Evoluzione della figura di Arianna da divinità arcaica del Mediterraneo a eroina popolare e archetipo femminile
Nell’ekphrasis del carme 64 di Catullo, affiorante dall’ordito della preziosa coperta dono di nozze per Peleo e Teti, Arianna viene rappresentata come una fanciulla che guarda verso il mare con il cuore in tempesta. Il contesto è quello dell’isola di Nasso, Egeo meridionale, o Dia secondo un’altra tradizione, e alla principessa cretese brucia nel petto un tale tradimento da non riuscire a credere a quel che vedono i suoi occhi: Teseo, il suo grande amore, veleggia verso Atene immemor di lei. È così incredula e sconvolta da non far caso ai capelli scomposti e alle vesti che scivolano via dal suo giovane corpo a lambire la schiuma del mare. Così è descritta e così è impressa nell’immaginario collettivo occidentale: Arianna, la principessa cretese che tradisce la famiglia e la patria per seguire Teseo e viene da lui sedotta e abbandonata su un’isola senza via di fuga. Teseo, che giunge a Creta per uccidere il minotauro e che riesce a fuggire dal labirinto di Cnosso e a fare salva la vita grazie al filo che lei gli dona. Infine Dioniso, che intercetta Arianna abbandonata a Nasso, la sposa e le regala l’ingresso glorioso tra gli dei immortali.
Ma Arianna è davvero questo, o solo questo? Il suo mito affonda le radici in un tempo ancora più antico di quello degli eroi omerici, una sorta di preistoria mitologica. Sulle tavolette in pietra emerse dagli scavi fatti da Sir Arthur Evans all’inizio del Novecento sulla collina di Kephala, a Creta, scritte in Lineare B, lingua dei micenei del XIII secolo a.C., il nome di Arianna, così come quello dei componenti della sua famiglia, non compare. E non si sa se ci sia sulle tavolette in Lineare A, lingua in uso a Creta tra 1800 – 1450 a.C., e su quelle in lingua pittografica ancora più antica, perché entrambi questi sistemi di scrittura restano tuttora indecifrati. In mancanza di una letteratura e di riferimenti scritti, si può affermare che quella di Arianna delle origini sia più che altro una storia per immagini. L’iconografia antica infatti è ricchissima di riferimenti al suo mito: in molte di queste raffigurazioni Arianna e Teseo sono uno di fronte all’altra, si tendono le mani, non si toccano quasi mai, spesso portano un oggetto che sembra materia di scambio, Arianna un gomitolo o una corona, Teseo una spada o una lira. Ma cosa raccontano davvero queste fonti? Certo del loro incontro, ma i dettagli sfuggono. Tuttavia ci sono due costanti: il labirinto e la danza. La rappresentazione più antica del labirinto circolare cretese in nostro possesso è il fregio dell’oinochoe etrusca di Tragliatella (VII secolo a.C.), in cui il labirinto chiude un corteo di guerrieri danzanti, mentre alla sua destra è rappresentata una coppia di amanti. Fra le spire del labirinto si legge la parola Truia: forse un riferimento al Troiae lusus, una sorta di coreografia collettiva danzata in occasione di giochi funebri, che mima i movimenti circolari di un labirinto. E in effetti i primi passi di Arianna si muovono tutti intorno al labirinto, esso esiste, ma di cosa si tratta? Una prigione, uno spazio religioso, una grotta, un palazzo reale? Una danza? Su due tavolette in Lineare B che registrano offerte votive, emerse durante gli scavi a Cnosso, si trova la scritta da-pu-ri-to-jo po-ti-ni-ja, cioè la signora del labirinto. Gli studiosi si sono interrogati su chi sia questa figura, una divinità mediterranea arcaica, taluni l’hanno associata ad Atena, ma l’identificazione non è certa. Anche perché a pensarci bene c’è una creatura a cui il labirinto e la chiave per uscirne calzano come una seconda pelle: Arianna. Il cui nome, che significa “la tutta luminosa”, “la purissima”, così come quello dei suoi parenti (Pasifae “colei che risplende”, Fedra “la raggiante”, Asterione “lo stellato”), la colloca nella rassegna di divinità antiche, una sorta di grande dea della natura, legate ai valori della religiosità pre-greca. Il labirinto peraltro è una struttura anticamente associata al mondo dei morti, posto sulla porta dell’aldilà. Quello cretese appare per esempio all’inizio del VI libro dell’Eneide, quando Enea giunge presso l’ingresso degli Inferi; inoltre, tornando al Troiae lusus cui è accennato sopra, sappiamo che Ascanio lo danza insieme a dei compagni durante i giochi funebri in onore del nonno Anchise. Si potrebbe anche pensare al labirinto, quindi, come a una sorta di itinerario iniziatico, non necessariamente fisico, che veicola un rito di passaggio. Infatti lo sdoppiamento e la contiguità tra la vita e la morte sono un tratto peculiare del mito di Arianna - da alcuni associata a Persefone - sempre oscillante tra una cosa e il suo contrario, tanto che alcuni arrivano a teorizzare addirittura l’esistenza di due Arianne distinte: la dea e la fanciulla indifesa, la figlia di Minosse e la compagna di Teseo, la giovane abbandonata e la sposa di Dioniso.
