Il quinto album solista, le prove del tour e il racconto di una rivoluzione per la musica alternativa italiana. Gli anni Novanta nella nostra intervista a poche settimane dall'uscita di La mia generazione
Mauro Ermanno Giovanardi ha da poche settimane pubblicato per la Warner La mia generazione, il suo quinto album solista. Un tributo a quella straordinaria stagione per la musica alternativa italiana che furono gli anni Novanta. Una rivoluzione, così la chiama lui, che portò la discografia delle grandi major a puntare l’attenzione su gruppi di giovani musicisti cresciuti a new wave e garage rock. Non durò molto a lungo ma produsse alcuni dei migliori album rock degli ultimi venti, trenta anni in Italia. Per capirci, erano i tempi in cui i CSI producevano dischi come Ko de mondo e Linea Gotica, i Marlene Kuntz Catartica e Ho ucciso paranoia, gli Afterhours Hai paura del buio, gli stessi La crus di cui Giovanardi era frontman Dentro me. L’elenco potrebbe essere lunghissimo se pensiamo a lavori fantastici come quelli prodotti anche dagli Almamegretta, dai 99 posse e così via. La musica in formato digitale - inteso come streaming - non esisteva ancora (Napster sarebbe arrivato solo nel 1999) e si andava di CD e di musicassette. L’industria discografica era florida e neppure nei peggiori incubi prevedeva quello che sarebbe successo di lì a poco, con il tracollo delle vendite e l’esaurirsi della vena creativa di gran parte degli autori di quell’ondata.
Per La mia generzione Joe ha selezionato 13 canzoni di quegli anni e li ha “giovanardizzati”, li ha fatti propri grazie sì ad una voce inconfondibile (e bellissima, si può dire?), ma anche ad uno stile ormai maturo, in cui amalgama l’impeto rock and roll delle origini con la cura delle liriche e le atmosfere ora cinematografiche, ora cantautoriali.
In vista dell’imminente tour, siamo stati con lui e la sua band in sala prove per l’intervista che segue e per qualche ripresa. Per conoscere poi brano per brano l’album abbiamo pensato di raccogliere le note che lo stesso Giovanardi ha scritto, le trovate in fondo all’articolo.
Proviamo a fotografare la tua generazione. Il primo lampo nei miei ricordi è Something about Joy Division, il tributo alla band di Ian Curtis del 1990. Tu cantavi nei Carnival of fools un pezzo che è un monumento, “Love Will Tear Us Apart”.
Con Manuel (Agnelli, Ndr) al pianoforte.
La generazione a cui ti riferisci è una questione di affinità tutta interna alla musica o ti riferisci anche ad altro?
Non era assolutamente solo musicale. Tutti noi arrivavamo da un percorso alieno, alternativo. Eravamo più vicini ai centri sociali che alle major. Alle autoproduzioni che non ai network. Era qualcos’altro, era cercare di raccontarsi, di raccontare il proprio sentire con un tipo di cultura, musicale e non, che arrivava dall’Inghilterra e dall’America. Trasformandolo e trasportandolo in Italia. Nel disco racconto quella stagione e quella congiunzione astrale favorevole. Spesso una rivoluzione è frutto di più fattori. Lì c’eravamo noi che, dopo anni in cui si scimmiottava quello che arrivava dall’Inghilterra e dall’America, abbiamo capito l’importanza di farci comprendere da chi ci ascoltava in prima fila. La maturazione per arrivare a fare qualcosa di più personale. Poi c’era la discografia che ha capito che questa scena sarebbe potuta arrivare ad un pubblico più vasto. Terza cosa i ragazzi coetanei, orfani di gruppi musicali italiani che raccontassero questo sentire. L’irripetibilità di quella stagione sta proprio nella coincidenza di questi fattori. Tutti noi siamo passati da concerti con cento, duecento persone a duemila, tremila. All’ultimo concerto dei Carnival of fools, un festival in provincia di Varese, c’erano trecento persone. Otto mesi dopo in piazza San Giovanni (a Roma, Ndr) ne avevamo davanti settecentomila.
Per la mia generazione la condivisione era andare tutti insieme a un concerto. Adesso la condivisione passa attraverso un mi piace.
Pensi che le motivazioni che portano un ragazzo a scegliere di fare musica siano sempre le stesse o sono cambiate radicalmente?
Caspita sono così diverse! È così diversa la società in cui viviamo. Per la mia generazione la condivisione era andare tutti insieme a un concerto. Adesso la condivisione passa attraverso un mi piace. Parlando di musica dobbiamo considerare un pre-Napster (il primo dei servizi di distribuzione digitale online della musica, Ndr) e un dopo-Napster. Noi eravamo ancora figli dell’utopia della rivoluzione, per certi versi. Mi sembra che il nostro approccio fosse più spirituale. Perché credo che l’humus culturale in cui vivevamo ce lo permettesse, ora è fuori moda. Forse siamo stati più fortunati, c’era un altro tipo di mercato, c’erano delle major che credevano nei progetti, cercandone di diversi uno dall’altro. Non avevamo i talent. Un ragazzetto di sedici anni che guarda X Factor o Amici interiorizza che quella roba lì sia far musica, al di là di quello che può uscirne e dei talenti che possono esserci dentro. Da ragazzetto il mio riferimento era Jim Morrison. Mi ha rovinato Nessuno uscirà vivo di qui! (la biografia del leader dei Doors scritta da Jerry Hopkins e Daniel Sugerman, Ndr). L’immaginario è completamente diverso.
