Alla scoperta di un filosofo dimenticato: Luciano Parinetto. Lo studio della caccia alle streghe, dove portò alla luce documenti poco considerati e di cui diede un’interpretazione a dir poco anticonformista.
Per correttezza dichiaro subito il mio conflitto d’interessi. Il saggio di cui voglio parlarvi questo mese è stato scritto da uno studioso che ho conosciuto personalmente, Luciano Parinetto (1934-2001), che incontrai negli anni 90 quando frequentavo i corsi della Statale di Milano, università dove lui insegnava Filosofia Morale.
Il nome di Parinetto non è noto al grande pubblico così come non è noto alla persona colta, ed è un peccato che sia così. I suoi libri, se all’epoca in cui furono scritti erano in odor di zolfo, negli anni successivi alla sua morte sono stati addirittura dimenticati, con una vistosa eccezione: nel 2005 Aldo Nove sull’inserto culturale “Liberazione”, il quotidiano di Rifondazione Comunista, citò la tesi parinettiana dell’analità rimossa – “le nostre società moderne hanno proceduto a una vasta privatizzazione degli organi. Il primo organo privatizzato, messo fuori campo sociale, è stato l'ano. È lui che ha dato il suo modello alla privatizzazione, nello stesso tempo in cui il denaro esprimeva il nuovo Stato borghese” – e ciò bastò a scatenare un’ondata di proteste indignate da parte dei lettori, nessuno dei quali aveva mai letto i libri di Parinetto, che trovò eco perfino sulle pagine del “Corriere della Sera”.
Solo negli ultimi tempi una casa editrice coraggiosa, Mimesis, ha programmato la ripubblicazione dei testi di Parinetto, ma per adesso è necessario ordinarli via internet perché sugli scaffali delle librerie è ancora difficile trovarli.
Per cominciare, consentitemi due parole sui motivi della sua esclusione dalla cultura con la c maiuscola.
Parinetto non fu mai gradito ai giornali e alle case editrici di sinistra quando la cultura di sinistra era – come si suol dire – egemone, poiché egli dava un’interpretazione di Marx molto originale e poco ortodossa, filtrata attraverso la lettura di Freud, Marcuse, Deleuze e Guattari, ma soprattutto un’interpretazione che era molto lontana da quella canonizzata dal Partito comunista italiano, di cui Parinetto più volte criticò l’ipocrisia. Ricordo, a mo’ di esempio, una sua raccolta di riferimenti alla cultura magico esoterica presenti negli scritti di Marx.
Parinetto però non piacque mai nemmeno alla cultura italiana di destra – un tempo poco considerata ma poi, a partire dagli anni 80, sempre più potente – che in lui vide comunque un dichiarato anticapitalista, un marxista (anche se lui si definiva marxiano) in anni in cui il marxismo, per non parlare del socialismo reale, era oggettivamente in declino. Anche in questo caso ricordo, sempre a mo’ di esempio, una durissima invettiva nei suoi confronti partita dalle autorevoli pagine di “Civiltà Cattolica”.
Poi, intendiamoci, Parinetto ci mise anche del suo. Sembra un po’ strano riconoscerlo mentre scrivo la recensione di un suo saggio, ma la prosa di Luciano Parinetto è veramente pessima: contorta, involuta, piena di citazioni in lingue morte, al limite del comprensibile. Io credo che facesse quasi apposta a scrivere così, come per dire: “se vuoi capire quello che scrivo, devi sudare e devi studiare perché non te lo regalo”. E anche in questo caso, sempre a mo’ di esempio dello sforzo intellettuale che lui esigeva da chi gli era vicino, ricordo che il giorno di apertura di un suo corso universitario dedicato al “Diverso” invitò gli studenti presenti a scegliere un altro corso perché il suo era troppo difficile.
Eppure, eppure, eppure io vi dico che se il grande pubblico fosse entrato in contatto con le ricerche di Parinetto e se la sua prosa fosse stata un po’ più accessibile, probabilmente saremmo qui a raccontare un’altra storia. Sì perché quando il grande pubblico cominciò a gradire gli argomenti – diciamo così – esoterici (templari, streghe, sette segrete, vampiri, alchimia, libri proibiti), non si accorse che Parinetto ne era uno dei massimi cultori seri in Italia.
