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Siamo proprio sicuri che il fumetto abbia un proprio linguaggio autonomo? Il saggio di Daniele Barbieri

 

Disegni di Gipi

 

Meno di dieci anni fa il fumetto sembrava sull’orlo della morte. Poi l’inaspettata esplosione del fenomeno, certamente ad esso affine, della graphic novel non solo ha rianimato il morituro, ma ha fatto sì che molti giovani autori si lanciassero in questo segmento dell’anemico mercato editoriale italiano, forse un po’ snobbato dagli autori di un certo livello,  trovando anche un certo spazio. Qualcuno ha anche acquisito una discreta notorietà – e in particolare sto pensando a uno di loro – e altri si stanno affacciando alla ribalta.

Mi sembra in ogni caso interessante lanciare uno spunto di riflessione su questa arte ritrovata proponendo la lettura (o la rilettura) di un classico sull’argomento: I linguaggi del fumetto di Daniele Barbieri, un testo scritto anni fa e da allora sempre ripubblicato nella celebre collana “Strumenti” della Bompiani.

Lo scopo del saggio è quello di esplorare i rapporti tra il linguaggio del fumetto e gli altri linguaggi (cinema, letteratura e musica per esempio). Devo per forza schematizzare. 

Secondo Barbieri, un linguaggio può rapportarsi a un altro linguaggio in quattro modi: (1) Inclusione: quando un linguaggio fa parte di un altro linguaggio “più grande” che dunque lo include, e in questo senso si può per esempio ricordare come il fumetto faccia parte del più grande linguaggio della narratività; (2) Generazione: quando un linguaggio deriva in toto o in parte da un altro linguaggio, e in questo senso si può per esempio ricordare la derivazione del fumetto dall’illustrazione; (3) Convergenza: quando due o più linguaggi hanno delle aree espressive in comune, e in questo senso si può citare per esempio la coppia fumetto/caricatura; (4) Adeguamento: quando un linguaggio prova a riprodurre al proprio interno un altro linguaggio nel tentativo di utilizzare le possibilità espressive di quest’ultimo. Si tratta di un aspetto interessante su cui poi torneremo: a volte il fumetto non è in grado di riprodurre al proprio interno un altro linguaggio tout court in quanto questo è troppo differente, ma riesce comunque a ricostruirlo al proprio interno creando un insieme di caratteristiche che appaiono come caratteristiche del linguaggio a cui si è ispirato.

 

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Nel tentativo di esplorare i rapporti tra diversi linguaggi e il linguaggio dei fumetti, Barbieri divide il libro  in tre grandi sezioni: (1) linguaggi d’immagine; (2) linguaggi di temporalità e (3) linguaggi d’immagine e di temporalità.

Nella prima sezione (linguaggi d’immagine) vengono esplorati i rapporti tra fumetto e illustrazione, caricatura, pittura, fotografia e grafica. Vengono dunque trattati con accuratezza i problemi dell’organizzazione dello spazio nella pagina, ma anche i problemi delle tecniche grafiche e delle loro potenzialità espressive, della resa della profondità e dell’inquadratura. Sarebbe sicuramente tedioso ripercorrere qui tutto il discorso, che è un po’ manualistico ma che comunque potrebbe risultare interessante per chi deve darsi per esempio un’infarinatura generale sull’argomento. Provo a stilare un sommario di quanto riportato in questa sezione: (a) Per quanto riguarda l’illustrazione, si parla della tessitura e della modulazione della linea. Ma anche di come si stampa un fumetto, e con quali strumenti (pennino, pennello, china, acquerello, matite, tecniche miste) lo si produce. Non sono solo tecnicismi. In definitiva la curiosità prepara la conoscenza; (b) Per quanto riguarda la caricatura, si parla dei fumetti comici, dei fumetti d’azione e di quelli espressionisti; (c) Per quanto riguarda la pittura, si parla dell’importante questione della prospettiva; (d) Per quanto riguarda la fotografia, si parla di un’altra importante questione: l’inquadratura e il punto di vista; (e) Per quanto riguarda la grafica, si parla dello schema e dell’equilibrio della pagina, del suo ritmo, i rumori, i balloon, le didascalie, il lettering.

Nella seconda sezione del libro (linguaggi di temporalità) vengono esplorati i rapporti tra fumetto e poesia, musica e letteratura. Vengono dunque trattati i problemi di ripetizione e modulazione, di armonia e di polifonia oltre che di strutture testuali. Si tratta di una sezione molto breve, poco più di dieci pagine, non molto riuscita. Molto teorica e poco pratica.