Dettaglio del fregio dell’oinochoe etrusca di Tragliatella
Nel mito la compenetrazione tra labirinto, aldilà e danza è quindi inestricabile. Nel quarto cerchio dello scudo di Achille, Omero descrive una danza “simile”, così dice, “a quella che un tempo Dedalo aveva inventato per Arianna dalla bella chioma”. Si tratta della prima comparsa in assoluto di Arianna nella letteratura occidentale e quella che viene descritta è una danza eseguita da giovani cretesi, vestiti a festa e con i polsi intrecciati da una corda spessa, che seguono un percorso circolare e concentrico, avvicinandosi e allontanandosi. E i primi commenti al passo dicono che la danza riproduce lo schema di un labirinto. Dalle necropoli minoiche sono riemersi numerosi manufatti che rappresentano minuscole figure con le braccia alzate in una sorta di coreografia: si può pensare quindi che si tratti di un gesto tipico della vita e della religiosità minoica, che Omero descrive probabilmente avendo in mente proprio questa iconografia. La parola da lui utilizzata è choros, che allude sì alla danza, ma anche al circuito in cui si danza: un disegno tracciato sul terreno o forse un vero e proprio edificio, costruito dall’architetto Dedalo per il piacere della giovane principessa cretese. Una danza che Arianna, in fuga da Creta insieme a Teseo, potrebbe aver insegnato ai giovani ateniesi per festeggiare il buon esito e allontanare i fantasmi dell’impresa di Cnosso. E proprio a questo sembra alludere la raffigurazione del vaso François (VI secolo a.C.), Arianna in piedi davanti a Teseo con un gomitolo in mano e dietro a Teseo dei giovani che danzano, e anche il fregio della già citata oinochoe di Tragliatella.
Tentando una razionalizzazione, si può dire che Arianna provenga dalla moltitudine per noi vaga delle antiche divinità mediterranee e che sia poi migrata nel pantheon greco, divenendo una figura di secondo piano all’interno delle saghe eroiche legate a Minosse, Teseo e Dioniso. Lo studioso Franco Serpa ipotizza, pur con qualche riserva, che questa migrazione possa essere legata al momento dell’incontro tra dionisismo e miti cretesi avvenuto nella Cicladi (Nasso per esempio è consacrata a Dioniso). Come e quando sia accaduto non lo sappiamo, ma di sicuro a un certo punto Arianna ha fatto il suo ingresso nella mitologia greca e da lì il suo mito è entrato a pieno diritto nella letteratura occidentale, che lo ha declinato, come tutti i miti e specialmente quelli più antichi, in molteplici varianti.
Decorazione del vaso François, VI secolo a. C.
