Incontro con Catia Gabrielli «Sì, appartengo all’ultima ondata di librai nel solco della tradizione. Non avevo che la mia passione e l’umiltà d’imparare. Ma sapevo cosa volevo: creare una libreria d’arte».
Sarà che la creatura, quando le si offre bellezza, poi aspira al bello: contemplare neonata, al proprio battesimo, l’Annunciazione del Pinturicchio in Santa Maria Maggiore a Spello, deve aver giocato un ruolo nella vita di Catia Gabrielli. Lei che oggi e dall’89 porta avanti una delle più belle librerie di Roma, la Fahrenheit 451 a Campo de’ Fiori.
Figlia di classe operaia, classe ’62, madre “strepitosamente intelligente”: era stata bambinaia a casa De Sica, la tata del neorealismo. Ben sapeva come crescevano i figli della borghesia colta e per la sua bimba non volle nulla di meno: “Fin da piccolissima mi riempiva di libri e giornaletti, stavo sempre a sfogliare. Ogni festa era buona per un libro.” Libri, musei, concerti: “Sono stata coltivata”. Prima in famiglia, poi dai frequentatori della sua libreria: “Giulio Einaudi veniva a trovarmi spesso la sera, una volta portò Sebastiano Vassalli.” E di fronte all’editore principe, Catia non scalpitava più come da ragazzina: “Ero birbante e insofferente allora, la curiosità dell’altro mi animava. M’interessava ieri come oggi la diversità, la marginalità.” Un ribellismo che la indirizzò politicamente: “Sempre stata libertaria. E anche se mi accusano d’essere ideologica, quel che penso me lo tengo stretto ché intorno non è un bel vedere.” Cresciuta in anni in cui si pensava di cambiare il mondo, neanche trentenne si ritrova a imparare il mestiere di libraia studiando con scrupolo i cataloghi d’arte: “Sì, appartengo all’ultima ondata di librai nel solco della tradizione. Non avevo che la mia passione e l’umiltà d’imparare. Ma sapevo cosa volevo: creare una libreria d’arte.”
E si dice fortunata ad aver trovato allora un locale a Campo de’ Fiori: “Era una Roma diversa, deserta. Oggi so che in tempi non sospetti ho contribuito a cambiare la vita della città: decidere di tenere la libreria aperta fino a tarda sera, di aprire anche la domenica è stata una scelta azzeccata. E’ arrivato tutto il mondo del cinema e del teatro, e gli artisti. Tutti affezionati clienti. Peccato che oggi il centro storico non appartenga più ai romani: c’è stato l’ennesimo travaso sociale, stavolta a beneficio dei turisti, sono diventate tutte case vacanza.”
Ha visto cambiare tutto Catia, e tutto l’ha confermata nella sua scelta: “Entrare in libreria è entrare in un mio luogo d’incontro e scambio, spazio di trasmissione, di pensiero.” Non a caso il suo lettore preferito non cerca evasione ma conoscenza, e a chi non sapendolo le chiede un consiglio di un libro che non rattristi, lei risponde sorridente: “C’è poco da stare allegri!”
Ironica dagli occhi neri, Catia Gabrielli ricorda come agli inizi poco si preoccuparono degli scaffali, le librerie le recuperarono usate, piuttosto si concentrarono sulla sostanza. I primi anni, appena una stanza ma già preziosa: oggi, tre stanze e la seconda è rimasta a lungo a disposizione di corsi e incontri, che hanno visto protagonisti personaggi come Tano D’Amico, o la coppia Straub – Huillet, cineasti non riconciliati.
Arte e politica, la prima le ha salvato la vita tante volte: “Quando non andava, m’avviavo in pellegrinaggio a Sant’Agostino, a bearmi della Madonna dei Pellegrini di Caravaggio, un gran beneficio.”
La politica - a parte il suo lavoro vissuto con creatività -, altro amore: “Il capitalismo è suicida: le librerie non esistono più. Come è stata stravolta la filiera, in mano a un paio di gruppi, anomalia tutta italiana ché altrove non avviene. Il meccanismo è perverso e si basa sul profitto della novità, a detrimento della letteratura.” A conferma che oggi il libro è una merce come un’altra. E se deve scegliere, fra le kermesse di Torino e Milano, Catia sceglie d’essere comunque inquieta: “E’ ingiusto far pagare un biglietto per vedere e consultare e comprare libri. Chi ci guadagna sono sempre gli stessi, chi organizza.” A Roma poi, alla fiera natalizia, riserva parole severe: “E’ l’unica a capitare sotto Natale, un periodo d’ossigeno per i librai. Fare Più libri più liberi a dicembre, significa uccidere il guadagno delle librerie. Come librai abbiamo chiesto uno spostamento della fiera di un mese, nessuna considerazione in risposta.”
Ma Catia non la fermi, ha visto cambiare tutto intorno, è rimasta salda, e se la scomparsa dei librai, depositari della storia dei libri, s’accompagna alla perdita di memoria come capacità umana, in lei vive e lotta insieme a noi: “Non credo al genio, genio è la moltitudine.” Non per niente le piace coinvolgere, gettarsi a capo fitto nell’ennesima avventura, come l’ultima: “Mediterraneo è una serie di disegni sugli sbarchi - tragedia odierna -, in mostra in libreria. Ne è autrice Judith Lange, artista che stimo da sempre: sta elaborando dei libricini fatti a mano, libri d’artista, solo per la Fahrenheit e solo in venti copie. Così dal nostro incontro, si è aperta un’altra strada. Non c’è niente di meglio di costruire insieme”. E insieme ad Angelo Salvatori e Gabriele Scardino, l’uno bibliofilo, l’altro appassionato di cinema, suoi validi collaboratori, Catia e la Fahrenheit 451 resistono al centro di Roma con innumeri iniziative, presentazioni, mostre, sempre in fermento, all’ombra di Giordano Bruno.