Tre artisti in dialogo alla Galleria Melesi di Lecco
Carta e fuoco, fogli e fiamme: sarebbe possibile una riconciliazione tra questi due acerrimi nemici, apparentemente antitetici? Una risposta esauriente sembra offrirla Samuele Bonomi, che attraverso l'utilizzo della ceramica riunisce mirabilmente due diversi frantumi di destini, dialogando con uno dei padri fondatori dell'uso diversificato del collage – Jiřì Kolář – e con Giovanni Manfredini, che considera il fuoco sua essenza ontologica. Sette Vasi Sfera di Bonomi sono infatti coprotagonisti della mostra "Pas utile et tres fragile comme moi", in corso alla Galleria Melesi di Lecco dal 17 febbraio al 14 aprile 2018.
L'idea di mettere in atto un dialogo tra il ceramista di Novara e la coppia Kolář – Manfredini nasce dalla gallerista, Sabina Melesi, a seguito della partecipazione di Bonomi al concorso "Coffeebreak" del Museo della Ceramica Gianetti di Saronno. Si tratta di richiami in primis di natura formale, segnalati dalla Melesi nella motivazione del terzo premio conferito al ceramista: «Il fumo nero che dona mistero al lavoro di Bonomi lo associo a quel fumo che Giovanni Manfredini asporta dalle sue opere con i calchi corporei; l'effetto "collage" dei cocci ricomposti mi porta invece ad associarlo al lavoro di Jiřì Kolář nelle tecniche del chiasmage, della stratificazione, dei collage tattili e dei froissage».
Le sfere in ceramica di Bonomi, analogamente, «incontrano il fuoco più di una volta e si fortificano, pronte a indossare il vestito pensato per l'occasione», come spiega l'autore stesso. Giunge poi il momento della rottura dei vasi, la disintegrazione di quanto appena plasmato, con la finalità di ricomporre i cocci in nuove soluzioni formali. La stessa azione, in apparenza devastatrice, che Kolář metteva in atto con le forbici, dissezionando la carta per poi procedere alla medesima ricomposizione, accurata e meditata.
L'operazione drastica di distruzione è dunque finalizzata a far risorgere l'opera in misura differente: privati della loro funzione i Vasi Sfera sprigionano una nuova energia attraverso le nuove soluzioni formali pensate per i singoli cocci, scalfiti da segni incisi, impreziositi dalla foglia metallica ossidata e graffita, celati sotto allo schermo del colore bianco, velati con fogli di cartone che presentano lettere stampigliate, come quelle che compaiono sul frammento ricomposto che dà il titolo alla mostra. "Pas utile es tres fragile comme moi": i vasi assumono così una forte connotazione autobiografica, una dimensione esistenziale, rivelando l'intima essenza del loro artefice.
Sorge qui un possibile confronto con le opere di Giovanni Manfredini. I suoi calchi corporei vengono trattati pittoricamente su velature di nerofumo: il corpo che rimuove le tracce del fumo appare come figura di luce, sottratta al deperimento della sua materia primaria, la carne. Analogamente i frammenti ricomposti di Bonomi, liberando il vaso dalla sua tradizionale funzione, vengono riassemblati nella loro nuova pelle.
Come Manfredini disciplina e organizza il caos della materia, proiettandovi a caldo le impronte del proprio corpo, così Bonomi agisce da moderno Efesto.
La ceramica appena plasmata viene frantumata – la forma sferica si espande da un centro verso l'esterno, il punto di equilibrio di tale espansione viene superato e il pezzo si rompe – consentendo a ogni singolo frammento di vivere una propria autonoma contaminazione con l'esterno.
Giunge dunque il momento della rinascita delle singole parti, rivestite attraverso il fuoco e il fumo, protette da materiali poveri come il cartone, testimone del nostro vivere quotidiano, o impreziosite dalla foglia metallica, scalfita dall'artefice che senza timori le arricchisce di significato con i propri segni grafici.
