Venerdì 25 maggio 2018 al Libraccio di Monza presentazione del libro curato da Giovanni Cominelli per l'editore Guerini. Partecipano Claudio Cereda e Ezio Rovida. Per i nostri lettori un'anticipazione dell'intervento di Rita Pavan, oggi segretario della Cisl Monza Brianza Lecco
Le iniziative per il cinquantesimo del Sessantotto arrivano finalmente anche a Monza: venerdì 25 maggio 2018 presso la libreria Il libraccio di corso Vittorio Emanuele alle 17.30 si terrà la presentazione del volume curato da Giovanni Comelli per Guerini Editore Che fine ha fatto il 68. Fu vera gloria? Parteciperanno Claudio Cereda e Ezio Rovida.
Grazie all'editore, Vorrei può proporre ai suoi lettori un estratto del libro, l'intervento di Rita Pavan, attuale segretario della Cisl Monza Brianza e Lecco e allora una bambina.
Il mio ’68 incomincia nel ’70. Nella scuola media di via Graf di Quarto Oggiaro, quartiere dove sono cresciuta, il riscaldamento non funzionava da giorni: nonostante le segnalazioni, niente da fare. Una mattina arrivarono i militanti di Servire il popolo: «Non si entra, sciopero e manifestazione!». Sotto la loro guida, qualche decina di ragazze e ragazzi formarono un corteo, che girò per il quartiere gridando: «in classe si gela, vogliamo i caloriferi!». Davanti a un’altra scuola media serviva spiegare agli studenti, chiusi in classe, il motivo della protesta. Mi misero in mano il megafono: «fai tu». In terza media, feci il mio primo comizio. Ecco, iniziò così…
Il giorno dopo, rientrate a scuola, la mia classe, tutte ragazze, fu punita dall’insegnante di italiano: una repubblicana, antifascista, bravissima insegnante, che ricordo ancora con molto rispetto e affetto. Era arrabbiata non per lo sciopero in sé, ma perché, diceva, ci eravamo comportate «da pecore»: senza riflettere sulle cose e «seguendo gli ordini degli extraparlamentari esterni alla scuola». Mi toccò, assieme alle altre compagne di classe, ricopiare per dieci volte «l’isola di Calipso» dall’Odissea. Adolescenti politicamente prematuri? Quello fu anche l’anno in cui decisi di andare a lavorare d’estate, assieme ad altre amiche di scuola. Non per bisogno, ma per voglia di autonomia e di guadagnare qualche soldino.
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Essere responsabile del proprio Collettivo significava occuparsi di tante cose: dal confronto/scontro con la Fgci e con le referenti degli altri gruppi extraparlamentari (in particolare Avanguardia operaia e Lotta continua), ai tanti problemi e iniziative di quegli anni: l’autogestione, la battaglia contro i Decreti delegati. Dopo una fase di astensionismo, però, entrammo nei Consigli di istituto. Poi c’erano le assemblee in preparazione degli scioperi o su temi di varia natura. Accanto a queste, altri compiti più organizzativi: la vendita del giornale Fronte popolare, ritirare l’autotassazione. Si era sempre in contatto con i responsabili delle altre scuole anche in orari scolastici; vicino a noi c’erano il Liceo Cremona e l’Istituto Zappa. Allora i cellulari non esistevano e Mario, il mitico bidello, entrava in classe: «Pavan, al telefono». C’era molta tolleranza allora, troppa, diceva qualcuno. Del resto, gli insegnanti ci permettevano di fumare in classe…
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Le attività sul territorio? Banchetti in piazza sui temi più disparati, picchetti a sostegno di vertenze aziendali, consultori e collettivi donne, e, immancabile, la diffusione del giornale: a scuola, in piazza o casa per casa. Poi, i primi incontri con il sindacato. Allora c’erano i Cuz, Consigli unitari di zona: dopo un po’ di anni ne sarei diventata una responsabile. Il rapporto con la «classe operaia» era decisamente mitizzato. Nonostante noi studenti fossimo talvolta tenuti ai margini delle manifestazioni sindacali, soprattutto nei periodi più caldi, l’incontro con qualche sindacalista era sempre un momento emozionante. Ricordo la prima diffusione di Fronte popolare alla Carlo Erba. Tutta fiera di andare a vendere il giornale alla «classe operaia» – avevo sedici anni – le operaie della fabbrica uscivano e mi passavano di fianco. Una ridendo mi guardò ed esclamò, in dialetto milanese: «Ma se l’è, l’asilo Mariuccia?!». Una bella ferita al mio orgoglio di giovane militante rivoluzionaria!
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Nel frattempo era iniziata l’attività sindacale. Nell’agosto del ’76, finita la maturità, ho iniziato a lavorare alla Peugeot, azienda di commercio auto: allora si trovava posto immediatamente, soprattutto se ci si diplomava con il massimo dei voti. Nel periodo di prova, c’erano gli scioperi del contratto nazionale, ed era prassi che non ci si esponesse per non mettere a rischio la conferma dell’assunzione: i componenti del Cda, Consiglio d’azienda, facevano i picchetti e quando arrivavo si spostavano, «lei può entrare». Cosa che facevo davvero a malincuore, tanto più che nel marzo dell’anno successivo, alle nuove elezioni, sono stata eletta rappresentante sindacale.
