Incontro nello studio del pittore. La formazione, il rapporto con la natura, il Parco di Monza e la collaborazione con gli editori per le copertine di Cognetti, Terzani e Levi. Da maggio una mostra ad Aosta
Nicola Magrin è un pittore quarantenne, predilige l’acquarello, ama la natura ma vive in città. Da alcuni anni i suoi lavori appaiono anche sulle copertine di libri delle più note case editrici italiane. Non è un illustratore, su questo ci siamo chiariti subito. È, diciamo, un pittore prestato all’editoria. Capelli lunghi nascosti in un copricapo di lana, nel suo studio in un ex complesso industriale a due passi dal Lambro e dalla stazione, mi accoglie mentre la stufa pompa calore bruciando pellet. Capisco subito che non c’è bisogno di molte domande. Tanto essenziale è la sua pittura, tanto fluviale è il suo racconto. Fra le molte cose di cui mi parla, una in particolare si ferma nella mia memoria: «L’arte mi fa stare bene».
È il suo mestiere da vent’anni, ma dipinge da sempre, dacché studiava al Classico e amava i fumetti. Mi mostra un Corto Maltese di sua mano adolescente e la foto di Hugo Pratt sul muro. Di lui ama soprattutto il modo di stendere l’acquarello. La rigida griglia del racconto disegnato non lo convince, per questo abbandona subito quel sentiero. Chissà cosa ne avrebbe detto Sergio Toppi, uno che la griglia l'ha distrutta nelle sue tavole vertiginose.
Poi studia all’Accademia di Brera, nella classe di pittura. Di quegli anni sono i grandi ritratti, colori ad acqua, colature, fusaggine. Alcuni sono ancora lì, appoggiati alle pareti dello studio. Sono volti di scrittori, un presagio.
Negli anni Novanta, Jean Blanchaert lo fa esporre, se ne parla sulla rivista Arte. Magrin pensa a temi molto forti, quelli che studiando storia a scuola non ha incontrato. I desaparecidos argentini, l’olocausto di Auschwitz. Su questo e sui ritratti lavora a lungo, fino al 2008 quando grazie a Ruggero Montrasio va a New York per tre mesi portando dietro solo gli acquarelli. Lì scopre la carta Arches e comincia a lavorare di introspezione. Abbandona i volti degli autori amati e va incontro a figure stilizzate, alle ombre lunghe. Capisce che la via è quella. Affrontare il foglio bianco lo spaventa, lo emoziona, la mano un po’ trema, ma poi sia lui che la mano stanno bene. Allora come oggi, perché «l’arte è essere felici». Sarà infantile, egoistico — dice — ma questo è il suo modo di crescere, migliorare, esprimersi, comunicare.
Abbandonati i ritratti e abbandonatosi felicemente all’acquarello, nel 2012 è ancora un viaggio a segnare una tappa del suo percorso. Un mese e mezzo da amici di famiglia in Alaska. Le grandi distese innevate. «Mi sono ritrovato in un libro di Jack London». Con le ciaspole o con la motoslitta, ore e ore sulla neve intatta. Si sente piccolo nella maestosità della natura. «Noi uomini pensiamo di essere al centro di tutto, in realtà siamo una scoreggia nel mondo». Un mondo che stiamo distruggendo, aggiunge. In Alaska una mattina incrocia un branco di lupi ed è una rivelazione. Quelle presenze da allora tornano e ritornano nei suoi dipinti. In Il Cane, il Lupo e Dio, il libro pubblicato a ottobre scorso con Folco Terzani, sono addirittura protagonisti; nella storia scritta dallo scrittore e nelle sessanta opere che lo accompagnano.
La natura, sempre amata, diventa prepotentemente il tema del suo lavoro. Al ritorno partecipa, disegnandone anche la locandina, alla mostra Naturales quaestiones. Prende in casa una randagia che da lì in poi detta i ritmi della sua giornata. Ogni mattina la passeggiata con lei nel Parco di Monza a respirare e riflettere su quello che poi, tornato in studio, traccerà con il pennello. «Ieri mi ha chiamato Monica Aldi dell’Einaudi per dirmi di pensare alla copertina del prossimo libro. Stamattina quando sono rientrato in studio dal Parco, ci ho lavorato tre ore e ho fatto otto acquarelli. Funzionano. Glieli ho mostrati: wow sono stupendi». Poi magari non scelgono nessuno di quelli, ce ne vorranno altri, chi lo sa. Ma il respiro del suo lavoro è quello.
Ricordi, lettore, il presagio dei ritratti di scrittori? Eccoci. Questa storia delle copertine comincia proprio con Monica Aldi e con la sua telefonata di alcuni anni fa. Ricevuto l’invito a una mostra di Magrin, l’editor lo chiama, si complimenta del lavoro e gli chiede se è interessato a lavorare per l’editoria. Il primo frutto della collaborazione è Presente, il volume a otto mani (Michela Murgia, Andrea Bajani, Paolo Nori e Giorgio Vasta) sulla cui copertina scorrono in fila quattro delle sue figure dalle lunghe ombre. Da lì in poi molti altri libri avranno le sue pennellate. Per Tea, Longanesi, Laterza, Ponte alle grazie, per molti titoli di Tiziano Terzani e quelli di Primo Levi, fra cui Se questo è un uomo, I sommersi e i salvati e altri ancora.
A oggi sono circa trenta. Fra queste, Le otto montagne che vale il Premio Strega a Paolo Cognetti nel 2016, innegabilmente una svolta per entrambi. Con lo scrittore nasce una vera amicizia, complice forse il comune amore per la montagna e la lettura. Alla fine del 2017 i due, il fotografo Stefano Torrione e la guida alpina Adriano Favre partono per il Nepal, destinazione Himalaya del Dolpe. Un viaggio durato più di un mese lungo sentieri a cinquemila metri d’altitudine, raccontato nel numero monografico di Meridiani Montagne numero 90 e sul sito Montagna.tv. Ancora un viaggio. Ancora la magnificenza della natura: non è una sfida. Magrin non l’affronta, si lascia accogliere.
Questo il tracciato dei suoi primi quarant’anni. La prossima tappa sarà ad Aosta, al Centro Saint-Bénin, che dal 4 maggio al 7 ottobre ospiterà la sua prima mostra monografica in un museo. Porterà 60 lavori, compreso le copertine, che tiene per sé e non vende.
Ma com'è la sua pittura? Rarefatta. Le sue pennellate evocative non cedono mai al dettaglio. Pochi elementi fra cui ritornano le silouette umane, il lupo, il corvo, gli abeti e le betulle. Cielo, luna, montagna. Una palette colori ridotta all’essenziale. Tanto silenzio. Passi che affondano nella neve o nella sabbia. Non c'è il rumore e non c'è tempo nei suoi dipinti. Così come non c’è un computer nel suo studio, almeno io non l’ho individuato. È molto difficile preservare il silenzio con un computer acceso. È molto difficile pensare a una foglia appesa al vento con un computer acceso.