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Non solo un libro. Gli stereotipi legati alla figura maschile e e un confronto non di genere ma che generi cambiamento, di punti di vista e di modi di essere. Ne parliamo con Elisabetta Bucciarelli, Anna Scardovelli, Cira Santoro e Cristina Zagaria.

L’uomo nero è il titolo di una raccolta di racconti pubblicata da Caracò Editore e curata dalla scrittrice Elisabetta Bucciarelli che lo introduce, in attesa dell’incontro del 23 maggio quando lei assieme ad alcune autrici, saranno ospiti della libreria Virginia e Co dalle 20.30 in poi presso “The Box” (in via Bergamo 16 a Monza).

Come è nasce il progetto de “L’Uomo Nero”?

Elisabetta Bucciarelli: Dalla volontà di guardare i modelli maschili da punti di vista differenti. Dopo l’esperienza del mio ultimo lavoro, La resistenza del maschio (NNE), mi sono resa conto dell’esistenza di uno spazio vuoto in cui manca la riflessione sul maschile contemporaneo che tenga conto dell’assurdità degli stereotipi di riferimento. Sono sempre gli stessi e la parola più utilizzata è “contro”. Penso invece valga la pena di ripartire dall’idea che il confronto è sempre e solo l’unico modo per tracciare cammini fertili e individuare campi comuni. Occorre farsi carico di smontare i luoghi comuni legati al maschile: forza, coraggio, capacità di avere cura e di prendersi in carico, di mantenere (economicamente soprattutto) di assumersi responsabilità di aver voglia di fare figli e scegliere una donna sola per tutta la vita… questi sono desideri umani, individuali che possono appartenere alle singole persone, non a un genere e non vanno pretesi come fossero obblighi morali o etici. Ecco perché “L’uomo nero” per noi non è (solo) il violento che uccide e ferisce, ma soprattutto il maschio/uomo incapace di essere all’altezza di sé stesso, del modello che gli è stato imposto e delle aspettative femminili.

Cosa troviamo nell’antologia?

Elisabetta Bucciarelli: Le autrici hanno cercato di guardare i loro personaggi “neri” cercando di individuarne il punto di rottura a partire dal quale è possibile un deragliamento dal solco già tracciato, dall’obbligo sociale e dall’imposizione psicologica. Abbiamo voluto anche tentare di proporre un cambiamento, un’ipotesi almeno o un accenno di mutazione. Più difficile, ma ci abbiamo provato e continueremo a farlo anche durante gli incontri con lettrici e lettori.

Cosa dicono le autrici? Sentiamone alcune: Anna Scardovelli, Cira Santoro, che saranno a Monza il 23 maggio, e Cristina Zagaria. Perché avete deciso di partecipare a questa antologia/progetto?

Anna Scardovelli: Perché mi piace scrivere su un orizzonte breve, la dimensione “chirurgica” è ideale per me. E poi avevo in mente una storia che non mi lasciava in pace, e ho colto l’occasione per metterla subito nero su bianco.

Cira Santoro: Nella galleria di figure maschili che stavano entrando nel libro mancava un uomo anziano e poiché il mio primo libro, Le arzille vecchiette dell’autobus 21, mi ha aperto le porte del mondo over ’70, Elisabetta Bucciarelli e Alessandro Gallo, l’editore, mi hanno chiesto se avevo una storia in cui il protagonista fosse un vecchio. Ho pensato subito a Giancarlo, l’uomo a cui è ispirato il mio racconto, un macchinista teatrale oggi ottantasettenne con cui ho lavorato per diversi anni il cui desiderio più grande era quello di morire sul palcoscenico.

Raccontare il "vostro" uomo nero che emozioni vi ha suscitato?

Anna Scardovelli: Non me ne separavo più. Quando dovevo avviarmi verso il finale, allargavo ancora. E infatti, come sempre nei miei monologhi, alla fine il finale è rimasto sospeso. Anche nella vita non amo i finali, tendo a non chiudere mai davvero nulla.

Cira Santoro: Aver inventato il plot del racconto a partire dalla biografia di una persona che ha fatto parte della mia vita e che con molta probabilità avrebbe letto quelle pagine mi ha costretta ad assumermi una grande responsabilità. Ho imparato molto dal “mio” uomo nero. Dipingerlo nel suo lato scuro è stato difficile, dovevo scavalcare l’affetto e la stima per raccontarlo nell’ombra. Il fatto che fosse vecchio, inoltre, mi ha costretta a fargli fare i conti con il passato e con la morte: dalla paura di mancargli di rispetto all’attenzione per la scrittura, dal ricordo dei giorni passati insieme alla memoria del teatro all’antica italiana. Scrivere questo racconto (L’angelo della soffitta) è stato anche un po’ fare i conti con il mio mestiere di teatrante, un lavoro che non si riesce proprio a lasciare dietro di sé una volta tornati a casa. 

