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Elisa Bolchi aveva un unico sogno: fare la maestra di danza. E invece è diventata una tra le massime esperte di Virginia Woolf in Italia

Dalla danza a Virginia Woolf. Strani i percorsi che la vita ci riserva. Elisa Bolchi, una ragazza di provincia aveva un unico sogno: fare la maestra di danza ed invece è diventata una tra le massime esperte di Virginia Woolf in Italia. «Da ragazza sognavo solo di ballare, purtroppo ho dovuto accettare che il mio fisico non era fatto per la danza classica. Con l’obiettivo di fare la maestra di danza mi ero iscritta all’istituto tecnico Pacle, era un indirizzo sperimentale e facevo molte ore di letteratura e di inglese. Qui ho scoperto il mio amore per la lingua ma soprattutto, grazie al mio professore di italiano, l’amore per la lettura e la comprensione del testo». Mossa da questa scintilla Elisa si iscrive alla facoltà di lingue dello Iulm e, dopo solo un mese di lezione, capisce che vuole occuparsi dello studio e dell’insegnamento della letteratura inglese. È così che incontra e conosce non solo le opere di Virginia Woolf ma anche il suo pensiero, la sua vita, si “innamora” della donna e della scrittrice.  «Di Virginia Woolf non amo solo la scrittura ma soprattutto il pensiero. Nei suoi libri trovo tutto, trovo un’amica che mi consiglia e mi conforta. Era dotata di un pensiero lucido e razionale e si è fatta portavoce di tutte le questioni femminili. È una madre pensatrice. Io uso i suoi libri quotidianamente e vi trovo sempre le risposte che cerco».

E allora la seguiamo alla scoperta di Virginia.
«È nata nel 1882 in una casa al civico 22 di Hyde Park Gate; suo padre, sir Leslie Stephen, fu un noto critico letterario. Virginia è stata allevata in un ambiente colmo di influenze della società letteraria vittoriana e, come prescriveva la regola educativa, non le è stato concesso di frequentare alcun istituto scolastico. La madre si premurò di darle lezioni di latino e francese, e il padre le consentì sempre di leggere i libri che teneva nella biblioteca del suo studio.. Lei e la sorella vivevano per intrattenere il padre e la sua cerchia di amici. Avevano come unico compito quello presentarsi in salotto o in sala da pranzo adeguatamente vestite e di servire il tè. Virginia e il fratello Thoby manifestarono subito la loro inclinazione letteraria e diedero vita a un giornale domestico, Hyde Park Gate News, in cui scrissero storie inventate dando vita a una sorta di diario familiare.. Quando il padre morì, lui che era il centro intorno al quale  ruotava tutta la famiglia, Virginia ebbe un esaurimento nervoso. Decisero così di vendere la casa di Hyde Park e trasferirsi in un quartiere allora malfamato: Bloomsbury. Qui, con i fratelli e la sorella Vanessa, si liberà dei legami vittoriani e potrà trovare uno spazio proprio in cui dedicare il giusto tempo allo studio e alla scrittura, arrivando addirittura a saltare il tè pomeridiano se lei o la sorella erano impegnate in altro. La forma così come la imponeva la società vittoriana dove erano cresciute lascia finalmente spazio all’intelligenza e al talento personale. In questa casa avvenivano serate uniche e stimolanti per Virginia, i fratelli invitavano i loro compagni di università e si parlava, si parlava tutta la sera. Nel suo diario Virginia non scriveva ho conosciuto tizio o caio, ma ho parlato con tizio e con caio. Non le interessava chi erano, ma cosa dicevano. Trovava affascinante ascoltare come queste persone sostenevano le proprie argomentazioni. Si parlava di tutto, anche di tematiche astratte, come la bellezza, il bene, la realtà. È così che nasce il circolo intellettuale noto come Bloomsbury Group.

Da qui ha inizio la sua carriera letteraria e la pubblicazione di La signora Dalloway, Gita al faro, Orlando, Le onde. Per citare i libri più conosciuti».

 

20170411 George Charles Beresford Virginia Woolf in 1902 Restoration

 

Lei però parla spesso, soprattutto durante le serate che organizza per parlare della Woolf, di Una stanza tutta per sè. Perché?