Esiodo nella Teogonia presenta Arianna come sposa di Dioniso che viene resa immortale da Zeus; Omero, oltre a rappresentarla nell’Iliade come fanciulla danzante a Cnosso (cfr. scudo di Achille), nell’Odissea racconta invece che Arianna, sposa di Dioniso a Creta, viene uccisa da Artemide, perché tradisce il suo sposo proprio con Teseo nel tempio della dea, macchiandosi di empietà. Apollonio Rodio nelle Argonautiche segue il solco della narrazione di Esiodo, così come Diodoro Siculo che introduce però il motivo del rapimento di Arianna da parte di Dioniso, riabilitando così il giovane rampollo ateniese dalla fama di spietato seduttore. Ancora, secondo una versione del mito data da Plutarco, Arianna si impicca a Nasso per il dolore dell’abbandono. Alcune varianti del mito sostituiscono al gomitolo di filo una corona luminosissima seguendo la cui luce Teseo avrebbe trovato l’uscita del labirinto. Esistono anche varianti più “politiche” del mito, in cui Arianna non è semplicemente una figura bidimensionale che rimbalza tra le imprese di dei ed eroi, ma una donna a tutto tondo che fronteggia con grande dignità questioni di stato. Plutarco cita la testimonianza di Clidemo, attidografo del IV secolo a.C., il quale racconta che il motivo del conflitto tra Creta e Atene non sia l’uccisione di Androgeo (figlio di Minosse e fratello di Arianna assassinato ad Atene durante i giochi pubblici), ma la decisione ateniese di accogliere l’architetto Dedalo, fuggito da Minosse. Alla morte di quest’ultimo, il figlio Deucalione, divenuto re, chiede a Teseo di rimandare a Creta Dedalo, ma egli rifiuta e attacca guerra. Deucalione muore e Arianna gli succede sul trono: in questa versione del mito l’amore resta in un angolo, la natura dei rapporti tra Arianna e Teseo è puramente diplomatica e prevede la stipulazione di un trattato di pace tra Creta e Atene siglato dal matrimonio tra i due, o forse dal matrimonio di Teseo con Fedra, sorella di Arianna, che da altri miti noi sappiamo essere effettivamente la moglie del nuovo re di Atene. Si arriva poi a Catullo, che nel I secolo a.C., nel solco della tradizione dell’epillio, sceglie il mito di Arianna in quanto meno noto e di tradizione meno sicura e lo sistematizza nella sua versione canonica, fornendogli un corredo di umanità così intensa e universale - il lutto di Arianna per l’inaspettato abbandono - che ha stimolato l’immaginazione di generazioni e generazioni di scrittori, artisti dell’immagine e musicisti dopo di lui, che hanno reso il mito di Arianna un racconto popolare. Che offre temi universali: il mare che, ancora una volta in modo contrastivo, è per Teseo territorio amico ed elemento naturale (per alcuni Teseo è figlio di Poseidone) e per Arianna, invece, prigione naturale e invalicabile. Il viaggio, quello verso l’ignoto della principessa di Creta e quello verso casa di Teseo, un nostos. Infine ancora l’eròs, inarrestabile motore del mondo, che costringe Arianna (perché il suo è un tipo di amore che non offre scelta) a tradire la famiglia e la patria, che non la perdoneranno mai, e ad abbandonare il certo per l’incerto per mettere tutta la sua vita nelle mani di un ragazzo semi sconosciuto che le ha appena ucciso il fratello. L’eròs che spinge Teseo a lasciare Arianna sull’isola di Nasso, perché innamoratosi di Egle, e ancora l’eròs che seduce il cuore di Dioniso alla vista della fanciulla indifesa e sofferente. Infine ancora è una delle poche figure femminili dell’antichità, non divine, che in una società patriarcale, in cui a una donna non sono concesse molte chance di emancipazione, riesce a ritagliarsi uno spazio legittimo di identità nella storia, nel mito e nella letteratura.
Arianna giovane e inesperta, che non conosce l’arte di restare ferma (qualità femminile positiva nell’immaginario mitico greco), che tradisce imperdonabilmente e che imperdonabilmente viene tradita, che si aggira tra l’indignato e l’incredulo in un’isola che non le lascia via di fuga, con gli occhi rivolti sempre verso il mare nella speranza vana che il suo amore torni a prenderla, parlando contemporaneamente parole d’amore e maledizioni, che nella sua disperazione è consapevole delle proprie colpe e di quelle di Teseo, lucida al punto da ricordare che nella morale religiosa greca mancare alle promesse fatte (torto di Teseo) è un peccato mortale, motivo per cui chiede e ottiene da Zeus la sua vendetta, Arianna che arriva a conquistare il cuore di un dio potentissimo che la solleva dalla sua condizione mortale.
Un destino in ascesa, dunque, il suo, che da figlia di Minosse e principessa di Creta, signora del labirinto e forse antica divinità della terra e del regno dei morti, diventa per volere di Dioniso una costellazione, la Corona Boreale, astro imperituro in cielo, prima donna della letteratura occidentale a cui viene concesso e consegnato un lamento d’amore e archetipo delle donne abbandonate di tutti i tempi.
In pertura: particolare da Ariadne in Naxos – olio su tela. Evelyn De Morgan, 1877