Quali sono tue motivazioni oggi?
Sono quelle di sempre. Ritengo di essere una persona fortunata rispetto a chi fa un altro tipo di mestiere. Ho la fortuna di poter lasciare un piccolissimo segno del mio passaggio. E voglio che sia il più aderente possibile a quello che sono. Alla fine sei quello che fai e quello che lasci. Ora soprattutto che sto facendo un percorso da solista, che comporta e permette meno mediazioni rispetto a quando ero con i La Crus, ho più responsabilità ma anche più libertà di azione. Voglio, non posso fare altrimenti che pensare a progetti e portarli a termine. L’idea di costruire immaginari ad ogni disco. Per me un disco non è mai solo dieci canzoni di fila ma un percorso. Una volta si chiamavano concept, ora l’idea di album è demodè e si è tornati agli anni Sessanta, alla canzone per i 45 giri. Ma mi piace pensarmi in questo modo.
Separazione fra mainstream e scena alternativa. Esiste ancora o è scomparsa con il primo posto in classifica di Tabula Rasa Elettrificata (album del 1997 dei CSI, arrivato al primo posto delle vendite grazie alle circa 50mila copie vendute nella prima settimana di uscita)?
In realtà Tabula rasa credo che sia arrivato primo in classifica perché frutto di un percorso, per questo è così iconico come la canzone che ho scelto per La mia generazione, Forma e sostanza. Non è arrivato per caso, pur essendo diventato un caso discografico. Era primo in classifica ma nessuna radio commerciale lo metteva, forse solo la RAI. Sono stati bravi a fare un percorso molto preciso e arrivare a riempire i palazzetti. Per me è sempre stato un po’ quello l’obiettivo con i La crus: trovare un punto in cui far convivere la canzone popolare con la qualità. Ci ho messo un po’ tanto, ma con Io confesso è successo. Con i La crus il tentativo era sempre quello di trovare la sintesi fra un background altro, alieno, e il recupero della canzone d’autore, le grandi melodie. Non per diventare mainstream ma per trovare l’equilibrio fra la canzone popolare e la qualità.
Voi avevate Nick Cave e la New Wave come riferimento. Per una band oggi quale potrebbe essere?
Spero che non sia solo Le focaccine dell’Esselunga!
È un caso che nella scaletta non ci sia nulla nato sotto la linea gotica?
È un caso. Necessariamente ho dovuto fare delle scelte, altrimenti avrei dovuto fare un’enciclopedia. Ho preso dei pezzi, e per far sì che che non fosse un disco di cover ma di versioni, per ogni brano sono partito dal testo, dalle parole. Ho dovuto trovare cose molto vicine a me, per poterle fare mie al cento per cento. Squartarle, vandalizzarle e farle diventare dei pezzi miei. Tredici pezzi sono comunque tanti, artisticamente ed economicamente. Produrre un disco costa quanto quindici anni fa, ma se ne vende un decimo. Per cui è stata un’impresa produttiva importante. Comunque sì, è un caso, ma dal vivo faremo un pezzo dei Tiromancino e uno dei Virginiana Miller.
Escono dei dischi che potrebbero anche non uscire e ingolfano il mercato.
Tu parli di un prima e di un dopo Napster. Per te quali sono stati gli aspetti positivi e quali quelli negativi dell’avvento della distribuzione digitale della musica?
Da un punto di vista sociale è una rivoluzione pazzesca. Se sei bravo puoi bypassare tutto: con 300 euro ti fai un disco a casa, poi ti crei un pubblico sulla rete, te lo puoi promuovere, vendere… Dall’altro punto di vista lo possono fare tutti, ma forse di tutti non ci sarebbe la necessità. Manca un filtro: vent’anni fa se volevi pubblicare facevi il giro delle sette chiese, delle etichette, magari uno ci capiva uno no… ma uno come Senardi (presidente della Polygram Italia dal 1992 al 1999, come Blackout pubblicò in quegli anni dischi di Subsonica, Afterhours, Carmen Consoli, Negrita, Modena City Ramblers, C.S.I., Africa Unite, Casino Royale e Marlene Kuntz, Ndr) di quella rivoluzione è stato fra i protagonisti. Dava dei consigli, diceva: questo progetto è una figata ma devi lavorare, sulla melodia, sui testi… Cercava un mondo sonoro diverso. Se non hai filtri, non hai nessuno che ti può aiutare. Magari sei un grande talento e non ce n’è la necessità, ma quelli che tutto questo talento non ce l’hanno? Così escono dei dischi che potrebbero anche non uscire e ingolfano il mercato. Esce così tanta roba che a un certo punto io ci rinuncio e non ascolto più nulla.
Quali sono le fonti da cui attingi per scoprire musica interessante?