Accade infine il processo inverso, il "ritorno all'ordine", che nel ricongiungimento dei molti verso l'unico permette di ristabilire il punto di equilibrio della sfera.
«Le crepe, cicatrici che non spariranno più, doneranno il nuovo senso all'unico, ora più prezioso», spiega Bonomi.
La memoria corre immediatamente alle indelebili cicatrici presenti sul "volto severo da idolo pagano" di Manfredini.[1] Il drammatico incidente infantile che col fuoco ha irrimediabilmente segnato l'esistenza dell'artista emilano è diventato parte essenziale del suo procedimento artistico: «Non so se il fuoco sia arrivato per caso o tramite qualche relazione inconscia con quel mio primo drammatico incontro. Semplicemente mi serviva per ottenere nei miei lavori quello che tu chiami nero e io buio, così come chiamo luce quello che tu chiami bianco. Buio e luce non si oppongono: sono la stessa cosa».[2]
Manfredini prepara la tavola con una tecnica sperimentale, utilizzando elementi naturali e artificiali, ossia un impasto di colla vinilica, acqua e perlite – polvere di conciglia – che crea un piano morbido e spesso racchiuso entro una cornice di ferro. Essiccando, l'impasto bianco di natura organica, simile al derma cutaneo, si ossida di ruggine ai bordi del ferro. La superficie viene poi annerita a nerofumo per mezzo del fuoco, che ricopre integralmente lo spazio disponibile fino a renderlo uniforme. Su tale spessore Manfredini imprime le proprie membra, eliminando il fumo nei punti in cui vengono create le impronte.
L'artigianalità del raffinato processo tecnico di selezione e combinazione tra i diversi media reagenti - fuoco in primis - accomuna le opere di Bonomi e Manfredini.
Quei frammenti dei Vasi Sfera «avvolti dalle tonalità donate dal legno scelto per loro - pino, bosso, ebano, rovere - protetti con varie tecniche di riservante per determinare i particolari effetti di chiaroscuro, che impediscono parzialmente o totalmente il passaggio del fumo».
Quei corpi che il Manfredini degli esordi intitola "Tentativi di esistenza", sorti da uno scambio sinergico tra la sua persona e la superficie annerita, che ora emana energia. Confronti puri con la materia, frammenti corporei che nelle opere più recenti diventano quasi evanescenti, vere e proprie epifanie.
Angelo Maria Ripellino paragona il lavoro di Kolář a un'azione teatrale spartita in due tempi antitetici. «Prima veniva la distruzione: egli amputava, sgretolava atlanti, partiture, vocabolari, vignette di rotocalchi, dipinti di grido. Seguiva poi il pacato processo di rincollatura, la manipolazione, che conferiva agli scritti e ai quadri smembrati un nuovo valore semantico». [3]
Il mondo di Gutenberg, ridotto a brandelli e poi ricomposto nelle studiate compagini geometriche dei chiasmage, assume la forma di un nuovo linguaggio plastico e visuale, proprio come i frammenti dei Vasi Sfera di Bonomi, ricomposti, acquistano preziosità nella loro autonomia, ma ridiventano parte qualificante dell'insieme.
Bonomi, Kolar, Manfredini: tre moderni alchimisti orchestrano magistralmente il loro universo di ceramica, carta e carne ottenendo esiti formali vicini e straordinari.
17 febbraio – 14 aprile 2018
Galleria Melesi, Via Mascari 54, 23900 Lecco
[1] M. Pizziolo in Roberto Coda Zabetta, Giovanni Manfredini. Viaggio al termine della notte (Busto Arsizio, Fondazione Bandera, 26 novembre 2005 – 12 febbraio 2006), Milano, Skira, 2006.
[2] Patrizia Valduga, Manfredini, pittore del corpo. Tutto cominciò con il fuoco, in "La Repubblica", 27 febbraio 2003.
[3] Angelo Maria Ripellino, Jiri Kolar:collages, Torino, Einaudi, 1976