Si intitola “Una scuola per il domani. Dall’ISA di Monza al Liceo Artistico Nanni Valentini. 1967 – 2017”. Ce lo presenta uno dei curatori, Rodolfo Profumo. E dal 6 dicembre la mostra alla Triennale di Milano
A Monza, esattamente cinquant’anni fa, una congiunzione di circostanze favorevoli e irripetibili determinò la nascita dell’ISA, l’Istituto Statale d’Arte. Una scuola che avrebbe avuto per molti anni un carattere del tutto eccezionale, innanzi tutto perché vedeva come insegnanti architetti, designer, grafici, tra i più attivi e innovativi che si trovassero a Milano, ma soprattutto perché si strutturò, caso eccezionale in Italia, in modo del tutto autonomo, secondo un vero e proprio progetto didattico chiaro, funzionale ed efficace.
La congiunzione di circostanze consisteva in un governo del centro sinistra storico, veramente riformatore, a cui corrispondeva, in quel preciso momento, il 1967, la giunta monzese del sindaco Giacomo Nava, che aveva tra gli assessori personalità come l’assessore Giulio Redaelli, docente di Urbanistica al Politecnico. Fu quella giunta a richiedere l’apertura della scuola, per ridar vita alla Villa Reale abbandonata riportandovi l’Istruzione artistica. La richiesta trovò l’accoglimento del ministero e positivo riscontro tanto nella Società Umanitaria di Milano, da cui provennero molti docenti, come nella Triennale, il cui Segretario generale, Tommaso Ferraris ebbe l’incarico di “Presidente del consiglio d’amministrazione dell’ISA”, assumendo così la responsabilità degli indirizzi generali e amministrativi. Come “Direttore”, responsabili perciò della diattica e del funzionamento, furono nominati prima, brevemente, Norberto Marchi, che rimaneva contemporaneamente direttore dell’Istituto d’Arte di Cantù (era figura di grandi capacità e prestigio, si pensi che Cantù gli ha dedicato un monumento), poi un famoso architetto milanese, Mario Tevarotto.
Una “scuola del progetto”, di insegnanti che conoscevano perfettamente la propria professione, avendola praticata ai massimi livelli
Quel che fu decisivo, però, fu l’incontro, in quella scuola, che fu intesa da subito come una “scuola del progetto”, di insegnanti che conoscevano perfettamente la propria professione, avendola praticata ai massimi livelli, e quindi sapevano che era necessario insegnare, prima di tutto, un metodo di lavoro, ben fondato sulla consapevolezza culturale del ruolo e del significato della propria attività. Il centro della didattica era quindi la progettazione, articolata in due settori, l’ambiente, l’architettura, il design (cioè il mondo razionale delle forme tridimensionali) da una parte, dall’altra la comunicazione visiva (grafica, fotografia, cinematografia), con la sua dimensione espressiva e simbolica. Alcuni fondamenti erano espliciti e ben sottolineati: per affrontare il vastissimo campo d’azione delle attività progettuali, era necessario coinvolgere, in una seria riflessione sulla società, tutte le discipline, fossero teoriche o pratiche (la matematica e la letteratura, la storia e le scienze, l’educazione fisica e la religione), alle quali si richiedeva di affrontare i temi dell’attualità più stringente; rimaneva però centrale la specificità dei linguaggi visivi, che nell’aggregarsi di aspetti percettivi, ergonomici, funzioni simboliche, danno vita a quella complessa cultura artistica, da secoli radicata e sedimentata nella tradizione italiana. Riconoscere la specificità dei linguaggi visivi non significava, però, la ricerca idealizzante della “bellezza artistica”, ma comprendere e sviluppare in modo funzionale, utilmente creativo, quei linguaggi: all’ISA si insegnava infatti il fare concreto che, secondo la consuetudine degli Istituti d’Arte, si esplicava nei laboratori, muniti di macchinari e attrezzature, in cui ancor più necessaria era (ed è ancora) la presenza di insegnanti con particolari competenze, capaci di guidare gli studenti nell’effettivo processo di realizzazione di quanto progettato.
La verifica di laboratorio consente, infatti, di comprendere appieno la relazione tra il progetto e il prodotto, impone una riflessione su tutto il percorso compiuto in teoria, permettendo di valutare i risultati e di raccogliere una grande quantità di informazioni e conoscenze tangibili; nel processo di apprendimento costituisce non il momento conclusivo, ma il fulcro e, nello stesso tempo l’obbiettivo capace di motivare qualsiasi studente, che si tratti di dar forma a uno stampato (passando per i riti della tipografia) o di costruire un modello, (ancor meglio un prototipo) in legno o in metallo; da quella stessa attività di laboratorio nasceva (e nasce), per di più, anche una diversa relazione educativa tra insegnanti e allievi che, tende a configurarsi come collaborazione, con un risultato di coinvolgimento pedagogico (che può estendersi anche alle altre discipline) molto più efficace della rigida subordinazione imposta dalle lezioni ex cathedra. Proprio la produzione incessante, fatta di modelli, opuscoli, solidi geometrici, manifesti, prototipi, immagini di ogni tipo, realizzazioni rigorosamente messe punto nei laboratori, caratterizza ancor oggi il Liceo Artistico Nanni Valentini che cerca di proseguire il lavoro dell’ISA.
