Il libro di Barbara Alemanni per avvicinarsi alla disciplina che si richiama alla psicologia comportamentale, concentrata sui comportamenti osservabili degli individui, e agli studi del recente premio Nobel per l’economia Richard Thaler.
Nelle scorse settimane sono stati resi noti i risultati di un’indagine volta a valutare le competenze economiche e finanziarie dei cittadini dell’Unione Europea.
I risultati sono in linea con altre ricerche analoghe portate a termine negli ultimi anni: i cittadini italiani sono risultati tra i meno preparati in Europa.
Tanto per darvi un’idea del grado di sfacelo cui siamo di fronte, basti dire che ¾ degli italiani sottoposti alla ricerca non ha saputo rispondere a semplici domande come questa: supponi di avere 100 dollari in un conto corrente con tasso di interesse 2% all’anno. Dopo 5 anni avrai più o meno di 102 dollari?
Siamo all’ABC. Se non si sanno queste cose, è davvero meglio non entrare in banca e sperare di non avere mai bisogno di un prestito.
Intendiamoci: è vero che il sistema bancario italiano negli ultimi anni ha avuto comportamenti delinquenziali. È vero anche che i sistemi deputati a controllare le banche, i prodotti che venivano offerti ai risparmiatori e il comportamento delle aziende quotate in Borsa non hanno svolto il proprio compito con la tempestività, l’imparzialità e il rigore necessari, ma che anzi spesso si sono resi corresponsabili dei sopracitati comportamenti criminosi. È vero anche che spesso la classe politica – e dirlo non è populismo, perché i fatti stanno lì a dimostrarlo – ha impedito o condizionato l’operato delle banche e dei sistemi di controllo. Tutto ciò premesso, è tuttavia innegabile che, soprattutto in un paese come l’Italia che vanta uno tra i tassi di risparmio privato più alti del mondo, anche i singoli cittadini/risparmiatori dovrebbero possedere una maggiore preparazione finanziaria rispetto a quella attualmente in loro possesso. A maggior ragione per via del fatto che negli ultimi anni i bot e i buoni fruttiferi postali, la tradizionale valvola di sfogo del risparmio italiano, hanno via via assottigliato i propri rendimenti, e che tale circostanza ha spinto per la prima volta molti risparmiatori a battere nuove strade per andare a cercare i rendimenti perduti.
Accenniamo sinteticamente alle principali cause storiche della diffusione dell’ignoranza finanziaria in Italia.
Innanzi tutto la cultura neoidealistica di impianto fortemente umanistico, che ha permeato gran parte del dibattito intellettuale tra fine ottocento alla metà del novecento, disprezzava la cultura scientifica in generale, le scienze matematico-quantitative in particolare e, tra esse, anche l’economia. Su tale base si sono impiantate nel corso del secolo scorso la dottrina sociale della chiesa e un marxismo di stampo gramsciano, entrambi fortemente scettici (anche se per motivi diversi) nei confronti del mercato e dell’iniziativa privata. Curiosamente sia la dottrina sociale della chiesa sia il marxismo gramsciano alimentavano una propensione etica al risparmio, ma non si curavano del suo corretto investimento.
Se queste sono le cause, concentriamoci però sulle possibili soluzioni. Bankitalia già da tempo ha messo in campo una serie di iniziative pubbliche e vari progetti di formazione. Il Corriere della Sera ha proposto ai propri lettori un libro.
Io - un po’ più modestamente - metto il mio mattoncino suggerendovi la lettura di un saggio. Ne ho scelto uno breve e semplice che introduce i concetti più importanti di quella che si chiama “finanza comportamentale”, una disciplina – ovvio il suo richiamo alla psicologia comportamentale, cioè quella branca della psicologia che rifiuta l’introspezione per concentrarsi sui comportamenti osservabili degli individui – che ha avuto come ispiratori due psicologi israeliani: David Kahneman e Amos Tversky, e che oggi ha come grande interprete il recente premio Nobel per l’economia Richard Thaler.
Spero quindi che questo saggio riesca a illustrare un aspetto che fino a vent’anni fa non veniva nemmeno citato nel dibattito economico e finanziario, ma che negli ultimi anni è stato sempre più messo al centro dell’attenzione, e cioè gli errori psicologici che sistematicamente compiono gli investitori.
Avete presente le illusioni ottiche? Ecco, sappiate che esistono anche delle illusioni cognitive. E l’investimento finanziario si è mostrato un campo formidabile in cui sono state osservate.
Lo so a cosa state pensando. Un conto è un’illusione ottica – vedere tremolare l’asfalto lontano quando fa caldo – e un altro conto è parlare di illusione quando si fa un ragionamento che riguardi, per esempio, se sia più rischioso comprare una quota di un fondo d’investimento o un’azione. Forse, direte voi, qualcuno potrà sbagliarsi per ignoranza. Al massimo, aggiungerete voi, ci saranno degli imbrogli. Ma non è possibile che l’errore nasca da un’illusione.
Vi sbagliate. Non è così. Ricerche psicologiche cominciate negli anni 70 del secolo scorso hanno dimostrato che l’uomo economico e razionale è una mera illusione. Nella realtà nessuno lo è, e tanti saluti alla scuola di Chicago e ai suoi tardi epigoni, anche italiani.