Avevamo un bel Consiglio d’azienda, c’era partecipazione alle assemblee e alle iniziative di lotta, non solo tra gli operai dell’officina, ma anche tra gli impiegati, cosa non sempre usuale. Non mancavano, ovviamente, i «crumiri», ma erano pochi e abbastanza sbeffeggiati. Facevamo enormi cartelli (ta-tze-bao, li chiamavamo ancora alla cinese) sulle varie tipologie di crumiri, tra cui quello «olimpicus»: una collega per aggirare i picchetti aveva fatto un salto in alto del cancello.
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Il sindacato non è solo un «lavoro». È qualcosa di più. E tuttavia noi sindacalisti dobbiamo ritenerci fortunati ad essere retribuiti per fare un lavoro che amiamo e abbiamo scelto: è un privilegio che pochi lavoratori hanno! Comunque, pubblichiamo i redditi di ciascun segretario sul sito web della struttura di appartenenza, per eventualmente sfatare la «leggenda nera» dei sindacalisti che lavorano poco e guadagnano molto…
Il ’68 ha lasciato eredi tra i giovani di oggi? Molti lo sono, «a loro insaputa»: una generazione più istruita, con maggiore benessere, ma con un futuro più incerto. Noi volevamo cambiare il mondo, forse il mondo ha cambiato noi; ma a quell’età il futuro era nostro: avremmo modificato le cose e ridotto l’ingiustizia su questo pianeta.
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Oggi non ho le risposte, che un tempo invece, assieme a molti altri, credevo di avere. Ciascuno le deve cercare, in ogni luogo del pianeta, in relazione alle proprie parzialità, possibilità e inclinazioni. Io ho trovato il luogo nel sindacato, altri nella politica, altri nel volontariato o con un gruppo di amici con i quali condividere un progetto di utilità collettiva. In questi tempi di «individualismo connesso», in cui si può conoscere quasi tutto di quel che avviene nel mondo, passare ore su Facebook, spesso insultando e polemizzando inutilmente, può accadere di non vedere quel che accade nella porta accanto.
Il lascito del ’68? Mai voltarsi dall’altra parte.
Che fine ha fatto il 68
Presentazione del libro a cura di Giovanni Cominelli
Intervengono
CLAUDIO CEREDA e EZIO ROVIDA
Venerdì 25 maggio ore 17.30 Libraccio, Via Vittorio Emanuele 15 Monza
Il racconto di quei giorni pieni e appassionati, attraverso ventitré piccole autobiografie di “ragazzi” che si affermavano nella realtà sociale, politica e culturale italiana.
L’arco temporale, da cui il caso o il destino ha scoccato la freccia di ciascuna delle vite raccontate nel libro a cura di Giovanni Cominelli Che fine ha fatto il 68 (Edizioni Guerini), è teso tra la fine degli anni Trenta e quella degli anni Cinquanta. Nel decennio 1968/1978 i fili di queste generazioni si sono intrecciati. Su quel telaio esse hanno tessuto eventi e fatto storia. Da allora non hanno più smesso. Ora stanno abbandonando lentamente la scena, non per volontà propria, ma perché spinte dalle severe leggi biologiche. Il libro muove, senza confessarlo, anche da questa malinconica e realistica consapevolezza. Di qui la voglia di raccontare, per consegnare il testimone a chi sta davanti, nella staffetta delle generazioni. Che fine ha fatto il ’68 raccoglie testimonianze senza nostalgia, che rimandano al lettore il giudizio sull’eredità lasciata alle generazioni successive.
Il 25 maggio alle ore 17.30 presso il Libraccio due monzesi, protagonisti di quegli anni, tornano in città per un incontro pubblico sul lascito del 68 e del Movimento Studentesco: Claudio Cereda, che ha contribuito alla realizzazione del libro con la sua personale e preziosa testimonianza, dialoga con Ezio Rovida.
Che fine ha fatto il 68, oltre al contributo già citato di Claudio Cereda, raccoglie le testimonianze di Pier Vito Antoniazzi, Luisa Bertolini, Maurizio Carrara, Sergio Cofferati, Nando Dalla Chiesa, Franco Fabbri, Fiorella Farinelli, Vincenzo Gaudiano, Giovanni Lanzone, Renato Mannheimer, Antonella Masi, Emilio Molinari, Rita Pavan, Luciano Pero, Antonio Pioletti, Ulianova Radice, Danilo Taino, Silverio Tomeo, Alberto Toscano, Gian Gabriele Vertova, Sergio Vicario, Ugo Volli.
G. Cominelli, Che fine ha fatto il 68. Fu vera gloria?, pp. 224, euro 21,50, ISBN 9788862507226, 2018, Guerini e Associati.