Incontro con l'editore indipendente che pubblica Amélie Nothomb in Italia. Le origini, le scelte, il mestiere in un Paese che non legge ma che pubblica tantissimo
“L’unica arma che imbraccerei è il libro”: Daniela Di Sora, editore indipendente, sua la Voland, è chiara e limpida come i suoi occhi.
È nata a primavera, a guerra appena finita e ancora nell’aria, mista a una gran voglia di vivere. Una famiglia modesta, in casa pochi libri ma decisivi. L’Enciclopedia della fiaba le rivela le meraviglie del favoloso di tutto il mondo, e su tutti, già bimbetta, è il folklore russo che la cattura: la fiaba del pesciolino d’oro, a rammentarla, ancora le fa brillare gli occhi splendenti.
Daniela Di Sora oggi vive e lavora a Roma, ma a lungo è stata via, all’Est. Sei anni a Mosca, quattro in Bulgaria e uno, formidabile, a Praga, che nel ’69 “era la città più bella del mondo”. Tutto comincia ai tempi del liceo Virgilio, quando diciassettenne legge Dostoevskij, Delitto e castigo le insegna a leggere davvero, così vero che le viene il desiderio di leggerlo in russo.
Eccola allora studentessa di Lingue, russo, ceco e francese, il mondo slavo, suo grande amore. “Vengo da lontano. Ho cominciato come traduttrice, avevo ventuno anni.” Traduce prosa, saggistica e per la Bulzoni, poesia. Anche dal bulgaro e dal ceco. Vince un concorso per lettori al Ministero degli Esteri, vittoria che le permette di approdare nella più antica università bulgara, a Veliko Tarnovo, dove inaugura il primo lettorato d’italiano. Lettura e politica, grandi passioni: “Poi, a un tratto, scatta una specie di delirio d’onnipotenza, allora mi sono ritrovata sulla strada che portava a Voland.” Le hanno detto che essere del segno dell’ariete, con ascendente ariete, può spiegare la sua scelta di donna in un mondo declinato al maschile, se si parla di chi tiene le redini, di solito. Non se si parla di chi lo costruisce e manda avanti ogni giorno, quel mondo; e neppure se si parla di chi se ne avvantaggia: “Il mondo dell’editoria è composto per il novanta per cento da donne e donne sono la maggioranza dei lettori”. Sensibilità è la parola magica, arte della cura e capacità d’attenzione sono talenti molto femminili. Non tutti sono in grado, si tratta di talenti, appunto. “La figura dell’editor, per esempio, un mestiere sul filo, unisce fedeltà e capacità di mediare fra autore e traduttore, tutto in nome del libro”: s’appassiona mentre parla, Daniela Di Sora, e una luce particolare l’attraversa.
Stessa luce di quando ti parla del suo editore ispiratore, ma stavolta racconta con un gusto gongolante: “I francesi di Actes Sud, stanno ad Arles, in una piazzetta intitolata a Nina Berberova. Ne hanno fatto la piazza più bella di Francia: hanno aperto un cinema, un bistrot, addirittura un hammam. Ogni tanto vado, mi siedo a un tavolo che affaccia su quel salottino urbano e muoio d’invidia!” E una risata scansa equivoci, a garganella quasi, ti dice l’agilità di un animo che se deve scegliere una dote umana, sceglie la curiosità. Che unita a una cura non maniacale ma quotidiana – la giornata tipo non esiste se non nell’appuntamento cada die in casa editrice, a fare il punto, sempre e comunque -, è fiorita in lei come un dolce gelsomino, pianta sempreverde.
E siccome il mestiere d’editore – lei usa il maschile, e si scusa quasi, dicendo che nel ’77 partì, perdendosi tutta la fase incandescente del femminismo qui in Italia -, riserva pochi vantaggi: “tanto vale divertirsi!”. E nel dirlo, la voce le si colora di sfida: “Oggi il mio Voland, oltre il diavolo di Bulgakov degli esordi, è un diavolo non solo russo, è un diavolo che punisce la cattiva letteratura!”
