La ricerca della vita al di fuori della Terra. Il ibro di Jim Al–Khalili fa il punto in modo non sensazionalistico. Cosa ne sappiamo, come la stiamo cercando e dove.
E dunque è morto anche Stephen Hawking, la cui figura ha colpito l’immaginario di milioni di persone e, entrando nella cultura contemporanea, ha accompagnato anche le nostre esistenze: evento rarissimo per uno scienziato.
Si è parlato molto, e molto giustamente, del suo coraggio nell’affrontare la malattia. Meno si è parlato dei suoi interessi scientifici. Ed è un peccato poiché Hawking è stato un astrofisico di livello internazionale che scelse di esplorare territori di frontiera, studiando cioè teorie che erano al limite tra scienza e fantascienza e che non erano state ancora pienamente accettate dalla comunità scientifica – come per esempio il Big bang e l’esistenza dei buchi neri – e trattando anche argomenti considerati poco seri come il viaggio nel tempo e l’esistenza di vita extraterrestre, dimostrando in questo modo che di certe cose si può anche parlare in modo assennato.
Con la sua stessa serietà ci avviciniamo dunque alla questione degli alieni utilizzando una bella antologia pubblicata pochi mesi fa e che comprende una ventina di interventi, scritti da scienziati di chiara fama, divisi in quattro sezioni: “Incontri ravvicinati”, “Dove cercare la vita nell’universo”, “La vita che conosciamo” e “Caccia agli alieni”.
Fino agli anni 90 del Ventesimo secolo non si conosceva ancora l’esistenza di pianeti esterni al sistema solare. Oggi sappiamo che sono miliardi. È strano: una grande conquista scientifica – la scoperta cioè degli esopianeti – ci è passata sotto il naso durante le nostre vite, ma non ce ne siamo nemmeno accorti. Ciò è accaduto perché la fantascienza ci ha reso familiare l’idea dell’esistenza di altri pianeti al di fuori del sistema solare prima che questa idea venisse provata.
Oggi sappiamo inoltre che molti milioni di questi esopianeti hanno caratteristiche simili a quelle della Terra. Fino a queste scoperte gran parte della comunità scientifica non riteneva possibile la vita al di fuori del nostro pianeta. Oggi sembra invece che la maggior parte degli scienziati siano possibilisti.
A intendersi ovviamente su cosa sia la vita. E sì perché uno dei problemi principali quando si parla di vita extraterrestre è proprio questo. Noi abbiamo un solo esempio di vita, il nostro, e dobbiamo fare delle congetture a partire da esso. Senza contare poi che l’abiogenesi (la comparsa cioè di materia vivente da componenti non viventi) è un processo ancora sconosciuto e che tale sia avvenuto sul nostro pianeta una volta sola in quattro miliardi di anni. Si tratta dunque di un fenomeno raro, improbabile, e talmente complesso che non è stato ancora possibile replicarlo in laboratorio.
L’effettiva possibilità di vita al di fuori della Terra è piccolissima.
Attenzione quindi a dire – argomento che oggi va per la maggiore – che, poiché ci sono milioni di esopianeti con le condizioni adatte a ospitare vita, allora è probabile che su uno o più di essi la vita ci sia. No, è una prospettiva ottimistica. L’effettiva possibilità di vita al di fuori della Terra è piccolissima.
Un’altra argomentazione che va per la maggiore è che la vita si sviluppi là dove ci sia l’acqua, e ciò è perché sulla Terra le cose sono andate così. Proprio per questo motivo si ritiene che nel sistema solare la vita, se c’è, potrebbe trovarsi su Europa, un satellite di Giove. Su Europa infatti c’è acqua e c’è calore.
Ma non è detto che sia per forza così. È stata per esempio ipotizzata la possibilità di una forma di vita semplice a base di metano liquido, e ciò farebbe propendere la presenza di vita nel sistema solare su Encelado, un satellite di Saturno. Europa e Encelado sono mete abbordabili, e saranno visitate nei prossimi anni da sonde terrestri alla ricerca di vita.
Gli esopianeti non possono invece essere visitati, almeno per ora, nemmeno da una sonda. Sono troppo lontani. Il più vicino è infatti a cinque anni luce, e ciò vuol dire che, se andassimo alla velocità della luce, lo raggiungeremmo in cinque anni. Ma la luce viaggia a 300.000 chilometri al secondo, mentre una sonda raggiunge al massimo 70 chilometri al secondo: fate voi i conti.
Il saggio che vi consiglio di leggere tratta di tutta questa serie di problemi e fa il punto in modo non sensazionalistico in merito al livello delle nostre conoscenze in materia di vita aliena. Cosa ne sappiamo, come la stiamo cercando e dove.
Come vi accennavo, la comunità scientifica ormai da una ventina d’anni a questa parte ha una posizione più aperta sulla possibilità dell’esistenza di vita fuori dalla Terra e sulla possibilità che forme di vita semplici possano essere presenti anche nel sistema solare.
Tutt’altro discorso è però se gli extraterrestri siano mai arrivati sulla Terra. Su ciò lo scetticismo della comunità scientifica è ancora palpabile. A questo proposito, uno degli interventi presenti nel libro – quello di Dallas Campbell – smonta la questione dei “dischi volanti”.
Il primo avvistamento nel dopoguerra è avvenuto il 24 giugno 1947 quando il pilota d’aerei Kenneth Arnold osservò, sorvolando una zona montuosa dello stato di Washington, nove strani oggetti volanti che si muovevano ad altissima velocità. Arnold rilasciò un’intervista a un quotidiano locale e una sintesi del giornalista creò l’espressione dischi volanti (flying saucer) per descrivere ciò che era stato osservato. In realtà in interviste successive Arnold precisò di non aver mai parlato di dischi volanti, ma di aver detto che gli oggetti che aveva avvistato si muovevano come dei “piccoli piatti buttati sull’acqua”. Nonostante la questione dei dischi volanti fosse nata dunque per un equivoco, essa si diffuse immediatamente. Da quel giorno in poi, gli extraterrestri sarebbero sempre arrivati a bordo di dischi volanti. Meno di un mese dopo, 9 luglio 1947, si verificò Roswell.
Ogni ulteriore commento è superfluo. Anche se non esistono prove di vita extraterrestre, ci sono stati però un paio di casi che per anni sono stati sotto la lente di ingrandimento degli scienziati: un forte segnale radio a banda stretta captato nel 1977 e che verosimilmente era stato originato da una cometa, e un meteorite giunto sulla terra 13.000 anni fa, proveniente da Marte e recuperato nel 1984 in Antartide, sul quale erano state rilevate tracce di vita, ma che si scoprì poi che non lo erano. Altro, di serio intendo dire, ad oggi non c’è. Eppure molti non demordono.
Qui entra in gioco un modo di ragionare improprio che fa notare che, poiché gli scettici non riescono a trovare sempre una spiegazione ai casi di avvistamento, allora dovrebbero accettare l’ipotesi che si tratti di avvistamenti di extraterrestri. Non è così. Così come la Polizia non riesce a risolvere tutti i casi su cui indaga, allo stesso modo alcuni casi di avvistamenti di Ufo non saranno mai risolti per mancanza di prove evidenti. In ogni caso – e si tratta di un punto fermo della procedura scientifica – l’onere della prova è a carico di chi vuole dimostrare l’esistenza di un fatto, non di chi ne dubita.
Jim Al–Khalili (a.c.d), Alieni: c’è qualcuno là fuori?, Bollati Boringhieri, 245 pp., 22,00 euro