Gli anni dal Fascismo alla Liberazione in mostra a Seregno attraverso i documenti custoditi negli archivi comunali.
Esiste un modo per avvicinare il pubblico alla documentazione storica, alle fonti privilegiate della ricostruzione del passato, grazie a cui esso possa parlarci con l’evidenza dei dati innegabili? Una maniera possibilmente diretta ed efficace, che non passi necessariamente attraverso il ricorso a testi complessi e di non facile lettura? E non sarebbe, questo, un modo importante per cercare di sottrarre alla propaganda interessata, al revisionismo, alle immagini precostituite, la rappresentazione dei periodi più controversi della storia recente? Non tutti sono a conoscenza del fatto che la memoria di ciò che è stato, degli eventi che hanno interessato la collettività in tempi in cui essi non erano registrati e diffusi momento per momento dai media, non è affidata solo ai libri o alle testimonianze e ai ricordi, necessariamente parziali e soggettivi, dei singoli, ma che essa è custodita nei documenti raccolti in quegli archivi ai quali ricorrono ricercatori e storici nel loro paziente scavo sul nostro passato.
Aprire i fascicoli degli archivi comunali vuol dire trovarsi “faccia a faccia” col passato
Di tali archivi, i più facilmente accessibili sono quelli custoditi nelle biblioteche civiche, che ne pubblicano on line gli elenchi e ne rendono possibile, su richiesta motivata, la consultazione. Aprire i fascicoli di questi archivi vuol dire trovarsi “faccia a faccia” col passato: con un linguaggio, dei simboli, una tecnica e dei materiali di scrittura, che rappresentano di per sé un pezzo di quel passato; leggere circolari e direttive inviate dai ministeri ai comuni, delibere comunali e provvedimenti delle questure o delle prefetture, richieste dei cittadini, manifesti e avvisi, permette di scoprire, attraverso dettagli precisi ed eloquenti, i modi in cui quella storia, di cui pure pensavamo di conoscere i profili generali, si sia nella realtà manifestata concretamente anche nelle comunità locali e nella vita quotidiana delle persone.
A differenza delle immagini, delle foto d’epoca, i documenti difficilmente si prestano a opposte interpretazioni, mentre possono offrire la giusta chiave di lettura delle immagini stesse; e mentre le prime si prestano di più ad “operazioni nostalgia”, i secondi propongono fatti incontestabili che invitano ad indagare e comprendere.
È partendo da queste ipotesi che il Comitato Antifascista di Seregno ha voluto allestire, nell’ambito delle manifestazioni civiche per la celebrazione del 25 Aprile, una mostra che, affiancando a una selezione di immagini alcuni dei più significativi documenti d’archivio, fornisse una rappresentazione il più possibile eloquente degli avvenimenti e delle situazioni che coinvolsero la città negli anni compresi tra l’affermazione del fascismo e la Liberazione.
La ricerca è stata condotta in massima parte da Chiara Ballabio e Zeno Celotto, che alla frequentazione degli archivi ricorrono ormai da tempo nel loro impegno di rigorosa ricostruzione di alcuni aspetti della storia cittadina, ma molto materiale illustrativo è stato tratto dai numerosi libri di Pietro Arienti sulla Resistenza in Brianza, oltre che dagli archivi fotografici del Circolo Culturale Seregn de la memoria.
A differenza delle immagini, i documenti propongono fatti incontestabili, invitando ad indagare e comprendere
Poiché i documenti d’archivio sono beni culturali protetti dalla Sovrintendenza, e sono per altro materiale fragile e delicato, solo alcuni manifesti relativi alle requisizioni e un pieghevole pubblicitario sono stati esposti in originale, mentre la maggior parte di quelli selezionati è stata riprodotta su carta fotografica.
L’allestimento non è stato opera di professionisti della comunicazione, ma di volontari del Comitato antifascista e dell’ANPI locale, con la collaborazione dei giovani che prestano servizio civile presso l’Ufficio Cultura del Comune.
Non è facile verificare l’impatto sul pubblico di un intervento di questo genere, che non voleva essere tanto didascalico, quanto evocativo e dimostrativo: accanto alle foto di luoghi riconoscibili anche se mutati (la sede del fascio di Seregno, il palazzo comunale con accanto la sede dei sindacati fascisti, la stazione ferroviaria bombardata) o non più esistenti (la sede della G.I.L.) perché rasi al suolo, sono state esposte, ad esempio, le richieste di informazioni al podestà sulla “condotta morale e politica” degli aspiranti ad un lavoro, le veline del famigerato MinCulPop che vietano la proiezione di film come “Il vagabondo di Chaplin”, o gli ordini di requisizione, durante la guerra, di pneumatici, cancellate e fontanelle in ghisa, rame per uso domestico, animali da trasporto! Per non parlare delle richieste di informazioni sulla razza non solo di dipendenti pubblici, ma perfino su un azionista della Richard Ginori! O dell’obbligo agli albergatori di segnalare la razza dei loro ospiti e delle norme per la valutazione della appartenenza razziale dei figli di matrimoni misti. Di fatto, fra i cinque blocchi tematici e cronologici presi in considerazione, ovvero il regime, le persecuzioni razziali, la guerra, la RSI e l’occupazione tedesca, e infine la lotta partigiana e la Liberazione, il periodo più documentato risultava per ovvi motivi il primo, ma proprio questo appariva di per sè significativo: l’onnipresenza dello stato sotto il fascismo produceva una gran mole di corrispondenza tra i diversi uffici pubblici, e la propaganda si serviva largamente di immagini celebrative; cosicchè anche questa sproporzione diviene un fatto dimostrativo. Mancava il capitolo sugli internati militari, al cui fascicolo ci è stato negato l’accesso, ma che parecchi visitatori si sono offerti di documentare in una prossima occasione con lettere, diari, diplomi di merito appartenenti ai loro familiari.
