. Qui potrete trovare consigli preziosi. Ve ne cito uno: secondo i Nostri l’errore più grande che si possa fare nello scrivere i dialoghi è quello di far parlare tutti i personaggi allo stesso modo.
Gli ultimi capitoli sono invece i più interessanti per gli amanti dell’aneddotica editoriale. Imperdibile, in questo caso, è l’ironica scheda di lettura di un libro – di cui era stata già decisa la pubblicazione dai piani alti – dedicato all’alluvione di Firenze.
I “ferri del mestiere” sono però soprattutto un manuale di scrittura creativa, seppur sui generis.
Cosa fare dunque per affinare la propria capacità di scrittura? Leggere molto? Certo. Studiare la tecnica? Certo. Ma anche, e soprattutto, esercitarsi.
Quando andavo a scuola io – non 100 anni fa, ma 25 anni fa – c’era un rispetto nei confronti del testo, specie se classico, che arrivava a un punto tale da impedirne ogni modifica, utilizzo e deformazione. Come se toccarlo fosse un sacrilegio. Era (e probabilmente lo è ancora oggi) una mentalità diffusa nelle scuole. Fruttero & Lucentini paiono di diverso avviso.
A parte infatti i casi in cui c’è un palese sfruttamento del nome di un artista famoso per coprire la propria mancanza di idee o di buona sorte (le opere di Shakespeare sono state spesso umiliate con riletture pessime che – fateci caso – cambiavano tutto nel testo di Shakespeare mantenendo sempre però in bella vista il nome di Shakespeare e il titolo dell’opera, a chiara dimostrazione dell’interesse meramente pubblicitario di queste operazioni), dicevo che a parte alcuni casi non è uno scandalo – soprattutto per chi comincia a scrivere – lavorare i grandi testi per esempio parodiandoli, come suggeriscono di fare Fruttero e Lucentini.
Per fare una bella parodia bisogna infatti conoscere il testo e comprenderne per così dire lo spirito. Ma, parodia a parte, le possibilità sono comunque molteplici: perché non cambiare il finale di “Delitto e Castigo”? Perché non riscrivere “Lessico famigliare” come se fosse un’opera di fantascienza? Perché non scrivere un racconto alla Chandler?
Lo stile si perfeziona anche così, con questo tipo di esercizi, che preparano l’eventuale passaggio a produzioni più personali. In fondo anche chi impara a suonare uno strumento musicale per i primi tempi esegue opere altrui e solo successivamente passa a produrre qualcosa di originale.
Ma il consiglio migliore per chi comincia a scrivere Fruttero & Lucentini lo danno nelle prime pagine dell’antologia, dove bollano come “ridicola e nociva” l’idea – che, riconosciamolo, abbiamo avuto tutti – di imparare a scrivere per scrivere un’opera come Moby Dick.
Un bellissimo invito all’umiltà intellettuale.
Fruttero & Lucentini (a c. di D. Scarpa), I ferri del mestiere: manuale involontario di scrittura con esercizi svolti, Einaudi, 2007, pp. 280, 10,20 euro