Come è stato, leggere gli “uomini neri” delle altre? Ce n'è uno che vi ha colpito/sorpreso particolarmente?

Anna Scardovelli: Mi è piaciuto qualcosa in tutti i racconti, in generale però mi ha colpito l’ottica “delusa” che ho sentito nei racconti delle mie compagne. Io invece tendo sempre a sdoganare il maschio. Forse semplicemente perché ne ho più bisogno.

Cira Santoro: Ogni racconto entra in un mondo diverso e smonta il primo stereotipo che viene alla mente leggendo il titolo. Mentre leggevo, cercavo tra le righe le autrici del testo, queste mie colleghe che al momento conosco soprattutto attraverso la loro scrittura. Dall’apicoltore di Simona Giacomelli al deejay di Monica Stefinlongo il libro mi ha mostrato uno spaccato dell’universo femminile molto interessante. La vera bellezza del libro è nella sua capacità di mettere in relazione i generi e raccontare le donne attraverso il loro sguardo sugli uomini.

Perchè questo libro non è "solo" un libro?

Anna Scardovelli: mi piace immaginarlo come una cena fra 6 uomini, che – un po’ brilli – trovano il coraggio di raccontarsi. Sono voci. Le voci non si chiudono dentro le pagine, continuano a farsi ascoltare...

Cristina Zagaria: Non è "solo" un libro perché è bello, è bella la copertina disegnata e ideata da Carmine Luino, ed è bella anche la carta: è un “oggetto” creato con cura grazie anche a una piccola e caparbia stamperia. Non è "solo" un libro perché nasce da un anno di confronto tra le autrici, l’editore, il grafico, la editor. Non nasce solo per finire sugli scaffali di una libreria, ma per provare a stanare donne e uomini e a farli uscire dai loro “luoghi comuni”, dalle rispettive rigidità di prospettiva.

Dalla pubblicazione ad oggi come è stato accolto dai lettori? Esperienze particolari che vorreste replicare in tour?

Anna Scardovelli: Per il mio piccolo osservatorio, la cosa piace. C’è un po’ di difficoltà sul titolo, alcuni credono di trovarci storie truci di uomini orribili, mentre il nostro è più un osservatorio sulla psicologia maschile.

Cira Santoro: Il libro è uscito da pochi mesi e ha compiuto solo i primi passi. L’8 maggio abbiamo presentato il mio racconto in teatro, letto da un attore. Speriamo sia la prima di altre esperienze come questa per il mio e per gli altri racconti. Un libro si legge, questo “libro” si discute e ci piacerebbe arricchirlo con i contributi dei lettori, ci piacerebbe portarlo a teatro … insomma trasformarlo e farlo crescere al di fuori delle 120 pagine che ogni lettore si ritrova tra le mani.

“L'uomo nero” nelle scuole, che contributo darebbe e come lo presentereste?

Anna Scardovelli: Faccio parte del Consiglio di Istituto del Liceo del mio primo figlio: spessissimo accogliamo progetti sulla questione di genere, sulla quale ancora si brancola ed è difficile trovare qualcosa di originale. Quando “L’Uomo Nero” sarà uno spettacolo, potrà entrare facilmente anche in classe.

Cira Santoro: Permetterebbe ai giovani di riflettere sulla vera identità dell’uomo, sui ruoli che assume per convenzione sociale e sulle contraddizioni che apre quando queste convenzioni esplodono. Vista la varietà di temi che i diversi racconti sollevano, potrebbero esserci moltissimi contesti di presentazione, dalle web radio scolastiche alle conferenze contro la droga.

Diventerà anche uno spettacolo teatrale? Lo trasformereste in una graphic novel?

Anna Scardovelli: L’Uomo Nero può diventare qualunque cosa: uno spettacolo, un video, una canzone, una poesia. Perché è nato snello, è plasmabile, mobile, elastico, espandibile e liofilizzabile. Le sue tematiche si intrecciano facilmente, può essere un coro polifonico o un sussurro nella notte. Sarà bello evolverlo, forse ancora più che scriverlo.

Cira Santoro: I presupposti uno spettacolo teatrale ci sono tutti e i singoli testi sono più o meno pronti per la messa in scena. Sarebbe invece necessario l’intervento di un dramaturg sul progetto. Per esempio, è meglio un unico spettacolo con sei uomini raccontati da sei donne o sei spettacoli con un unico filo conduttore, come se fosse una serie? Le domande che bisogna sciogliere in vista di una produzione sono molte, comprese quelle delle risorse economiche, ma credo che il teatro sia uno dei più naturali sviluppi di questo progetto. In quanto alla graphic novel non ci avevo pensato ma mi sembra una bella idea.

 

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