Il pubblico al quale ci si è rivolti, e che è intervenuto abbastanza numeroso, era innanzitutto quello interessato alle vicende della città, e forse solo in secondo luogo alla valutazione di quanto è avvenuto in quegli anni cruciali della storia nazionale: la maggioranza dei visitatori aveva un’età superiore ai cinquant’anni, pochi i giovani, purtroppo, certamente i più avvertiti. I questionari di gradimento, al di là dei dati statistici, non dicono molto su come sia stata recepita l’iniziativa: il 66% del pubblico ha espresso un alto gradimento, mentre nessuno ha formulato valutazioni negative, ma non è stato dato spazio a commenti personali. Perciò ho voluto rivolgere a qualcuno dei visitatori poche semplici domande:
- Quanto può essere utile ed efficace l’esposizione al pubblico di materiale documentario ai fini di un approccio nuovo alla conoscenza del passato?
- È possibile affermare che i documenti “parlino da sé”, che presentino i tratti concreti di un momento storico con un’evidenza diversa rispetto ad altri mezzi (ricostruzioni, testimonianze soggettive, immagini)?
- È accaduto che qualcuno dei documenti esposti rappresentasse una scoperta, svelasse qualcosa di inatteso o di particolarmente impressionante?
Le risposte sono per lo più il frutto di brevi chiacchierate, più che di interviste vere e proprie, sono talvolta parziali, ma rappresentano comunque un contributo alla discussione in vista di nuove eventuali iniziative di questo genere.
Se pensi che gran parte delle persone non sa nemmeno per quale motivo si festeggia il 25 Aprile, ti rendi conto che occorrerebbe molto di più
Lorella Beretta
giornalista free lance
È di sicuro molto interessante e importante accedere a questi documenti, vedere i dettagli, le intestazioni, le firme. I documenti ci permettono di fare un percorso dentro una realtà che nessuno di noi ha conosciuto. Ma proprio perchè si tratta di un mondo troppo lontano da noi, e dato che magari ci si imbatte in parole non più in uso o che hanno cambiato senso, non sempre si può dire che i documenti parlino da sè. Il pubblico più giovane o meno informato, e talora anche il più preparato, avrebbe avuto bisogno di guide e illustrazioni più ampie e dettagliate delle semplici didascalie che accompagnano il materiale esposto.
Se pensi che gran parte delle persone non sa nemmeno per quale motivo si festeggia il 25 Aprile, ti rendi conto che occorrerebbe molto di più: segnalare, sottolineare, evidenziare, in modo da attrarre l’attenzione sui fatti che possono colpire e lasciare traccia. La pianista che si rifiutava di suonare Giovinezza prima delle proiezioni di propaganda, ad esempio, o l’ordine di requisizione delle cancellate e delle fontanelle in ghisa, meritavano una sottolineatura che li sottraesse alla fretta con cui il visitatore passa da un quadro all’altro in una fruizione superficiale. Non preoccuparsi di attrarre, comunicare con efficacia, significa continuare a parlare solo fra noi: mentre educare il popolo è un’emergenza nazionale!
Paolo Cazzaniga
Presidente del Circolo Culturale Seregn de la memoria
Un documento, in modo più semplice e immediato se legato alla realtà locale, può avere riferimenti a luoghi, attività, avvenimenti, che vivono nei ricordi di chi sta leggendo, che siano ricordi diretti o indiretti. L’atto con cui si vieta di attingere acqua da quella fontana, quello con cui si censura uno spettacolo teatrale, il cambio del nome di una via, ci possono emozionare se a quella fontana abbiamo abitualmente bevuto nelle giornate estive della nostra infanzia e poi ricordiamo che a un certo punto non è stato più possibile; oppure ricordiamo bene quanto piacesse a nostra nonna sentire suonare la marcia reale prima dello spettacolo al cinema: marcia che non venne più suonata dopo l’8 settembre per noi che rimanemmo rinchiusi nei territori della RSI.
