Una nuova biografia dello scienziato firmata da Gino Segrè e e Bettina Hoerlin
Ogni tanto è interessante leggere una bella biografia, e la biografia di Enrico Fermi pubblicata il mese scorso da Raffaello Cortina Editore è proprio una bella biografia.
Sono tanti i motivi che dovrebbero spingerci ad apprezzare tale opera. Innanzi tutto un po’ di orgoglio nazionale: Enrico Fermi è stato di gran lunga lo scienziato italiano più noto nel mondo negli ultimi trecentocinquant’anni, cioè da quando è morto Galileo. In secondo luogo perché una biografia moderna di Fermi mancava. Sì, certo, c’erano le opere di Emilio Segrè (studente, collaboratore, curatore delle opere e infine primo biografo di Fermi), ma sono state scritte decenni fa e alcune di queste sono disponibili solo in biblioteca. Non basta. C’è un terzo motivo che ci dovrebbe far apprezzare questo libro, ed è il fatto che gli autori sono riusciti a trasferire bene sulle pagine quella figura complessa e controversa che fu Enrico Fermi.
Enrico Fermi nacque a Roma nel 1901. Genio precoce riconosciuto solo da un amico di famiglia, si iscrisse alla Normale di Pisa poco più che ragazzo. Nel giro di pochi mesi cominciò a tenere lezioni ai professori sulla teoria della relatività e sulla rivoluzione quantistica, di cui all’epoca era uno dei pochi conoscitori in Italia. Successivamente avviò in via Panisperna a Roma un centro di ricerche teoriche e sperimentali che ottenne risultati di grandissimo rilievo.
Fermi produsse casualmente la prima fissione atomica in laboratorio, anche se diede un’interpretazione sbagliata del fenomeno.
Tra le altre scoperte, Fermi produsse casualmente la prima fissione atomica in laboratorio, anche se diede un’interpretazione sbagliata del fenomeno. In pratica sostenne che bombardando l’uranio con neutroni lenti fosse riuscito a generare un nuovo elemento: l’Ausonio. La teoria vigente all’epoca riteneva infatti che l’atomo non fosse divisibile (e d’altronde la parola “atomo” vuol dire “non divisibile”) e ciò lo influenzò in modo decisivo. Proprio tale interpretazione errata gli valse il premio Nobel per la Fisica del 1938. L’interpretazione corretta, e cioè che bombardando l’uranio con neutroni lenti si produce la fissione dell’atomo, cioè la sua scissione, venne data da Lise Meitner e da suo nipote Otto Frisch, che non vennero mai premiati con il Nobel.
Fermi era iscritto al Partito Nazionale Fascista, ma immediatamente dopo aver ritirato il premio Nobel riparò negli Stati Uniti per consentire alla moglie, che era ebrea, di sfuggire alle leggi razziali.
Negli Stati Uniti Fermi costruì il primo prototipo di reattore nucleare sotto la gradinata di un campo da football dell’università di Chicago. Subito dopo fu coinvolto nell’ideazione e nella costruzione della prima bomba atomica e partecipò alle riunioni che portarono alla decisione americana di sganciare la bomba atomica su Hiroshima e su Nagasaki. In tali riunioni si oppose alla proposta avanzata da altri scienziati di produrre un’esplosione dimostrativa davanti a emissari del governo giapponese, pur avendo egli partecipato – ed erano pochissimi ad averlo fatto – a una spedizione a bordo di un carro armato schermato sul luogo dove era stato tenuto il primo e unico test atomico che era stato fatto, ed essendo quindi a perfetta conoscenza dell’impatto che avrebbe avuto una bomba atomica su una città.
Il ruolo di Fermi nel progetto Manhattan fu centrale. Il governo degli Stati Uniti gli diede in fretta e furia la cittadinanza americana, gli diede un nome di copertura, gli affibbiò una scorta e gli intimò di non prendere mai un aereo per spostarsi. La sua importanza era dovuta a un fatto raro: Fermi era uno scienziato completo, versato nella sperimentazione quanto nella speculazione teorica. Se in lui non si fossero trovate queste due capacità come in nessun altro, la bomba atomica avrebbe visto la luce molti anni dopo il 1945. Tanto per dare una pietra di paragone, dopo la guerra si scoprì che il progetto di bomba atomica nazista era indietro rispetto a quello americano di quattro o cinque anni almeno, anche se il progetto era guidato dal grande scienziato Heisemberg, uno dei padri della teoria quantistica, certamente un grande teorico, che però non aveva mai fatto un esperimento in vita sua.
