Gli italiani Donato Bilancia, Ferdinand Gamper e Gianfranco Stevanin. Gli americani Jeffrey Dahmer, Andrew Cunanan e Theodore Kaczynski. Il libro di Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi sugli assassini seriali, fra racconto e psichiatria
Gli anni 90 in Italia non sono stati solo gli anni di Tangentopoli e della fine della Prima Repubblica; del Karaoke e delle schede telefoniche. Gli anni 90 in Italia sono stati anche un decennio d’oro per i serial killer. Basti ricordare i nomi di Donato Bilancia, Ferdinand Gamper e Gianfranco Stevanin. Senza contare poi che sono stati anche gli anni di Luigi Chiatti (che, a rigore, non può essere considerato un serial killer poiché fino a oggi ha ucciso solo due persone); degli ultimi assalti della Uno Bianca; dei primi omicidi delle Bestie di Satana e del processo al mostro di Firenze.
Anche negli Stati Uniti gli anni 90 – pur senza toccare vette alla Ed Gein, alla Zodiac, alla Ted Bundy, alla Clown Killer, tutti operativi dagli anni 40 agli anni 80 – hanno comunque regalato soddisfazioni agli amanti del genere grazie (si fa per dire) alle imprese di Jeffrey Dahmer, il mostro di Milwaukee, e alle imprese di Andrew Cunanan, che tra gli altri uccise lo stilista Gianni Versace. Senza contare poi la cattura e il processo di Theodore Kaczynski, meglio noto come Unabomber.
Ma gli anni 90 sono stati anche gli anni in cui nelle sale è uscito “Il silenzio degli innocenti”, un film liberamente ispirato alla vita di Ed Gein che ha avuto un impatto enorme sull’opinione pubblica mondiale introducendo definitivamente in essa il concetto criminologico di serial killer che era stato utilizzato per la prima volta nell’ambito delle scienze forensi quindici anni prima.
Il film ha messo inoltre per la prima volta in luce presso il grande pubblico, anche se in modo ambiguo, la figura del profiler, una professione le cui prime esperienze si possono far risalire alle indagini che portarono all’arresto di George Metesky, detto Mad Bomber, che terrorizzò New York per circa vent’anni nell’immediato dopoguerra.
Un bel saggio sull’argomento lo hanno scritto alcuni anni fa - e da allora e sempre stato ripubblicato - Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi. Si intitola Serial Killer: storie di ossessione omicida.
Carlo Lucarelli (1960) non ha bisogno di particolari presentazioni. È uno scrittore di libri polizieschi e di noir (tra gli altri: Almost Blue, Laura di Rimini, Carta Bianca), un collaboratore di giornali e riviste, uno sceneggiatore, uno soggettista, ma soprattutto un narratore televisivo. Narratore nel vero e proprio senso del termine poiché i suoi programmi sono pressoché tutti costruiti secondo la tecnica della voce narrante, la sua, che racconta spiega e ipotizza.
In questo senso la prima serie di “Blu notte”, da lui curata e andata in onda parecchi anni fa, era un piccolo capolavoro per la ricostruzione dei casi di cronaca nera e delle indagini svolte per risolverli.
Su Massimo Picozzi (1956) va detta qualche parola in più. È uno psichiatra, docente universitario e criminologo che ha lavorato come consulente in diversi casi che tutti abbiamo sentito nominare. Tra i molti, possiamo ricordare per esempio il delitto di Cogne; il delitto di Novi Ligure (Erika e Omar); la strage di Erba (Rosa e Olindo); i delitti delle Bestie di Satana e l’omicidio di Sara Scazzi. Ha pubblicato decine di libri sull’attività di profiling, sui serial killer, sui crimini sessuali, ma anche un importante manuale di scienze forensi e vari testi che trattano temi come la rabbia in ufficio o al volante. Ha collaborato a molte trasmissioni televisive e radiofoniche. È considerato inoltre uno dei massimi esperti in Italia nel campo della negoziazione ostaggi.
Il corposo saggio (oltre trecento pagine) è costituito da una serie di capitoli in cui il narratore Lucarelli ripercorre con prosa scorrevole le vicende dei più importanti serial killer dall’antichità ai giorni nostri: Vincenzo Verzeni, Fritz Haarmann, Aileen Wuornos, Edmund Gamper, Ed Gein, Roberto Succo e molti altri.
Alla fine dei capitoli, e prendendo spunto dal racconto delle gesta di un serial killer del passato, il divulgatore scientifico Picozzi cura la parte più tecnica del testo che tratta la genesi del concetto di serial killer; le donne e il crimine violento; la classificazione dell’FBI dei criminali prima e dei serial killer poi; l’infermità mentale e la diagnosi psichiatrica; il comportamento “spaziale” dei serial killer; la creazione dei database; il profiling e la vittimologia.
Come al solito non riporto per filo e per segno quanto scritto nel testo per non togliere il gusto della lettura personale.
Segnalo che le parti più interessanti sono però senza dubbio quelle curate da Picozzi.
Qualcosa in realtà su questi argomenti lo abbiamo già sentito tutti, ma l’autorevolezza scientifica di Picozzi fa giustizia di tutta una serie di semplificazioni. Una su tutte: non è vero che i serial killer vengano classificati come organizzati e disorganizzati, come invece sembrerebbe suggerire una certa cinematografia e certi documentari superficiali.
A proposito di mass media, anche la televisione e il cinema hanno influenzato i serial killer. Picozzi riporta il caso di Kenneth Bianchi che, assieme al cugino Angelo Buono, si rese protagonista di almeno dieci omicidi alla fine degli anni 70 in California. Una volta catturato, Bianchi si giocò la carta della doppia personalità. Disse cioè di non essere stato lui, Kenneth Bianchi, a compiere gli omicidi; a compiere gli omicidi sarebbe stata una sua seconda personalità che a tratti prendeva il sopravvento. In realtà uno psichiatra si accorse che Bianchi aveva preso spunto per la sua strategia difensiva dal film Sybill che era nelle sale americane in quei giorni.
Permettetemi a questo punto un consiglio: se commettete un omicidio e venite presi, evitate di invocare una vostra doppia personalità. L’esistenza di personalità multiple – ben radicata nell’opinione pubblicata dai tempi del dottor Jekyll Mr Hyde e, in anni più recenti, da L’esorcista – è stata più volte contestata dalla comunità scientifica e di solito non ottiene successo nei tribunali. Evidentemente i giudici non vanno al cinema.
C’è inoltre un altro rischio che corrono coloro che vogliono affidarsi alla tesi della doppia personalità: Picozzi riporta infatti il caso di un altro serial killer che, una volta arrestato, invocava la colpevolezza di una sua seconda personalità. Durante la prima seduta, lo psichiatra incaricato di stendere la perizia fece notare all’accusato che (cosa falsa) di solito, nei casi di personalità multiple, le personalità presenti erano almeno tre. Ovviamente alla seduta successiva comparve anche la terza personalità. Diavolo di uno psichiatra!
Il saggio è molto celebre e sovente è stato citato, ma anche saccheggiato, dai cultori del genere. Tanto vale andare alle fonti primarie e leggerselo.
Carlo Lucarelli, Massimo Picozzi, Serial Killer: storie di ossessione omicida, Mondadori, 2004, pp. 338, 10,50 euro.