«Perché in questo saggio Virginia parla di tutte le questioni che riguardano le donne ancora oggi: desideri, delusioni, aspettative. Ha sostenuto a suo modo la lotta femminista e ha lottato contro la discriminazione verso le donne, soprattutto con il suo pensiero. Una discriminazione che c’è ancora, oggi come ieri. Per questo credo che le donne debbano ancora guardare a Virginia, come ad altre donne che hanno fatto molto per noi, prima di noi, per esserne ispirate, ma anche consigliate. In fondo, come diceva Simone De Beauvoir la donna è una costruzione sociale. In Una stanza tutta per sé vengono affrontati diversi temi. Già il titolo ci dice tutto, quella stanza, che una volta era proprio fisica, perché le donne non avevano uno spazio tutto loro, ed oggi è uno spazio metaforico, che le donne ancora non hanno, perché devono essere multitasking e ricoprire ruoli e stereotipi 24 ore su 24. Pensiamo a un uomo che fa un lavoro intellettuale: ha il suo studio e quando è nello studio si sa che non può essere disturbato; la mamma terrà lontano i bambini. Ma se è il contrario? Vale lo stesso rispetto dello spazio intellettuale? Troppo spesso il pensiero della donna è meno rilevante e può essere interrotto in qualsiasi momento. Le donne sono state allevate per secoli per essere solo delle buone mogli e madri, e oggi lottano ancora, magari per avere il diritto di non essere mamme o mogli, o semplicemente per non essere discriminate sul lavoro. Importanti pensatrici femministe come Luce Irigaray hanno denunciato come tutto l’impianto retorico sia al maschile. Se si universalizza si parla al maschile. Ma proviamo a fare un gioco, provate a portare al femminile quell’universale e nella vostra mente si formeranno delle immagini del tutto diverse. Ad esempio: il segretario. Penserete a una figura importante, come quello delle Nazioni Unite. Pensatelo al femminile, la segretaria. Vi verrà in mente qualcuno che prende gli appuntamenti. Provate così per il maestro, penserete a un regista, un direttore d’orchestra, e se lo declinate al femminile, penserete probabilmente alla maestra delle scuole elementari. Pensate al cuoco, vi verrà in mente uno chef blasonato e se pensate alla cuoca? Potremmo andare avanti con decine di esempi. Sono preconcetti sottili, ma esistono nella nostra mente. La battaglia femminista che è stata portata avanti fino agli anni ’70 ha soddisfatto dei bisogni delle donne, ora bisogna soddisfare i nostri desideri. Dobbiamo continuare a leggere le nostre madri pensatrici, le donne che ci hanno preceduto. È un modo per conoscere meglio noi stesse e per vivere meglio nel mondo».

Un altro aspetto per cui le piace Virginia?

«Il suo amore per la bellezza. Perché oltre al pane servono le rose, perché la bellezza porta bellezza, e sono le piccoli attenzioni che fanno la differenza e rendono le cose migliori. Uno dei suoi aforismi più popolari che ci parla proprio di questo è: Non si può pensare bene, amare bene, dormire bene, se non si è mangiato bene.. Un altro aspetto che amo è la sua concretezza. Faccio un esempio usando un’altra citazione dalla Stanza: “Il denaro dà dignità a ciò che è frivolo se non viene pagato”. Un concetto fondamentale per riconoscere la giusta dignità a ogni tipo di impegno.

Se volessimo cominciare a leggere la Woolf, da dove potremmo cominciare?

«Dipende, non c’è un libro da cui iniziare. Il mio libro preferito è Mrs Dallowey, la Signora Dalloway, anche se è uno dei suoi libri più difficili. In università accompagno gli studenti nella lettura delle prime pagine. Basta un orientamento iniziale, è come mostrare una casa, indicare dov’è la cucina, il bagno, la camera da letto, poi la si può girare da soli. Lo stile del monologo interiore può disorientare all’inizio. Consiglio la traduzione di Nadia Fusini o quella recentissima di Anna Nadotti».

Lei ha organizzato proprio a Monza il primo festival letterario in Italia dedicato alla Woolf.