Quando lavoro non ascolto nulla. In 16 anni di La crus abbiamo sempre fatto un anno in studio e un anno in tour, così mi sono disabituato ad ascoltare musica. Quando lavoravo da Zabrinskie Point e poi da socio della Vox Pop, ne ho ascoltata così tanta! Ascolto un po’ sempre le stesse cose. Soprattutto in macchina.
Un tempo il lavoro di selezione lo facevano giornalisti e speaker della radio.
I palinsesti delle radio sono così un delirio, c’è così poco spazio per le novità. Il mondo delle radio è proprio un altro gioco.
Come potrei insegnare a mia figlia a distinguere la musica interessante, bella, buona dal resto?
Io intanto le farei ascoltare i dischi che piacciono a me, sperando che l’affascino più di una puntata di Amici.
Tenco era un proto-punk.
Tu sei molto bravo a tenere insieme l’attitudine rock and roll con la canzone d’autore.
Ho necessità di tutte e due. Sin dal primo disco dei La crus, che sono stati proprio un tentativo di far convivere due mondi sulla carta distantissimi. Da una parte il nostro background fatto di Sex Pistols e Joy Division fino ai Massive Attack, e dall’altra il recupero di quella che per me era la parte più importante della canzone italiana dal punto di vista letterario, cioè quella d’autore. Per cui l’idea di fare canzone di qualità, che non fosse la canzonetta, con un vestito che non fosse quello di cinquanta anni prima. Perché secondo me ai suoi tempi Tenco era un proto-punk. Anche dopo i La crus, la mia idea è stata ed è quella di spostare l’immaginario, come se ogni canzone potesse essere una colonna sonora. Ho la necessità di fare un lavoro sulla parola così come di qualcosa di rock and roll, che nel disco ci siano anche brani che vanno a 140, 150. È così anche quando faccio concerti con solo piano e tromba, con De Rubertis e Paolino (Milanesi, Ndr): ho necessità di mettere dentro anche pezzi che tirano. Per dare dinamica e per spiazzare, altrimenti diventa quella roba vecchia da cantautore.
Mi incuriosisce capire come funziona il meccanismo con cui fai “tue” canzoni che tue non sono.
Parte sempre dal testo. Qualsiasi pezzo faccio, devo sentire che posso farlo arrivare dalla pancia. Quando sento che posso cantare questo tipo di storia, penso: posso farla mia e agisco come fosse mia. Certo devi cercare di rispettare lo spirito originale, ma quando trovo il testo e la melodia che sento come scritti da me, allora me ne approprio, trovo il mio immaginario sonoro. Mi ha fatto molto piacere sentire Luca Morino (ex Mau Mau, Ndr) quando mi ha detto che gli è piaciuta la mia versione di Corto Maltese: “riesci a giovanardizzare tutto quello che fai”. Questo perché mi interessa fare delle versioni, le cover le lasciamo fare alle tribute band.
Mi interessa fare delle versioni, le cover le lasciamo fare alle tribute band.
Corto Maltese è la mia preferita dell’album.
Anche la mia. Nel disco non c’è un pezzo, non c’è una nota che non avrei messo così, ci ho messo un anno per farlo! I brani sono tutti figli uguali, però ce n’è uno che è più uguale degli altri. Forse perché Corto Maltese, più ancora che Nera signora, è venuto più La crus di tutti. Potrebbe essere un Dentro me due punto zero. Ha quella ritmica trip-hop, la chitarra arpeggiata, il mio tono. Mi ricorda quel tipo di suono, quello del disco dei La crus che forse amo di più. Davide Rossi ha fatto una orchestrazione fighissima.
Come hai lavorato negli anni sullo strumento voce?
Ho avuto la fortuna di avere una insegnante di canto negli anni Ottanta, Françoise Godard , metà inglese e metà francese e solo cinque anni più grande di me. Mi diceva che solo noi italiani pensiamo che la voce sia un dono. Invece va allenata. Tre anni di esercizi per farmi capire come usare la voce. I suoi insegnamenti sono tornati utili nel tempo. Il vero cambiamento è arrivato quando ho cominciato a cantare in italiano e la voce si è abbassata naturalmente. Poi provando in studio e non in sala prove, dove invece devi urlare. Altro step importante c’è stato quando ho fatto Cuore a nudo con Barovero e Paolino. Una palestra importantissima perché con solo il pianoforte e la tromba come controcanto, non puoi nasconderti. Senti tutto e cresci molto. E poi, ancora, un lavoro quotidiano sul controllo e sull’espressione. Vedendo sempre quello che faccio. Ogni verso devi essere concentrato, non puoi mollare mai. Un concerto sono venti storie da raccontare, se non le vedi tu, neanche dall’altra parte le vedono.
Nelle tue canzoni non c’è politica.
Non è necessario. C’è il rischio della retorica, non mi interessa. Puoi far capire chi sei anche raccontando del rapporto con la tua donna. Io penso che anche se uno non sa dove sono schierato (anche perché neppure più io so dove sono schierato…) credo possa immaginare: “Joe secondo me non vota Lega”. Ho un altro tipo di percorso. Poi ognuno fa quello che vuole, ma non vedo la necessità di sottolinearlo.