Talvolta i documenti acquistano valore per la risonanza che hanno nella nostra esperienza personale, altre volte destano il nostro interesse per il loro reale significato
Nei documenti possiamo trovare racconti semplici di una quotidianità del passato o la possibilità di un confronto con la quotidianità attuale. Talvolta acquistano valore per la risonanza che hanno nella nostra esperienza personale, altre volte destano il nostro interesse per il loro reale significato. Così i documenti che testimoniano in questa mostra la censura operata dal regime, o la denuncia della pianista che diceva di non saper suonare gli inni, mi hanno fatto venire in mente la casa del Terrore di Budapest, o il giovane eritreo che mi faceva da guida al confine con l’Etiopia e che al bar parlava sottovoce e guardandosi continuamente attorno, per paura di essere ascoltato mentre mi raccontava della situazione del paese.
Rita Bagnoli
Artista, membro della Casa della Sinistra di Seregno
È vero, i documenti hanno bisogno di un contesto, ma per me è importante “vedere” che quel che ci è stato raccontato è reale, corrisponde a verità. Certo che i documenti parlano: ti danno un senso di realtà, vedi che c’è il timbro, c’è la firma!senza il documento non ci sarebbe la storia, ma se non vedo i documenti sono costretta a fidarmi, no?
Certo che i documenti parlano: ti danno un senso di realtà, vedi che c’è il timbro, c’è la firma!
recuperare i certificati, le prove degli anni di lavoro che ho fatto. E poi, aggiungono dettagli anche sorprendenti, scopri cose che non immaginavi: lo stemma del comune che sotto la Repubblica Sociale cambia, aggiungendo il fascio littorio, è un piccolo particolare che dice tante cose. Piuttosto impressiona la quantità di foto celebrative del fascismo, perchè i nostalgici potrebbero pretendere ancora di darne una lettura in positivo: certo dovrebbero limitarsi a quelle, però!
Giulio Sartori
Figlio di un internato militare, proprietario dello stabile che fu sede della Caserma della brigata nera Resega sotto la RSI
È molto importante che i giovani possano vedere e conoscere quel che è accaduto sotto il fascismo, il sacrificio dei partigiani e di quei militari che sono stati uccisi o deportati come traditori dai Tedeschi, ma che hanno contribuito alla sconfitta del Reich rifiutandosi di combattere per loro. Non dico che si dovrebbe obbligarli, i giovani, ma penso sia stato un errore abolire l’ora di educazione civica nella scuola media! Fino a qualche tempo fa venivano nelle scuole i reduci dai campi di concentramento, come Vincenzo Pappalettera, l’autore del libro “Tu passerai per il camino”. Oggi a Carugo, alla cerimonia ufficiale del 25 aprile, non c’era nessuno! Si dovrebbero coinvolgere di più i giovani, almeno a partire dalla storia locale, come è stato fatto qui. A volte basterebbe anche chiedersi che significano i nomi di certe vie: io ho abitato trent’anni a Cabiate in via Torchio e Retta, e non sapevo, come nessuno dei Cabiatesi sapeva, che cosa significassero quei nomi: ho scoperto solo dopo trent’anni che erano i nomi di due partigiani milanesi fucilati proprio in quella via.
I giovani
Elia, che presta servizio civile presso l’Ufficio Cultura del Comune
Trovo che i pochi documenti originali esposti possano davvero colpire il pubblico come qualcosa che ha un legame diretto con la storia, che arriva da quel momento storico, ben più delle riproduzioni fotografiche; che tuttavia hanno anch’esse un valore: servono alla conoscenza più delle immagini, che hanno invece soprattutto un valore affettivo. Riconosci i visi delle persone: tanti dicono, ecco, in questa brigata c’era mio nonno, c’era mio zio. Capisci invece dai documenti come tutta la società, non solo il livello militare o istituzionale, fosse controllata, colpita dalla censura e dalla propaganda. Mi ha sorpreso molto la pubblicità della valigetta di pronto soccorso in caso di bombardamento, autorizzata e firmata dal duce: non immaginavo un simile uso della pubblicità.
Andrea e Sara, studenti
Forse la lettura dei documenti lascia un po’ freddi, distaccati: è diverso leggere qualcosa piuttosto che sentirsela raccontare. Non è una questione di pazienza, chi viene qui è pronto a spendere del tempo per leggere, ma l’effetto è diverso. (Sara)
È vero però che alcuni di questi documenti mostrano dettagli che impressionano, che colpiscono anche senza spiegazioni: ad esempio i provvedimenti minacciati ai parenti fino al secondo grado dei giovani che non si presentavano alla leva sotto la Repubblica di Salò. (Andrea)
Qualche particolare ha bisogno comunque di spiegazioni per essere capito: si minacciava fra l’altro di togliere la tessera annonaria, ma non tutti i giovani sanno cosa fosse. A me è capitato di dover spiegare ai bambini, anche di dieci anni, a cui faccio da baby sitter, cosa fosse la svastica che qualcuno ha disegnato sulle panchine del parco vicino alle scuole Rodari; alla mia spiegazione, mi son sentita chiedere: Ma tu c’eri? Non hanno proprio idea neanche del tempo che è passato da allora! (Sara)
Certo, per chi ne sa meno le spiegazioni dovrebbero essere più ampie, bisognerebbe evitare di dare tante cose per scontate: chi viene qui è chi già ne sa qualcosa, mentre, come sempre, queste cose servirebbero di più a quelli a cui non interessano! (Andrea)