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Ospite di Novaluna, Ferruccio De Bortoli intervistato da Monica Guzzi a proposito del suo ultimo libro “Poteri forti (o quasi)”. Informazione, fake news, il mestiere di giornalista

Gli utenti devono essere, e devono essere messi nelle condizioni di essere, consapevoli. Meglio diffidare di chi ha la verità, perché è il dubbio ciò che aiuta tutti noi ad orientarci tra le notizie, formandoci una opinione nostra e non “bevendo” una bugia fatta girare da altri, magari anche verosimile, visto che la verosimiglianza è uno dei più pericolosi rischi oggi, nell’epoca dei social.

Ospite di Novaluna nel ciclo RIPENSIAMOCI Ferruccio De Bortoli ha dialogato con la giornalista Monica Guzzi su “splendori e cadute dell'informazione”. Da persona che legge e ascolta notizie, e allo stesso tempo che cerca e che produce notizie – da giornalista, anche se oggi lo fanno tutti, non solo chi ha il tesserino – ho trovato l’incontro utile e sotto certi punti di vista sorprendente. Mi ha lasciato in tasca, e in mente, dei semi da coltivare nel quotidiano e che sento che possono cambiare il nostro rapporto con le notizie, con il giornalismo, con i social e con la realtà.

Eccone 5, 5 semi che, se condivisi, possono meglio attecchire nel territorio.

 

Competizione tra verità o la verità della competizione

Citando le parole del Cardinale Carlo Maria Martini, De Bortoli inizia subito col sostenere che, la verità, se una persona come lui, affermava di non averla tra le mani, né in mente, “figuriamoci gli altri”. Benché ci siano persone, e anche fior di politici, che in 140 caratteri sono convinti di poterne dettare, di verità, giorno per giorno, è necessario oggi diffidare di chi si sente proprietario della verità. È anzi il dubbio quello che deve fare da bussola per tutti, per la cittadinanza. “È essenziale coltivare il dubbio per imparare a mettere assieme pezzi di verità e farsi una opinione propria, indipendente, senza essere prigioniero della verità che altri mi vogliono spacciare”. Non è finita, perché se tanti insistono col dire che oggi informarsi è facile, De Bortoli ritiene, e ci tiene a far capire, che ora più che mai per informarsi in modo serio si deve fare fatica e serve tempo, per confrontare fonti diverse e farci una opinione nostra, senza per forza dover accettare le bugie o le notizie verosimili che qualcuno ci vuole raccontare.

 

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Fake news ed effeto verosimiglianza

Se l’utente deve e può difendersi in qualche modo dalle fake news, anche coltivando qualche dubbio in più, se serve, è il giornalismo, il giornalismo nell’era dei social network che può cambiare l’attuale e nera situazione a riguardo. Come? Mettendo l’utente nelle condizioni non più di chi subisce le notizie ma di chi ha la libertà e le condizioni per poter pensare con la propria testa. Si sa, e ci sono fiori di libro a riguardo (ndA tra cui “Notizie che non lo erano. Perché certe storie sono troppo belle per essere vere” di Luca Sofri) la variante che oggi le rende più pericolose è il tempo. Si diffondono più velocemente, in rete, sui social, e se da un lato sono più facilmente verificabili, con fact checking a portata di click, dall’altro si è poco invogliati a farlo per via dell’effetto verosimiglianza. Una notizia sentita, anche se non vera, visto che è condivisa da molti della nostra cerchia, si è portati a pensare che “se non è proprio vera, sarà comunque verosimile”. E allora la si prende per vera, e magari la si condivide a nostra volta. Questo effetto verosimiglianza nasce per via dell’effetto bolla, quello per cui su Facebook come su Twitter, soprattutto, ci si circonda di persone che, pensandola come noi, non faranno che nutrire e rafforzare i nostri pregiudizi. Anche per contrastare l’effetto verosimiglianza, il giornalismo secondo De Bortoli, può fare molto, partendo dal imparare a “stimolare pensieri laterali, seguendo le linee che esistono sotto la superficie e dando all’utente gli strumenti per sviluppare un punto di vista suo, un suo parere. Perché il magma dei social network fa sì che si creino pensieri unici”

 

Giovani e giovani giornalisti

Più opportunità e meno certezze. Questo se lo sentono dire i giovani che aspirano a molte professioni, non vale solo per i futuri giornalisti e De Bortoli non è certo uno che mente, di fronte a questa evidenza chiarendo oltretutto che oggi “i giovani vengono pagati poco tenendo conto degli studi compiuti e di ciò che fanno”. Potrebbe sembrare una captatio benevolentiae da chi giovane non lo è di certo, se non fosse per l’esperienza personale che racconta, fatta da valutatore in un concorso RAI. “Ho incontrato candidati che parlavano perfettamente arabo e cinese, persone che in alcuni settori ne sanno di certo più di me”, ricorda, ammettendo di essersi quasi vergognato dovendo, per via del numero di posti limitato, dover mandare via validi professionisti. I giornalisti di oggi, e probabilmente anche quelli di domani, per De Bortoli “sono editori di sé stessi. Non essendo mandati dagli editori dove avvengono fatti che vogliono raccontare, ci vanno da soli e fanno cose egregie proponendosi poi sul mercato”. Più in generale va detto che, grazie alle tecnologie digitali, è più facile realizzare un prodotto di qualità senza un investimento troppo grosso e si ha la possibilità di provare e riprovare, nel mondo della rete. Il consiglio di De Bortoli, quindi, non può che essere quello di “insistere sempre, perché non c’è un fallimento definitivo”.

 

Blogger o giornalisti? Gli haters sono il problema

Blogger o meno, con Twitter e Facebook e altri Social Network, coloro che si sentono autorizzati a dire la propria su fatti di cui sono testimone, e a volte nemmeno quello, sono numerosi. Il concetto di “intermediario” che da e sa dare la notizia, è scomparso e tutti possono e gradiscono raccontare e dire la propria versione. De Bortoli come tutti noi, sa cosa passa sulla bacheca dei social ma è molto più preoccupato della crescente presenza degli “haters” tanto da farceli immaginare come “persone che in strada girano con il volto coperto a dire quel che vogliono senza ritegno né rispetto”. Viene naturale interrogarsi sull’opportunità di proteggere l’anonimato in rete. “In contesti dove non esiste la libertà, serve per difendere il diritto di opinione”, ma “in una democrazia compiuta, penso sia d’obbligo assumersi la responsabilità di quel che si dice”.

 

La tentazione del titolo

Ascoltando il racconto di De Bortoli era facile immaginarlo sgranare gli occhi senza darlo a vedere troppo, sugli schermi che, mentre era ospite di una trasmissione radio, gli proponevano i tweet degli ascoltatori, i commenti, i trending topics. È ovvio e naturale che ci si senta, come ospiti, condizionati da questi input real time che, se ai conduttori dovrebbero in teoria servire per “sentire il polso” del pubblico, a chi sta intervenendo servono per... dirla grossa, osare di più, usare frasi a slogan. E poi i talk show sono quel che sono, non c’è da stupirsene, in fondo.

Anche se le nuove tecnologie favoriscono il controllo notizie e non ci sono molte scusanti per chi non fa una reale e attenta verifica incrociata prima di dare una notizia, oggi è più importante fare scandalo e ottenere l’attenzione con titoli falsi che “distorcono la verità ma polarizzano l’attenzione e ripagano quel gesto non professionale e a volte sconsiderato che ha portato a fare un certo titolo”. La tentazione non è certo nuova, ma la rete ha resa certo più forte quella già irresistibile “tentazione di sfruttate il falso per ottenere un certo risultato”.