MAURO ERMANNO GIOVANARDI
racconta La mia generazione, brano per brano
Capitolo I: Aspettando Il Sole (Neffa)
Quando decisi la track list definitiva del disco, Aspettando Il Sole rappresentava la vera incognita: non ero certo di essere in grado di farne qualcosa di bello e credibile perché rappare è un altro mestiere rispetto al cantare. È proprio un'altra partita. Volevo provarci a tutti i costi, però ci misi un bel punto di domanda di fianco. Ma l'intuizione che avevo avuto di spostare un pezzo hip hop da un immaginario urbano, a qualcosa che avesse a che fare con le sue radici, cioè il blues, mi intrigava troppo, mi dava la possibilità di sentirmi più a casa, di ritrovare un'atmosfera sonora a me più familiare. Portarlo da New York a Memphis. Dalla metropoli agli spazi aperti. E’ stata questa la sfida che ho lanciato ai miei musicisti: ne è nata una versione acustica, senza chitarre elettriche e senza tasti, con solamente slide, cori e armonica. Come suggestione, dissi loro che me lo immaginavo come fosse registrato al Sun Studio nei primi anni '50, quando ancora le produzioni erano di Race Music. Prima della svolta country e r'n'r con Johnny Cash ed Elvis. Che mi sarebbe piaciuto andare in quella direzione. L’idea piacque tantissimo. E alla fine, proprio per capire se portarla avanti o meno, è stata la prima traccia che ho registrato; è stata importantissima quella scelta, perché poi quel mood di ricerca e sperimentazione ci ha accompagnato lungo tutto l’album”.
Capitolo II: Lieve (Marlene Kuntz)
Il primo disco dei Marlene Kuntz l'avevo avuto in anteprima da Gianni Maroccolo (bassista e fondatore dei Litfiba, oltre che produttore discografico) quando andammo a trovarlo a Calenzano, allo Studio M.
Stavano per uscire i primi tre lavori del Consorzio Produttori Indipendenti, e i La Crus sarebbero stati il quarto. Non ci mettemmo d'accordo e non se ne fece nulla, ma rimanemmo comunque in contatto. E nell'occasione della registrazione del Live Unplugged "In Quiete" ci invitò negli studi di VideoMusic per la trasmissione Acoustica. Eravamo un centinaio di fortunati e fu un concerto a suo modo illuminante. E quando fecero la versione di Lieve, rimasi davvero folgorato. Fatta in quel modo il testo sembrava arrivarmi meglio e più a fuoco. O forse, sgombro da quella violenza sonica che caratterizzava i Marlene, era a me in quel momento più vicino. Non ho mai capito quale preferissi delle due, dipende sempre dallo stato d'animo in cui ti trovi. Ma di sicuro, sono almeno 22 anni che ci penso, e che l'avrei voluta rifare.
A modo mio, come cantava Frank Sinatra.
Capitolo III: Huomini feat. Manuel Agnelli (Ritmo Tribale)
Penso che Kriminale, sia un album importantissimo. Seminale, freschissimo ancora oggi, e fin troppo sottovalutato. Il modello fino a quel momento, se facevi rock in italiano, erano sicuramente i Litfiba e l'approccio vocale quello di Pelù. Edda in questo disco è rivoluzionario, ribalta i canoni del cantato e fa scuola. Io e Manuel in primis, con modalità diverse, sicuramente abbiamo preso lezione da lui.
A me affascinava quanto riuscisse ad essere credibile, vero, cantando dei testi così ermetici, folli, e a volte incomprensibili. Huomini è "Il Pezzone" di quel disco e non solo, e per alcuni il brano intoccabile della discografia dei Ritmo Tribale. Musicalmente una ballad con due chitarre acustiche e la voce che urla la sua disperazione. Dal vivo Edda era un animale in gabbia, e l'intuizione di come arrangiare il brano è stato Iggy Pop. L'idea di farne una versione Punk/R'n'R ispirandosi a certe sonorità di The Idiot è stata consequenziale. E con chi avrei potuto cantarla se non con Manuel.
Capitolo IV: Non è Per Sempre (Afterhours)
In realtà avrei dovuto cantare un altro brano per chiudere il cerchio. Lo dovevo a Manuel da tempo.
Da quando stava ultimando le registrazioni di "Hai Paura Del Buio" e mi disse che gli sarebbe piaciuto un sacco che cantassi con lui il brano che chiude il disco, "Mi Trovo Nuovo". Gli dissi ovviamente di si. Stava registrando al Jungle Sound e noi sempre lì, in una delle due sale di sopra a fare le prove con i La Crus. "Appena troviamo un buco, vengo giù in studio e la facciamo" ci siamo detti. Le nostre prove, quando si doveva partire con il tour erano lunghe e complicate; campionatori, giradischi, sequenze, tromba, chitarre, insomma tanti elementi che dovevano convivere con gli equilibri giusti. Scesi un paio di volte ma stava chiudendo altri brani, "allora la facciamo domani", tanto son qua. Sta di fatto che non riuscimmo a farla, e sul disco non ci sono. Con mio vero rammarico da allora, e con una certa incazzatura sua. Ma siccome tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare, pure stavolta nonostante i buoni propositi, quando ho dovuto scegliere il brano degli After non ho potuto non scegliere Non È Per Sempre. È davvero un pezzo bellissimo. Sia nella composizione che nella scrittura del testo. Strafottente quanto basta. Come solo lui sa essere. Nel brano ho sempre sentito qualcosa di beatlesiano, volevo spingerlo in quella direzione, e quando nelle prove di pre produzione Gianluca (De Rubertis) ha cambiato la struttura armonica del tema iniziale, aggiungendo accordi tipici di quel periodo, il tutto ha preso il sapore “English” giusto, perfetto. Le indicazioni che poi ho dato al fonico che ha mixato il disco? White Album 2.0.