E sull’argomento non si tira indietro, soprattutto se le domandi dei salotti letterari, se esistono ancora e senza il minimo dubbio, risponde: “No, estinti con gli intellettuali”.
C’è poco da stare allegri a guardare l’oggigiorno, e per rimanere nell’ambiente, basta leggere gli ultimi dati sull’editoria: “Legge il 49% degli italiani, ma ogni anno vengono pubblicati più di 60.000 titoli, ogni giorno più di 350 novità sullo scaffale delle librerie, dove durano massimo due settimane, poi via.” Qualcosa non funziona. Come per le donne, che fanno nascere e crescere l’editoria italiana, ma non contano un’acca. E invece, la Signora Voland, da indipendente, ha deciso di prendersi la libertà di tanti innamoramenti quanti libri ha pubblicato in 24 anni: “Sono figli, non mi chieda il più bello o addirittura il più caro, di solito rispondo, l’ultimo”. E un senso materno trapela anche con le sue collaboratrici: Katia su tutte, colei che in vece della Signora Voland, dà il “visto, si stampi!”, atto liberatorio e indispensabile. E a proposito di libertà, Daniela Di Sora si è data anche quella di invertire rotta: “L’ambizione dei primi tempi, di occuparci solo di letteratura slava, di lì a poco mostrò che così non si andava lontano. A quei giorni risale l’incontro con Amélie Nothomb, prima con la sua scrittura, poi di persona. Una scrittrice alla quale basta un battito di ciglia, un movimento impercettibile, lo spostamento di un avverbio, per trasformare tutto”. Nel mondo di Amélie, la Signora Voland è riuscita a vendere circa un milione di copie, con un campione d’incassi inequivocabile come Né di Eva né di Adamo che da solo ne ha vendute cinquantamila. Alla fedele scrittrice – ché non poche “grandi” case editrici hanno tentato di rapirgliela -, deve un ritmo di un libro l’anno, a scalare le classifiche di vendita. “Sì, un buon ritorno”, commenta con soddisfazione Daniela, in barba a chi sostiene che di cultura non si vive, lei dimostra il contrario. Dimostra che ci vuole fiuto, d’accordo, ma anche maturità nelle scelte editoriali, come testimoniano le 6 collane che compongono il variegato catalogo Voland. E se fate caso alla V iniziale, scoprirete che ha una codina minuscola: è la coda del diavolo, probabilmente, progettata dall’Art Director Alberto Lecaldano grafico e compagno della Signora Voland. A lui, si deve anche la font che la casa editrice ha fatto realizzare ad hoc nel 2010, con poco nero e ariosa, inconfondibile.
Ecco, nelle due ore a tu per tu con Daniela Di Sora, alla fine i libri sulla scrivania si sono accumulati: creature venute al mondo desiderate, e poi allevate con cura. Perciò quando la Signora Voland si è alzata a sfilare dalla libreria a parete della sua operosa casa editrice – imminente il trasloco vicino Campo de’ Fiori -, ed è tornata con una chicca di Filippo Tommaso Marinetti – Originalità russa di masse distanze radiocuori, manoscritto ritrovato in una biblioteca americana -, chi scrive si è commossa.
Eh sì, ché il desiderio di un altro, l’interesse come l’amore, è contagioso: è un po’ come quando i poeti leggono ad alta voce le loro poesie. E se poesia Voland non la pubblica, poeti però sì! Marina Cvetaeva svetta nel catalogo con il suo sguardo da uccello: Taccuini 1919 - 1921, e poi ancora, Le notti fiorentine, quest’ultimo curato da Serena Vitale.
E alla Cvetaeva, poetessa che nella miseria più totale, quella vera, trova la libertà sedendosi all’alba al suo tavolo di scrittura, la Voland presto (ma noi speriamo più presto) dedicherà ampio spazio.