Per far vivere questa struttura e coordinare queste attività era ovviamente necessario un progetto didattico: l’ISA trovò al suo interno chi seppe formularlo, tanto che, nel 1977, grazie a un nuovo preside di grandissima levatura, Gianfranco Moneta - da ricordare anche come uno dei più importanti architetti romani del secondo dopoguerra - riuscì a trovare la strada per ottenere l’approvazione ministeriale del suo modello didattico “maxisperimentale”. Quel progetto faceva diventare norma, per l’ISA di Monza, molte caratteristiche cui si è accennato, allora rivoluzionarie e ancora oggi innovative: la convergenza interdisciplinare, l’accento sullo studio della contemporaneità, la centralità dei laboratori e, non ultima, l’individuazione di un’area caratterizzante (in sintesi: Teoria ed applicazioni di Geometria descrittiva e proiettiva ed Educazione visiva) che fornisse un fondamento speculativo e metodologico alle attività progettuali e artistiche.
Liceo artistico N. Valemtini, 28 gennaio 2017. Giorno della memoria
La validità di quell’esperienza è dimostrata dagli innumerevoli successi nei più diversi concorsi, dalla continua partecipazione con contributi originali alle attività di istituzioni e aziende, ma anche dal fortissimo senso di appartenenza che lega alla scuola gli ex allievi, molti dei quali hanno raggiunto, negli anni, successi professionali assolutamente significativi. Ma in questo luogo di confronto si è anche prodotta cultura: gli insegnanti di Educazione Visiva, Storia del Pensiero Scientifico Sociologia, Progettazione hanno dato respiro a una riflessione approfondita sul significato delle forme e della loro produzione, testimoniata in convegni e pubblicazioni; molti studenti sono diventati insegnanti, a diversi livelli, anche universitari; in forma organica si è poi costituito un gruppo, una sorta di scuola nella scuola, che ha sviluppato studi avanzati sulla geometria, messa in relazione con la matematica e le scienze, sia in funzione della progettazione, sia in funzione dell’interpretazione razionale dei fenomeni; letterati e storici dell’arte hanno affrontato temi e problemi collegati alla storia del design, dell’arte, della progettazione, collaborando con i colleghi e pubblicando con intensità e qualità che li fanno riconoscere tra i più rappresentativi ed autorevoli del settore.
1992-94 ristrutturazione dei laboratori
Descritta in questo modo l’ISA sembra un mondo fantastico, ma era un mondo reale, con i contrasti e gli scontri, con enormi difficoltà determinate innanzi tutto dalle condizioni materiali, edilizie, che hanno sempre reso abbastanza difficile insegnare, in ambienti spesso inadeguati. Le amministrazioni monzesi dopo il felice inizio, con lo storico centro sinistra del 1967, hanno sempre faticato a comprendere quale straordinaria energia, quali enormi possibilità racchiudessero quelle aule e quel cortile, l’ala sud della Villa Reale; per loro non era significativo che in quella scuola si trovassero a insegnare professionisti tra i più noti e importanti in Italia; per decenni si sono mostrate lente, se non sorde o disinteressate, ad accogliere le richieste incessanti perché gli edifici fossero adeguati e potessero garantire alla scuola un normale funzionamento. E non si dimentichi come sia stata l’ISA stessa, sin dal 1977, a richiedere il restauro e il pieno utilizzo della Villa Reale, formulando, con i suoi insegnanti - professionisti, proposte valide e sostenibili; come solo la presenza dell’Istituto d’Arte abbia consentito, grazie ai fondi destinati dallo Stato agli edifici scolastici, di mantenere in piedi quei fabbricati, permettendo, per di più, sempre su progetto degli insegnanti della scuola, di ristrutturare in modo corretto e funzionale gli edifici delle scuderie, oggi sede dei laboratori. Credo perciò sia inevitabile giudicare con una certa durezza vicende come le mancate manutenzioni che hanno provocato, nel 2011, il degrado e l’inagibilità dell’ex scuola Borsa, il corpo di fabbrica che, se tornasse a ospitare le classi del Liceo Nanni Valentini, risolverebbe anche i problemi di altre scuole monzesi. Per fortuna oggi le premesse e le promesse ci sono tutte: dopo le approvazioni aspettiamo solo l’inizio dei lavori.
Fin qui ho parlato della “scuola”, dell’ISA, ma tutte le iniziative, tutti progetti, tutte le realizzazioni, tutte le sperimentazioni, erano studiati e proposti da persone particolarmente capaci di riflettere e agire. All’ISA, e mi riferisco ai primi anni, c’era chi, disponendo di competenze specifiche o di particolari capacità di approfondimento metodologico, si dedicava all’organizzazione dei curriculum e all’impostazione pedagogica (Giorgio Franchi, Roberto Orefice, N. Silvestrini), ma c’erano anche i migliori grafici italiani, che insegnavano a sviluppare una poetica (Michele Provinciali, A G Fronzoni), c’era chi affrontava diversi aspetti della metodologia della progettazione, con riguardo alla geometria, secondo prospettive complesse e analitiche, con atteggiamento sperimentale o, più semplicemente con elevata professionalità e competenza.