Il suo campo di elezione fu lo studio della caccia alle streghe, dove portò alla luce documenti poco considerati e di cui diede un’interpretazione a dir poco anticonformista.
Apro una parentesi: la caccia alle streghe non si è verificata – come invece si è soliti pensare – nel medioevo. Si è verificata invece a partire dall’Umanesimo e dal Rinascimento, e trovò il suo apice nel Seicento, quando cioè la moderna società scientifica e capitalistica maturò definitivamente. Non esiste una contabilità precisa delle persone arse sul rogo come streghe, anche perché gli atti dei processi erano considerati impuri e pertanto anch’essi spesso finirono sul rogo. Le stime variano dalle cinquantamila persone ai sei milioni: su quest’ultima cifra insistette molto il movimento femminista per sottolineare una possibile similitudine con la soluzione finale hitleriana, e nella convinzione ovviamente che le streghe fossero donne...
Quest’ultima affermazione introduce una questione spinosa. La tesi più controversa di Parinetto fu che le streghe non erano donne, ma erano una serie di categorie di persone che il nascente capitalismo desiderava espellere definitivamente dalla nuova società inquadrata: vagabondi, pastori, ritardati mentali, fabbri, zingari, mendicanti, omosessuali, indios e via dicendo. È stato notato anche da altri studiosi che in effetti le streghe appartenevano quasi sempre ai ceti umili e anzi occupassero un ruolo estremamente marginale nell’ordine sociale. Sono rarissimi i casi in cui di stregoneria vennero infatti accusati esponenti dei ceti più elevati.
Con una brutta parola mutuata dalla psicoanalisi e dalla scuola di Francoforte, Parinetto definiva questo utilizzo del termine strega una “surdeterminazione”. In pratica nel termine “strega” si sarebbero inconsciamente cristallizzati molteplici fenomeni. Detto in altri termini: è la caccia alle streghe che ha creato via via le streghe, non è che le streghe le preesistessero. In questo senso la strega, secondo Parinetto, è errante nel tempo e nello spazio poiché ha assunto varie forme in varie epoche.
C’è un altro interessante tema – molto originale e che meriterebbe ben altra considerazione rispetto a quella di cui gode oggi, che è pari zero – che è trattato nel libro “La traversata delle streghe” che vi consiglio di leggere, e si concentra nell’osservazione che la nascente caccia alle streghe, che come ho detto ebbe la sua origine nell’Umanesimo, venne esportata nel Nuovo Mondo scoperto alla fine del Quattrocento, dove – esaurita una prima fase di rapina dell’oro e dell’argento – trovò per la prima volta applicazione su larga scala per tutto il secolo successivo con lo sfruttamento coatto della forza lavoro locale, per poi ritornare in Europa, molto più forte, nel Seicento: “L’originario capitale [troverà] nel lavoro mal pagato (o addirittura forzato) degli indios [...] lo schema stesso mediante il quale avvierà le masse dei miserabili, dei mendicanti, dei diversi del Vecchio Mondo sulla via del ‘libero mercato del libero lavoro’.”
In pratica a una guerra esterna del capitalismo contro gli indios streghizzati seguì successivamente una guerra interna del capitalismo contro le masse riottose streghizzate.
È una tesi suggestiva, ma non campata in aria. Anche in questo caso i documenti portati a sua conferma sono molteplici, e dai quali si nota per esempio come, agli occhi dei conquistadores e alla loro mentalità, gli indigeni avessero effettivamente le stesse caratteristiche diaboliche – sessuali e rituali – delle prime streghe europee (che, come ho già fatto notare, nella teoria parinettiana non sono donne).
L’accumulazione originaria, da cui Marx fa originare il capitalismo, sarebbe stata dunque fondata anche sulla caccia alle streghe, entità aliene che non si volevano rendere disponibili alle necessità del nuovo ordine capitalistico.
Questo mese cadevano i duecento anni dalla nascita di Karl Marx. Festeggiamoli in un modo un po’ diverso, sottraendo all’oblio il suo interprete italiano più controverso e meno conosciuto.
Luciano Parinetto, La traversata delle streghe nei nomi e nei luoghi, Edizioni Colibrì, 190 pagine, 10,00 euro.