Capitolo V: Cose Difficili (Casino Royal)
Il legame coi Casinò Royale parte da lontano. Un legame quasi trentennale nato ai tempi della Vox Pop e continuato poi condividendo tanti palchi negli anni successivi. Dalla stampa di Soul Of Ska, ai concerti di quel periodo in cui erano la punta di diamante dell'etichetta, dove necessariamente si andava sempre e tutti a sentirli, alle mille cose che stavano succedendo intorno a loro con la sensazione che per davvero fossero The Next Big Thing e che sarebbero stati i primi a fare "il salto".
Poi lo fecero i Mau Mau, invece. Forse perché erano solo in due, invece che una decina a decidere.
Ma siccome erano cavalli di razza, il salto poi lo fecero. I re avrebbero trovato il loro trono.
Ed io pure per decidere un brano da fare, c'ho messo un botto. Diversi erano quelli che avrei voluto provare a cucirmi addosso. Suona Ancora, Ogni Singolo Giorno, Lunacezione, Ora Solo Io Ora, Là Dove É La Fine, Oltre... E alla fine mi è sembrato che il completo che mi calzava meglio e con cui mi sentivo più a mio agio fosse Cose Difficili. Cosa Difficile cantare questo brano, visto che Giuliano già lo canta da dio. Prendere un brano Trip Hop e riportarlo alle radici. Al suo spirito originario. Fare un percorso al contrario. In direzione ostinata, e sexy quanto basta. Bella sfida.
Bella lì
Capitolo VI: Baby Dull feat. Rachele Bastreghi (Üstmamò)
Era da tempo che volevamo farlo. Dall'uscita di "Amen" dei Baustelle ed "Io Non Credevo Che Questa Sera", l'ultimo disco dei La Crus. Tutti e due usciti il primo febbraio 2008, tutti e due per Warner, e per logiche promozionali, l’idea non si poté realizzare.
Avevo chiesto a Rachele di cantare con me "Mentimi", il singolo di quel l'album, ed è da allora che ci pensiamo. Di fare un pezzo insieme. Mi piace un sacco la sua attitudine, il suo spirito R'n'R.
Abbiamo perso il treno all'ultimo momento anche col mio lavoro precedente, "Il Mio Stile", e a sto giro non potevamo non cogliere l'occasione.
Concettualmente, era importante anche per chiudere un altro cerchio.
Se Samuel, Manuel, Mimì e Cristiano, li ho cercati e voluti come rappresentanti e protagonisti diretti di quella scena musicale, i Baustelle, di quella stagione, sono i veri figli legittimi. Quale opportunità migliore allora? Anche il brano mi sembrava perfetto per lei, e perfetto da vandalizzare. Cambiargli scenario e farne una versione più Glamour, ironica, quasi BritPop, ci è sembrata la scelta azzeccata.
E mentre scrivo, rifletto, e penso al percorso che delle volte fa una canzone. Gli Üstmamò arrivavano da due dischi Folk Punk, e Roberto Vernetti, chiamato per produrre il terzo album, li prese e ribaltò il loro suono come un calzino. Dopo aver lavorato con Ben Young al disco dei Casinò tirò fuori quel piccolo capolavoro Trip Hop che è Üst.
E mi chiedo: visto che Vernetti, per arrivare ad un'idea musicale così precisa, avrà vandalizzato a sua volta i provini che gli diede la band per iniziare a lavorare, chissà come sarà stato questo brano in origine.
Sia Mara sia Luca che Simone (i membri originari degli Üstmamò) sono tra i pochi che per un motivo o un altro non sono riuscito a sentire o contattare. Chissà che ne pensano di questa versione ..