2016 scenografia per il Giulio Cesare N.Console
C’erano gli artisti, gli scultori Carlo Ramous e Pietro Colletta, c’era Nanni Valentini, che aveva straordinarie capacità di rielaborare i temi della cultura trasformandoli in immagini e oggetti, e di affascinare i colleghi, fossero artisti, storici, filosofi o letterati (è il caso di ricordare che insegna all’Isa nei primissimo anni della scuola Giuseppe Pontiggia e che iniziarono qui ad interessarsi di design Anty Pansera e Maurizio Vitta), ma c’era anche chi della stampa conosceva ogni segreto, ed era in grado di mettere in piedi un laboratorio di tipografia e, ancora, veri e propri geni della costruzione dei modelli, un’attività molto complessa e interessante, se eseguita a regola d’arte, sperimentando sulla forma e i materiali. Per chi conosce la situazione della scuola italiana ancor più sorprendente sarà leggere che affermatissimi professionisti spendessero le loro ore preziose per insegnare in una scuola media superiore: il loro impegno corrispondeva, in effetti, a una forte ispirazione ideale e, probabilmente, anche alla percezione della vivacità e della ricchezza di idee e fermenti che gli studenti, e gli studenti della Brianza in particolare (ma questa è una mia teoria) riuscivano e ancora riescono a proporre. D’altra parte il concentrarsi di figure piene d’inventiva e di capacità professionale costituiva un centro d’attrazione per molti colleghi e la scuola continuò ad arricchirsi di figure di rilievo, come Ugo la Pietra, Massimo Dradi, Attilio Marcolli, sicché l’approvazione del modello “maxisperimentale”, nel 1977, fu il giusto riconoscimento del valore di quell’esperienza. Anche gli insegnanti “si formavano” traendo vantaggio dalla vivacità dell’ambiente, e molti sono passati dall’ISA alle università o alle accademie.
Un modello in legno della Valentine di Ettore Sottsass
Sarebbe un lungo elenco, con il rischio di dimenticare qualcuno, e invece questa è una sintesi: tutta la storia con i nomi, quelli notissimi, e quelli di chi forse conoscete, li troverete nel libro, che sarà pronto un po’ prima del 6 dicembre, all’apertura della mostra, in Triennale, a Milano. A Milano, perché i legami con la cultura del progetto milanese sono molto forti: si allestirà una prima mostra, nel cosiddetto “impluvium” del Palazzo dell’Arte, sede della Triennale, spazio prestigioso ma raccolto; ma abbiamo fiducia nell’appoggio delle istituzioni monzesi, che ci hanno assicurato una sede altrettanto prestigiosa e molto più ampia, in cui render merito, non solo ai dodici fondatori, ma anche ad altri, e magari anche ai più brillanti tra i bravissimi allievi che si sono formati all’ISA.
Intanto vedrete un libro di duecentoquaranta pagine, con più di trecento illustrazioni, una parte delle quali a colori, in cui intervengono ventitré diversi autori, con tredici saggi sulla storia, il metodo e i principi organizzativi della scuola; undici “memorie”, destinate a restituire clima e suggestioni da punti di vista soggettivi; infine dodici schede di catalogo. Il libro ha implicato un lavoro impegnativo, svolto da un piccolo gruppo di persone, a titolo gratuito, “naturalmente”. Speriamo, anzi, di raccogliere i finanziamenti necessari a coprire le spese attraverso il crowfunding, il libro sarà il premio per chi sostiene l’iniziativa. Straordinario è stato l’apporto e l’appoggio dei genitori dei nostri allievi, impegnati a sostenerci e, tra loro, un ruolo decisivo ha avuto un ex allieva, Giorgia dalla Pietà, che non solo ha curato la grafica, con Lino Gerosa e Flavio Pressato, ma ha anche assicurato una stretta relazione con l’editore. Il lavoro, faticoso, e per molti aspetti difficoltoso, ha avuto però due aspetti estremamente positivi: innanzi tutto la possibilità di trovare, ritrovare e incontrare molti dei magnifici protagonisti del passato della scuola; poi la certezza di contribuire in modo decisivo a migliorare il livello stesso della didattica d’oggi, riproponendo con forza le questioni dell’interdisciplinarità e della centralità delle discipline caratterizzanti e di indirizzo.
Post scriptum.
Ho accennato a un lavoro molto impegnativo: la mia parte, piuttosto consistente, in particolare per quanto riguarda la costruzione del libro, mi piacerebbe dedicarla a un brillante e carissimo collega che ci ha lasciati, già apprezzato collaboratore di Vorrei, Michelangelo Casiraghi.