Nel dopoguerra Fermi si batté contro lo sviluppo della bomba H, ma non ebbe mai parole di pentimento per quanto aveva fatto precedentemente, anche se il suo ruolo di primo piano nel progetto Manhattan gli costò l’incrinarsi del rapporto umano con alcuni amici e parenti.
Tutti coloro che parteciparono a quell’impresa andarono però incontro al medesimo destino. Nell’epistolario del celebre fisico Richard Feynman sono riportate lettere di comuni cittadini che a decenni di distanza da Hiroshima ancora gli rimproverano il fatto.
Nel dopoguerra Fermi si lamentò del rischio che il Partito Comunista prendesse il potere in Italia, ma non esitò durante il maccartismo a difendere pubblicamente Robert Oppenheimer – il responsabile del progetto Manhattan – accusato, non senza qualche ragione, di avere avuto in passato simpatie comuniste.
Ben sette suoi allievi (uno in Italia e sei in America) hanno conseguito il premio Nobel.
Enrico Fermi fu anche un professore universitario di grande levatura. Pur essendo morto all’età di soli cinquantatrè anni per un tumore allo stomaco – forse dovuto alla trentennale esposizione a materiali radioattivi – è titolare di un record che non è stato ancora battuto: ben sette suoi allievi (uno in Italia e sei in America) hanno conseguito il premio Nobel. Se ebbe tanta attenzione per gli studenti, non si può dire lo stesso del rapporto con i figli: fu un padre lontano.
Il libro si intitola: Il Papa della fisica: Enrico Fermi e la nascita dell’era atomica. Non ci sono errori di battitura. Non volevo scrivere il “papà”, ma volevo scrivere proprio il Papa. Era il soprannome – che faceva ovviamente riferimento alla sua infallibilità – che gli era stato affibbiato ai tempi di via Panisperna, dove tutti avevano un soprannome legato a tematiche religiose (Rasetti era il “Cardinale Vicario”; Majorana era il “Grande Inquisitore”; Amaldi era “l’Abate” e via dicendo) .
Il libro è stato scritto da due professori universitari americani che da giovanissimi conobbero Enrico Fermi. Uno è di origine italiana: Gino Segrè, professore di fisica nato nel 1938 e nipote del primo biografo di Fermi, Emilio Segrè; l’altra è di origine tedesca: Bettina Hoerlin, figlia di un collaboratore di Fermi. Pur potendo attingere anche a qualche ricordo di famiglia, nel libro non ci sono però scoop, ma solo una ricostruzione seria e documentata degli eventi.
Il fatto che gli autori padroneggino italiano, inglese e tedesco ha fatto sì che abbiano potuto attingere agli scritti e alle testimonianze direttamente in lingua originale. Cosa che hanno fatto consultato gli archivi direttamente a Pisa, Roma, Chicago e Los Alamos.
Il fatto poi che Gino Segrè sia un fisico con una grande produzione scientifica alle spalle ha fatto sì che i dettagli tecnici presenti nel libro siano certamente corretti.
Entrambi gli autori hanno alle spalle altre prove letterarie dedicate al grande pubblico. Ciò, unito alla tipica scorrevole prosa americana nel campo della saggistica, rende il libro una gradevole lettura.
Da decenni si discute se sia stato giusto o meno l’utilizzo della bomba atomica su Hiroshima. Le ragioni strategiche a favore sono state illustrate più volte, così come quelle etiche contrarie.
Questo libro aiuta a mettere a fuoco un secondo problema, che rimane senza risposta in tutta la sua tragicità: Fermi fu un novello Faust o un novello Prometeo?
Una bella storia vuole che Majorana, il geniale allievo di Fermi, intuendo a cosa avrebbe portato lo studio dell’atomo, abbia preferito sparire per sempre piuttosto che prendervi parte. Non illudiamoci: è solo una storia.
Gino Segrè, Bettina Hoerlin, Il Papa della fisica: Enrico Fermi e la nascita dell’era atomica, Raffaello Cortina Editore, 415 pp., 32,00 euro.