L’uomo comune – così come l’uomo di alta cultura, perfino lo studioso di economia o di statistica – nella vita di tutti i giorni, e quindi anche quando investe, incorre in errori sistematici. Il discorso sarebbe complesso. Ve ne accenno una parte per farvi capire di cosa stiamo parlando.
Quando prendiamo delle decisioni compiamo quelle che gli psicologi chiamano “semplificazioni euristiche”. Detto in parole povere, quando prendiamo delle decisioni non stiamo a fare dei calcoli complicati ogni volta, ma ragioniamo in modo intuitivo (euristico).
Se mi fanno un cross e io tento il colpo di testa, non è che quando parte il cross mi metto a fare equazioni per capire dove andrà a finire la palla. Intuitivamente valuto con quanta forza è stato calciato il pallone, da dove è stato colpito e come, e in qualche modo arrivo a capire dove va a finire il cross.
Le semplificazioni euristiche ci permettono di vivere senza fermarci in continuazione a cogitare. Di solito funzionano bene, ma così come non sempre si riesce a capire dove va a finire il cross e muoversi di conseguenza, allo stesso modo va riconosciuto che esse non sono molto precise. In alcuni casi esse tendono addirittura a tradirci sistematicamente.
Le principali semplificazioni euristiche traditrici, per le quali dobbiamo fare molta attenzione quando facciamo un investimento o quando ce lo propongono, sono le semplificazioni dovute alla rappresentatività, alla disponibilità/salienza, all’ancoraggio, alla teoria dei prospetti. In realtà ce ne sarebbero altre, ma vediamo per sommi capi almeno queste.
La “Rappresentatività” è la tendenza che abbiamo a ricorrere a stereotipi, cioè a costruirci narrazioni mentali, quando dobbiamo prendere decisioni. In altri termini, la rappresentatività si verifica quando attribuiamo una probabilità a un evento in quanto quell’evento assomiglia a una certa classe. In questi casi i nostri ragionamenti sono sbagliati poiché partono da premesse sbagliate, visto che quello che è verosimile non è necessariamente vero. È una forma di insensibilità ai tassi base delle statistiche in favore di narrazioni verosimili. A causa della nostra tendenza alla rappresentatività dunque elaboriamo meno dati di quanto invece sarebbe opportuno fare.
La “Disponibilità” è un errore che commettiamo tutti i giorni in tutti i campi. Consideriamo più probabile non ciò che è veramente più probabile, ma ciò che balza all’occhio o che abbiamo sotto mano in quel momento. Negli Stati Uniti venne per esempio fatta un’indagine che rilevò che i cittadini americani credevano che ci fossero più morti dovuti a sparatorie che per infarto. La televisione d’altronde trasmetteva tutti i giorni notizie di morti in sparatorie, ma non trasmetteva mai notizie di morti per infarto. A causa della disponibilità, spesso quindi subiamo il fascino del sovraccarico di informazioni senza che riusciamo a selezionare quelle pertinenti.
L’“Ancoraggio” è un errore comune – nessuno ne è immune – quanto pericoloso. In un famoso esperimento psicologico degli anni 70 e che ancora oggi viene riproposto (e che stupisce sempre) agli intervistati veniva prima chiesto di far girare la ruota della fortuna e poi veniva chiesto di dire quanti erano, secondo loro, le Nazioni africane che facevano parte delle Nazioni Unite. I soggetti che facendo girare la ruota della fortuna avevano ottenuto un numero alto tendevano mediamente a indicare un numero più alto di Nazioni africane aderenti alle Nazioni Unite rispetto al numero indicato dai soggetti che dalla ruota della fortuna avevano ottenuto un numero più basso. Detto in parole povere: anche l’ultimo numero sentito casualmente è in grado di influenzare il nostro pensiero. In finanza gli effetti dell’ancoraggio sono stati osservati più volte e in diversi settori. Sostanzialmente prendiamo dei punti di riferimento casuali e partiamo da quelli.
La “Teoria dei Prospetti” (meglio nota come Prospect Theory) è una teoria che ha portato al premio Nobel dell’economia chi l’ha formulata e che – semplifico molto – ha messo in luce un comportamento strano, irrazionale e particolarmente pericoloso degli investitori in certe situazioni. È stato infatti scoperto che, quando le perdite diventano certe, invece di scegliere le opzioni che portano a meno perdite possibili tendiamo al contrario a scegliere opzioni di rischio maggiore e di maggiore perdita.
Ho dovuto fare molte semplificazioni, e me ne scuso. Il saggio – scritto da Barbara Alemanni, una professoressa universitaria esperta in questo tipo di problematiche – in realtà tratta anche di molti altri (e spesso sottili) errori che commettono gli investitori e dà tutta una serie di indicazioni su come tentare di superarli anche se essi – è un aspetto da sottolineare – sono molto difficili da estirpare perfino per chi li conosce.
Barbara Alemanni, Finanza comportamentale: scoprire gli errori che ci fanno perdere denaro, Egea, 2015, 154 p.