«È un modo per far conoscere l’opera e il pensiero di Virginia e dare quell’introduzione, quella chiave di accesso che occorre per superare gli ostacoli del flusso di coscienza e dell’ipertestualità, perché la Woolf apre molte parentesi. Il festival è nato grazie alla collaborazione con Raffaella Musicò, che ha aperto la libreria Virginia&co in via Bergamo a Monza, e con Liliana Rampello, una critica e saggista che è tra le più grandi studiose di Virginia Woolf in Italia. Il festival, che s’intitola Il Faro in una stanza, si è svolto a novembre e ha avuto un successo di pubblico che non ci aspettavamo. Vi anticipo che stiamo organizzando la seconda edizione, che si terrà dal 24 al 26 novembre. Vorremmo mantenerlo a Monza, ma ci piacerebbe riuscire ad avere almeno il patrocinio del Comune questa volta…».

Lei ha 39 anni ed è ancora alle prese con il precariato.

Se fossi andata all’estero avrei probabilmente accorciato i tempi e sarebbe andata diversamente. Ma ho scelto la famiglia. Dopo la laurea ho intrapreso il dottorato, purtroppo non ho ottenuto la borsa di studio e mi sono mantenuta lavorando la sera. È stata dura, alla fine del primo anno ho avuto la labirintite. Ho concluso il mio dottorato alla Cattolica in Critica, teoria e storia della letteratura e delle arti nel 2006 con la pubblicazione di un libro, "Il paese della bellezza" - Virginia Woolf nelle riviste italiane tra le due guerre. Dopo questa grande soddisfazione c’è stato un momento di forte incertezza. Volevo restare in università ma non c’era alcuna garanzia. Ho cominciato con delle piccole collaborazioni. Seminari all’interno di corsi di altri docenti, ho seguito qualcosa come 70 tesi di laurea. Nel frattempo, facevo due lavori, insegnavo alla Civica scuola di lingue di Sesto, in un istituto professionale dall’altra parte di Milano, facevo ripetizioni e traduzioni, e poi è arrivato mio figlio e ho capito che non potevo fare tutto e andare avanti così. Nel 2013 è arrivato quello che desideravo: un assegno di ricerca. Finalmente potevo studiare e scrivere: era tutto quello che avevo sempre desiderato e nel 2015 è uscito “L'indimenticabile artista. Lettere e appunti sulla storia editoriale di Virginia Woolf in Mondadori”. Tra due anni il mio assegno di ricerca scadrà e forse sarò punto e a capo . Forse si aprirà un altro periodo di buio, ma non mi preoccupo, mi sono inventata una volta, posso farlo di nuovo. L’unica cosa in mio potere è continuare a studiare e a prepararmi, condividere la mia conoscenza e coinvolgere gli altri. Ora sto lavorando a una ricerca sulle influenze della Woolf su Jeanette Winterson, spero possa essere il mio terzo libro».

Intanto, Elisa è socia fondatrice insieme a Nadia Fusini, una delle maggiori esperte e traduttrici di letteratura inglese, dell’Italian Virginia Woolf Society. Anche in questo caso l’ha premiata il suo coraggio e la sua determinazione.

«A luglio 2015 ho partecipato a un convegno della Società woolfiana francese alla Sorbona e sapevo che avrebbe partecipato anche la Fusini. Aveva recensito il mio primo libro su Repubblica e mi sono fatta coraggio e ho pensato che sarebbe stata una bella occasione per conoscerla e portarle il mio secondo libro. Avevo un timore reverenziale e invece è una donna meravigliosa, abbiamo chiacchierato ed è venuta fuori l’idea di fondare l’Italian Virginia Woolf Society. E così mi sono data da fare, ci ho messo “solo” 18 mesi, ma alla fine, il primo febbraio abbiamo fondato la prima società italiana dedicata alla Woolf. Ha sede nella Casa internazionale delle donne di Roma, un luogo simbolico, e ora siamo pronte ad accogliere i soci per diffondere e promuovere il pensiero della Woolf e del Bloomsbury Group. È già attivo il sito internet: www.itvws.it».