“Lesbo, crocevia dell'umanità” al centro del nuovo libro del giornalista: «Le storie quotidiane di persone normali che si trovano a compiere una scelta, quella di mettersi ad aiutare in modo incondizionato.»
Scegliere di raccontare chi aiuta nel quotidiano e nel concreto, scegliere di raccontarlo dopo averlo ascoltato di persona, raggiungendolo sul posto, dove ogni giorno “fa la cosa giusta” tra tante difficoltà ma anche soddisfazioni e gratitudine. Daniele Biella, giornalista ed educatore, ha fatto tutto ciò, offrendo anche a chi è rimasto in Italia, o ignaro di tutto, un punto di vista prezioso e soprattutto diverso. Diverso dalle solite immagini, dalle fake news e dagli stereotipi. Diverso perché.... vero, visto di persona. Il libro di intitola “L’Isola dei giusti”, pubblicato dalle Edizioni Paoline, l’autore è il nostro “scrittore del mese”.
Come è nata l’idea del libro?
C’erano degli scenari e dei luoghi che avevo sottomano da tanto tempo, parlandone ogni giorno come giornalista, e che mi è venuta voglia di visitare. Nel 2014-2015 Lesbo è stata spesso protagonista di molte cronache ed è nata in me la curiosità di andarci. Sono partito non nel periodo dei naufragi, che ho seguito dall’Italia, ma più tardi, per andare a vedere, approfondire e raccontare il tema che da sempre mi ha preso, fin dai primi reportage letti. Le storie quotidiane di persone normali che si trovano a compiere una scelta, quella di mettersi ad aiutare in modo incondizionato.
E ne hai fatto un libro.
Esatto. Sulla scorta del primo pubblicato, l’editore stesso mi ha chiesto una seconda idea. Io gli ho proposto di andare a conoscere a fondo e raccontare queste esistenze e ha accettato dandomi quasi carta bianca sulla struttura e sulla forma del libro.
Come hai selezionato le storie da raccontare?
Alcune le ho scelte dopo aver letto articoli sui loro protagonisti, altre le ho trovate seguendo i consigli di cooperanti che mi hanno indicato nomi e situazioni interessanti per me. Ho fatto diverse ricerche prima di partire, ero a 5 quando sono arrivato sull’Isola, una volta lì ho conosciuto altri due “giusti” e li ho inseriti. Sono arrivato a loro perché, spargendosi la voce sul libro che stavo scrivendo, mi sono stati suggeriti dalle persone del posto.
Come si sono svolti gli incontri con le persone che avevi scelto?
Mi sono sempre presentato con naturalezza e sincerità, spiegando quale fosse il mio obiettivo. Gli incontri con i 7 protagonisti sono stati sempre degli scambi, mi sono preso ogni volta il tempo di cui avevo bisogno, anche passando ore e ore con loro. Ricordo incontri di 5 o 6 ore, nelle case. A volte si parlava in inglese, in alcuni casi è stato necessario un interprete, con Daphne ho parlato perfino in italiano. Tra l’altro proprio Daphne Troumpounis verrà a Milano a marzo 2018, è stata scelta tra i "Giusti del mondo" 2018 da Gariwo-Foresta dei Giusti.
Una bella notizia, anche per me: raccontare storie come la sua contribuisce a creare tante diverse opportunità.
Come sei stato accolto sull’isola dalle persone che volevi intervistare? Diffidenza. Apertura. Voglia di raccontarsi.
No, diffidenza mai. Devo dire che ho avuto parecchia fortuna, anche sul momento. Ad esempio sono arrivato da Emilia che aveva finito appena la siesta ed era tranqulla. Quello più ostico è stato forse l’incontro con Stratos. Lui ha fatto poche interviste, ha accettato di farne una con me ma per lasciarsi andare ci ha messo un po'. Anche la traduzione ha creato un po’ di distanza.
Da quando è uscito ad oggi, quali soddisfazioni ti ha dato questo libro?
Molte. Ciò che incuriosisce è che siano delle persone normali quelle che hanno agito e che io ho scelto di raccontare, persone in cui ci si può identificare. Loro sono lì, in frontiera, noi qui, ma anche noi possiamo fare qualcosa proprio come loro perché chi viene salvato dal mare è lo stesso che poi troviamo qui. Fatto questo passaggio, si comprende meglio che è importante anche fare qualcosa sul territorio in cui si vive. Detto ciò mi ha fatto un immenso piacere sapere che una ragazza a giugno e un’altra a settembre sono partite per andare sull’isola per dare una mano. Là i flussi non si sono azzerati, c'è ancora tanto da fare. Mi hanno mandato delle foto con le persone che sono state raccontate, è stato emozionante riceverle.
È importante capire quali sono le fonti affidabili. E poi non ascoltare quei politici che usano tema non per far chiarezza ma per ottenere consensi
Come autore di questo libro e come giornalista, cosa pensi del racconto che si sta facendo del fenomeno migratorio?
Nell’informarsi e, ancora prima, nel fare informazione, è importante capire quali sono le fonti affidabili. E poi non ascoltare quei politici che usano tema non per far chiarezza ma per ottenere consensi, che fanno diventare l’immigrazione un tema di scontro sociale invece di un problema che riguarda tutti, orizzontale, arrivando anche a insultare queste persone che sono vittime due volte. Non nego che i problemi ci siano e che vadano gestiti ma gli immigrati non devono essere il capro espiatorio. Tutti noi dobbiamo stare attenti al tipo di informazioni che riceviamo, ci sono molti luoghi comuni, tante truffe. È triste sentire che l’opinione pubblica crede spesso ad informazioni deviate a volte amplificandone la platea di lettori/ascoltatori.