Rachele Bastreghi : “Io e Joe abbiamo condiviso il palco varie volte in diverse occasioni ma non eravamo mai stati insieme in uno studio di registrazione. Ad ogni nostro casuale incontro ci promettevamo una collaborazione…e con “La mia generazione” è arrivata l’occasione giusta. Un bel viaggio in un tempo che è stato importante per me e per la mia formazione artistica. Quando Joe mi ha raccontato la sua idea e chiesto di essere tra gli interpreti, ero già molto felice, poi mi ha proposto di cantare insieme “Baby Dull” degli Üstmamò ed e’ stata la ciliegina sulla torta perché sono uno dei gruppi che ho amato di più e che continuo ad ascoltare tutt’oggi. E’ stato bello e ci siamo divertiti”
Capitolo VII: Forma e Sostanza feat. Emidio Clemente e Cristiano Godano (CSI)
In tutta onestà il brano dei C.S.I. che d'istinto e soprattutto di cuore, avrei voluto cantare era un altro. Dal primo album: "Del Mondo". Per me, la loro canzone più bella ed emozionante. Ma era una scelta fin troppo scontata. E mi è dispiaciuto tantissimo non farla perché hai dei passaggi lirici stupendi. Ma quando affronti un lavoro concettualmente così complesso e articolato come La Mia Generazione, devi tenere presente il materiale nella sua totalità. E nel loro caso dovevo necessariamente confrontarmi con Forma E Sostanza. Perché? Perché si. Perché se c'è un brano che rappresenta quella stagione, è proprio questo. Perché giusto 20 anni fa, furono i primi, con Tabula Rasa Elettrificata ad arrivare al primo posto in classifica. Perché il ritornello identifica il sentire di una generazione. Perché alcuni brani diventano iconici loro malgrado. Ma se c'è una canzone pericolosa e rischiosissima da rifare è proprio questa. Perché? Perché se sai cantare, ad esempio, è più facile cantare un pezzo di Mina, che di Ferretti. Lui non canta, salmodia. E ha un modo unico e così personale che se lo imiti, fai una "cover" nel senso classico del termine, ma quella non è più arte. È retorica revivalistica. E quindi se devi farla devi rispettarne lo spirito originario, renderla totalmente tua, che sia credibile, e soprattutto che regga il confronto con l'originale. Come cercarsi delle rogne… Musicalmente volevamo venisse sonica ma con elementi totalmente diversi da quelli usati da loro. Volevamo avesse un beat più groovy, con la sensualità della slide e delle chitarre acustiche. Un soul/blues imparentato con più con Beck che con Zamboni e Canali. I feedback delle elettriche li abbiamo aggiunti solo alla fine, per avere la sensazione dello stordimento.
L’idea di cantarla con Cristiano e Mimì anche in questo caso è molto semplice. I Marlene per il loro legame imprescindibile col Consorzio, e i Massimo Volume perché se esistono dei figli illegittimi dei C.C.C.P. questi erano loro.
Emilio Clementi: “Capita spesso che persone più giovani di me mi chiedano della scena musicale degli anni '90. Per chi non l'ha vissuta è quella l'Età dell'Oro della musica alternativa italiana, il Grande Inizio. Il tempo ha reso quegli anni mitici, ma all'epoca -almeno a me- non sembravano così speciali. Di una cosa però sono certo, al contrario di oggi, era una scena capace di sedurre anche gente che prima di allora non aveva mai ascoltato musica strana e forse nemmeno la capiva,
E' questa la tragedia di oggi, continuare a fare musica, ma scoprire di non essere più sexy”.
Cristiano Godano"E' ovviamente un piacere far parte della tracklist di questo disco del mio amico Jo: è sempre stato un fan di Lieve, il pezzo che compare nel nostro primo disco e di cui venne fatta un'altra cover anche da parte dei CSI di Ferretti, ed è dunque coerente la sua presenza qua, che mi onora vista la splendida compagnia intorno a se. Ed è questa compagnia che, insieme ad alcuni nomi giocoforza mancanti, caratterizzava al meglio il favoloso mondo della scena musicale indie del periodo, quegli anni 90 che sembravano averci catapultato in una realtà impensabile e di cui eravamo orgogliosamente artefici. Di colpo un pubblico vastissimo oltre ogni pronosticabile ipotesi veniva a popolare i nostri concerti, lasciandoci tanto stupefatti quanto energici e vogliosi di dare tutto il meglio di noi stessi: durò qualche stagione, e in essa spesso mi sembrava che qualcosa di rivoluzionario fosse accaduto, in grado di ribaltare tutto ciò che era successo prima in Italia con questo genere musicale, sempre stato di nicchia e ben poco visibile nell'overground. Fu una moda però, questo è quello che sono giunto a credere con le mie riflessioni nel corso degli anni, e tutto quel fermento non c'è più, spostatosi semmai verso forme di musica più vicine alla nostra tradizione cantautorale, che sono un po' poco affini alla cultura anglosassone, l'indiscussa regina del rock nelle sue varie forme, quelle che hanno nutrito negli anni di formazione le nostre più toccanti fantasie. Resta il piacere di aver vissuto emozioni forti, e la certezza di aver sempre dato il massimo, noi tutti, per scongiurare quello che poi accadde. Ora, con questo disco, una piccola occasione di risvegliare il sapore di quegli ottimi ricordi è offerta a coloro che lo vorranno acquistare o anche solo ascoltare: come già detto all'inizio, sono particolarmente felice di poter contribuire a questo risveglio, e dunque grazie Jo, per avermici invitato. Un abbraccio a te e una stretta di mano a tutti coloro che ascolteranno.
Capitolo VIII: Lasciati (Subsonica)
Quando ho iniziato a pensare al disco, avevo già chiaro il progetto e dove volevo andare, ma erano pochi i brani di cui ero già sicuro. Quattro o cinque non di più. E tra questi c'era Lasciati.
Dei Subsonica non avrei potuto fare nient'altro che questo. Solo per la quantità di volte che l'ho sentito. Sono un'anima romantica, e quando un pezzo mi fa scendere i lacrimoni è come una sorta di innamoramento. Se poi quella canzone ti rimanda a momenti belli e importanti della tua vita… Ciao.
Più una canzone ti piace però, più è difficile staccarsi dall'originale. Ma mi avvalgo di musicisti che sono anche produttori, e soprattutto compagni di viaggio fantastici, con cui ho condiviso idee ed entusiasmo per tutto il tempo. Dal concepimento al parto. Una vera fortuna.
L'idea era quella di fare un disco solista ma che avesse il suono di una band (non a caso la direzione artistica del disco ho voluto che fosse collettiva). Operazione delicata, in un progetto già di per sé temerario e articolato. Ma le sfide mi piacciono assai. Soprattutto se sono al Ok Corral. Come trasformare un ragga lento, sospeso, in una cavalcata morriconiana del III Millennio.
Capitolo IX: Cieli Neri feat. Samuel (Bluvertigo)
Scorrendo i crediti del disco, e riguardando "chi" ha suonato "cosa", riflettevo che in questo brano dei BluVertigo, senza averlo voluto, ho riunito Samuel (Subsonica), Davide Rossi (Mau Mau, Afterhours), LeLe Battista (La Sintesi) Marco Carusino (Morgan) e se mi ci metto anch'io (La Crus), i pensieri mi han riportato inevitabilmente all'esperienza della Mescal.
L'importanza che ha avuto per questa stagione musicale, per l'evoluzione di questa scena, è stata enorme. Irripetibile. Come il momento storico.
Come del resto l'ha avuta il Consorzio Produttori Indipendenti.
Due realtà con modalità opposte ma con lo stesso fine. Una più militante, con Ferretti, faro, guida e guru Illuminato, l'altra con un mecenate appassionato e innamorato dell'idea di poter costruire qualcosa di significativamente diverso. Cercando entrambi un'alternativa alla discografia ufficiale. Ambendo e proponendo più sostanza che forma.
Io la chiamo l'Età dell'oro. Il quinquennio che va dal 94 al 99. E per chi l'ha vissuta in prima persona, (sentimentalismi, retorica, e nostalgie revivalistiche vietate), è stata per davvero una figata. C'era il pubblico, c'erano i club, possibilità economiche, c'erano ancora tutte le Majors, c'era voglia di cambiamento, e soprattutto non era ancora arrivato Internet, Napster e tutto quello che è successo dopo questa rivoluzione epocale. In poco tempo la Musica Alternativa stava occupando tutti gli spazi della discografia ufficiale, arrivando persino prima in classifica con i C.S.I.
Sanremo era ancora un tabù, ma ci pensarono i Subsonica a sdoganarlo subito dopo.
Quando chiamai Samuel per parlargli de La Mia Generazione, mi disse da subito che voleva farne parte. Che il progetto così come lo stavo immaginando, gli piaceva molto. E quando gli proposi Cieli Neri mi disse che da sempre, è uno dei suoi pezzi preferiti di quel periodo.
Manco a farlo apposta ..
Samuel: “Un amico, di una band amica, di un epoca che ha segnato la musica italiana e di cui fortunatamente abbiamo fatto parte. Abbiamo incrociato le nostre voci su una tra le più belle canzoni di quel tempo”.
Capitolo X: Corto Maltese (Mau Mau)
Sono davvero soddisfatto di come è venuto tutto il disco. Tantissimo. Se penso alla difficoltà, all’azzardo a cui mi sono sottoposto ed ascolto il risultato finale, quello che mi arriva, forse supera quello in cui speravo. Ogni versione sembra calzarmi addosso giusta. Precisa. Con la sensazione di vestire per ognuna, un capo sartoriale. Lo stile, innanzi tutto.
Con una track list come quella de La Mia Generazione, ognuno avrà la propria preferita. Per vissuto, gusti, background, ricordi, momenti di vita. Io per primo. A volte mi sembra di preferirne una piuttosto che un'altra. Un po’ come ai figli, anche se in questo caso adottivi, vuoi bene a tutti in egual misura. Ma la versione di Corto Maltese, per come è venuta, forse è quella che, intimamente, amo di più. Quella che mi fa sciogliere il cuore. Quella che mi rimanda più di tutte e 13 all'atmosfera dei brani dei La Crus. Ancor più della “nuova” Nera Signora, che sembra imparentata con Morricone e Nick Cave, piuttosto che con la mia vecchia band.
Il beat Trip Hop, la chitarra arpeggiata, i ritornelli che ripetono il verso all'infinito, il minimalismo. Ed il clima. Malinconico e struggente come l'autunno meneghino in bianco e nero. Sembra quasi incredibile sia in origine un brano dei Mau Mau e non uno dei La Crus di Dentro Me.
Non sembra neanche che manchi la tromba del Maestro Paolino.
Capitolo XI: Stelle Buone (Cristina Donà)
I prossimi tre capitoletti sono i più delicati. Quando ci son di mezzo i sentimenti bisogna stare attenti. Cominciamo col primo … Cosa posso scrivere su Stelle Buone e la Cri..