Come ci si può orientare per non cascarci?
Partiamo con il diffidare delle soluzioni semplici. Non ci sono il bianco e il nero, è un argomento complesso, le dinamiche cambiano quindi se qualcuno se ne esce con una soluzione semplice, va rifiutata. Se ci fossero delle soluzioni semplici, non ci sarebbero ancora tanti morti in mare e tanti diritti umani violati. È importante anche verificare le fonti da cui ci si informa, privilegiare quelle dirette come chi va sul luogo, le associazioni come la Carta di Roma, Open Migration e testate come quella per cui scrivo, vita.it . Ciascuno di noi deve cercare di mettersi nei panni dell’altro, vedere i fatti dal suo punto di vista e chiedersi, ad esempio, “come vorresti essere accolto mentre aspetti il tuo visto?”.
Incontri spesso i giovani, presentandogli il libro e le tematiche ad esso legate. Che reazioni hanno?
Trovo dei giovani che sono pronti a lasciarsi guidare, interessati a capire in profondità quello che gli dici. Ascoltano quando spieghi senza giri di parole, con dati e ragionamenti chiari. Si rendono conto di cose che non sapevano, si chiedono, e mi chiedono, “come mai in tv le cose me le dicono in un altro modo?”. Questa domanda se la fanno anche molto professori e molti adulti in generale, quando ascoltano i fatti e i numeri reali.
Certo l’Europa è la meta di un grosso flusso di persone, oggi, ma - numeri alla mano - i campi profughi più grandi sono nei paesi africani.
Quali sono le più diffuse convinzioni e da smantellare?
È diffuso il concetto di “invasione”. Certo l’Europa è la meta di un grosso flusso di persone, oggi, ma - numeri alla mano - i campi profughi più grandi sono nei paesi africani. E poi non smetterò mai di ricordare che le persone che scappano, vanno via dal loro Paese ma ci vogliono tornare. Quando dò queste chiavi di lettura, umanizzo il fenomeno, le persone poi ci ragionano meglio e smettono di vederla come “invasione”, di giudicare le cose solo come bianco o nero, si o no.
Dalla Tv vengono trasmessi molti luoghi comuni che poi sento raccontare quando incontro i ragazzi, e non solo i ragazzi. Un altro molto diffuso è che gli stranieri vogliono venire in Italia per fare la bella vita, perché qui si sta bene. Mi sconvolge che pensino una cosa del genere e che non riescano a capire che le persone che arrivano qui viaggiano in mare per mesi, aspettano rinchiusi al buio per molto tempo prima di partire, e la maggior parte non vorrebbe nemmeno venire in Europa e che lo fanno pensando “meglio sfidare il mare che morire in Libia”. In ogni incontro che faccio nelle scuole il mio obiettivo è spiegare le reali problematiche dell’accoglienza, le difficoltà nell’imparare subito l’italiano e conoscere le regole dei paesi in cui si arriva. Di questi e di altri aspetti si occupa la cooperativa AERIS con cui collaboro per il progetto “con altri occhi” per le scuole. Mira a fare chiarezza sull’immigrazione. Faccio un incontro da solo e uno con una persona in accoglienza che ha imparato l’italiano ed è poco più grande degli studenti.
Cosa accade in questi incontri? Come partecipano i bambini?
Chiedono che viaggio ha fatto e molte altre cose pratiche. Noi, con un linguaggio ogni volta adatto alla situazione, lo raccontiamo. Questo progetto unisce educazione e giornalismo, il testimone non è “un poverino” e nemmeno “un nemico” ma una persona, si creano legami personali e da pari. La sua storia personale è unica, non va generalizzata, non é quella di tutti e questo noi lo spieghiamo bene, ma riusciamo anche a far capire ai ragazzini che hanno di fronte un essere umano uguale a loro.
Quanti alunni hanno finora partecipato?
La scorsa edizione sono stati oltre 4000 gli studenti del vimercate e trezzese incontrati, quest’anno vogliamo spingerci anche verso Monza. Abbiamo contatti con la scuola Borsa. Per le scuole è un progetto gratuito perchè è un investimento culturale della cooperativa AERIS, che usa parte dei propri fondi per l'accoglienza, e per le realtá come AERIS è una fondamentale opportunità per farsi conoscere sul territorio come ente virtuoso. Dopo tutto ciò che è emerso e che è stato detto sulle cooperative e le associazioni che fanno accoglienza, un ente che si apre al territorio è un bel segno!
Che differenze hai riscontrato nello scrivere questo libro rispetto al precedente?
Sicuramente stavolta ero più sicuro di me stesso, grazie al successo e alle conferme ricevute per il primo libro. E poi mi sono organizzato meglio, ho potuto dedicare al libro più tempo. Dal punto di vista dei contenuti, gli scenari raccontati sono molto diversi: oggi, per vari motivi, la situazione è più difficile, è aumentata la sensazione che chi fa del bene ha interessi a farlo o addirittura fa male a farlo. Era quindi necessario che il nuovo libro fosse sempre più puntuale, che affrontasse il concetto di “reato di solidarietà”, cosa che trovo aberrante, che tocca l’ultimo anello della disumanità.