Che ho avuto la fortuna di cantare con tante mie colleghe. Con ognuna è stata un'emozione diversa. Come sono diverse le persone d'altronde. Quasi tutte mi han stupito per bravura e intensità. Tecnicamente parlando, ho come la sensazione, per la mia esperienza, che le donne cantino meglio degli uomini. Soprattutto dal vivo. E sicuramente quella con cui ho condiviso più palchi e mi sono sentito più vicino, è Cristina Donà. Forse qualcuno se lo ricorda. Tra il "95/96/97" lei aprì almeno una trentina di concerti dei La Crus. Forse di più.
Sul furgone c'era sempre un posto per lei. Noi eravamo solo 5. Più un tour manager, un fonico ed il tecnico luci. Ne rimaneva uno libero. E così ho visto e sentito crescere i pezzi che poi sarebbero finiti sul suo primo album, insieme a lei, che concerto dopo concerto era sempre meno timida e più sicura ogni volta che saliva là sopra. Lei, e la sua chitarra. E questa sicurezza si sentiva quando cominciava a cantare. Pazzesca. Un usignolo da combattimento, per quasi citare Faber.
La mia insegnante di canto (che era per metà francese e per l'altra metà inglese) mi diceva sorridendo che solo noi italiani abbiamo la convinzione che uno nasca col dono divino della voce. La voce è educazione, studio, applicazione, mi ripeteva in continuazione. Sarà, ma pur essendo ateo convinto, in questo caso mi sembra che il signore c'abbia messo lo zampino…
Capitolo XII: Nera Signora (La Crus)
Come un serpente che cambia la pelle per adattarsi e mimetizzarsi meglio all'habitat che lo circonda e cambia colori con le stagioni, le canzoni nel tempo assumono toni e sfumature diverse.
Come la vita. Che scorre veloce. La cosa più pericolosa da fare è restare immobili, diceva Burroughs. E penso alle mie di trasformazioni. Alle scelte che ho fatto per arrivare fino a qui, dove sono ora.
Ho fatto in modo che fossero tutte sincere, e che quanto di me traspare mi assomigli per davvero? Ho scansato la retorica, sempre e comunque? Faccio ancora questo lavoro con la stessa passione? Questi alcuni dei tanti quesiti. Credo di si. In questa versione c’è tanto del mio cambiamento. Nella mia voce in primis. Ho lavorato costantemente sull'espressione e la naturalezza. Sembrerà strano, ma i primi due dischi dei La Crus, da tempo faccio un po’ fatica a sentirli. Per come canto. Mi sento a volte di essere sopra le righe. Sarà stato il passaggio dall'inglese all'italiano..
Non so, però c'ho perso le notti per capire come impadronirmi della lingua.
Ho cercato di ricostruire un suono, intorno alla mia vocalità, che fosse riconoscibile, con tanta ricerca e sperimentazione. Dopo tanta elettronica avevo bisogno di più musica. Ho dato corda alle mie passioni vere e sono andato dove mi porta il cuore con più consapevolezza.
Si si, questa Nera Signora è lo specchio di quello che più mi affascina oggi.
Capitolo XIII: Il Primo Dio (Massimo Volume)
Valerio Soave, della Mescal, ha sempre avuto un approccio da padre o meglio da fratello maggiore, con tutti i suoi artisti. Il clima era quello della famiglia allargata. Spesso ci chiedeva consigli su altre band, se prenderle o meno nel rooster. E noi spesso si rilanciava con altri nomi.
Così io e Cesare spingemmo per portare in Mescal prima gli Afterhours e poi la Donà. Morgan portò i Soerba e La Sintesi. Max Casacci i Sushi; sono i primi nomi che mi vengono in mente. E così fecero i Massimo Volume agli albori dell'etichetta con noi.
Era la primavera del '94 e Totò Miggiano organizzò a Genova una serata con le tre band che Alberto Campo, in un articolo su Rumore, aveva definito tra le nuove cose più interessanti in circolazione. C'erano i genovesi Sensasciou, noi e i Massimo Volume, e ci conoscemmo lì. Mimì e Vittoria successivamente parlarono in maniera entusiastica a Valerio del nostro set, così che dopo Massimo Volume e Modena City Ramblers, i La Crus furono il terzo gruppo a far parte della Mescal. Il fato poi volle che il nostro primo disco e "Da Qui" il loro secondo, uscissero contemporaneamente. Quell'anno poi facemmo tantissima promozione, Showcase e concerti insieme.
Per cui tra il senso di riconoscenza che provo, e il forte legame di amicizia che si sviluppò, loro hanno un posto speciale nel mio cuore. E poi non puoi non volergli bene fino al midollo. Per come erano. Per come sono. La purezza senza concessioni. Amorevoli, idealisti e potentissimi.
Mettere mano a Il Primo Dio è stata una doppia impresa titanica. Una per come affrontarlo. Che insieme ad Aspettando Il Sole e a Forma e Sostanza erano i tre brani più difficili da svoltare come interprete. Anche Mimì ha un modo così personale di portare le parole, anche lui non canta, ti devi reinventare tutto. E due, per tutto il carico emotivo che ci sta dietro.
Sono contentissimo del risultato finale. Sembra un film. Non poteva essere che questa l'ultima traccia di questo viaggio nella mia generazione.