Nella terza sezione del libro (linguaggi d’immagine e di temporalità) vengono esplorati i rapporti tra fumetto e la coppia cinema/teatro. Due arti, queste ultime, dove sono importanti – come nel fumetto – sia la dimensione spaziale sia quella temporale. I problemi trattati sono dunque quelli della resa del movimento nel fumetto e dell’organizzazione delle sequenze.

 

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Io non voglio annoiare nessuno. I rapporti tra cinema e fumetti sono abbastanza evidenti, non solo e non tanto a livello di storie ma a livello, diciamo così, di tecnica narrativa. Pensate al campo-controcampo così utilizzato nel fumetto, ma che è di chiara derivazione cinematografica. D’altronde il cinema è nato alla fine dell’Ottocento, mentre il fumetto così come lo conosciamo è nato alla fine degli anni Venti del Novecento, cioè pochi decenni dopo, ed è quindi inevitabile che un linguaggio si sia appoggiato sull’altro.

Meno scontati, e che necessitano di una maggiore riflessione, sono invece i rapporti tra il teatro e i fumetti. Sono di gran lunga le pagine più interessanti, e ancora attuali, del saggio di Barbieri. Cedo volentieri la parola all’autore, apportando purtroppo molti tagli per ragioni di spazio:

“Il linguaggio del teatro prevede una serie di modi quasi standard per esprimere determinate situazioni o emozioni. […] Per quello che riguarda i fumetti, esiste una loro caratteristica strettamente analoga a questa canonizzazione delle espressioni teatrali. […] In molti fumetti […] le espressioni e le situazioni sono [infatti] in larga parte canonizzate, stereotipizzate in standard facilmente riconoscibili. […] Il teatro condivide con il fumetto un’esigenza di concisione e di chiarezza su alcuni elementi fondamentali: emozioni e situazioni devono essere facilmente comprensibili da parte del pubblico. […] Vi è [...] un tipo di fumetto […] in cui l’impronta del teatro […] è rimasta [decisamente] forte. Mi riferisco ai fumetti di supereroi americani, la cui tendenza ai lunghi monologhi e alla forte presenza dei dialoghi ha una forte relazione con la classica necessità teatrale di esprimere con la parola quello che l’azione non può mostrare. […] Sembra […] che i loro personaggi non possano fare a meno di esprimere a parole tutto quello che sentono sia […] quando interagiscono con altri personaggi sia […] quando agiscono in assoluta solitudine”

È vero, i supereroi dei fumetti in alcune vignette si fermano, mettono una mano sotto il mento, e partono con un bel monologo interiore. Daniele Barbieri ritiene che l’origine di ciò debba essere ricondotta agli inizi degli anni Sessanta quando la Marvel Comics lanciò sul mercato supereroi con problemi personali, in particolare l’Uomo Ragno e l’Incredibile Hulk.

Il successo dei nuovi personaggi fu in buona parte dovuto al fatto che essi avevano un’interiorità, ma per dimostrare di averla dovevano per forza parlare – e quindi fare monologhi – perché esprimere l’interiorità in altro modo, per esempio evocarla attraverso le situazioni, avrebbe tolto troppo spazio all’azione.

In sede di conclusione, come giudicare il testo che abbiamo davanti?

Bisognerebbe fare innanzi tutto un discorso sulla collana in cui è inserito, la celebre “Strumenti” della Bompiani. La collana è meritoria, e consente di leggere agili sintesi predisposte da noti cultori della materia, ma andrebbe in alcuni casi aggiornata.

 

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L’opera di Barbieri è un testo tutt’ora riproposto in questa collana. Ha la pecca di essere molto schematico, forse troppo, e la sua struttura è anche farraginosa (la prima parte, quella che riguarda il tipo di rapporti tra linguaggi, poteva essere trattata senza ricorrere a una struttura discorsiva così articolata), al contrario di quanto invece avviene per altri testi della medesima collana, che sono molto più leggibili di questo. Ma quello di Barbieri è un testo che appare soprattutto datato. La sua prima edizione fu pubblicata infatti dei primi anni Novanta, e non mi pare che da allora sia stato rivisto.

Tanto per dire, nel testo non viene mai citato Dylan Dog, che pure – se non era ancora stato rivalutato dalla critica – già allora godeva di un pubblico notevole. In ogni caso è incomprensibile l’idiosincrasia dimostrata dall’autore nei confronti di tutti gli altri eroi della Bonelli che in quel momento avevano alle spalle una lunga storia nelle edicole e a cui era stata già dedicata una cospicua produzione scientifica.

Inoltre Barbieri alla fine del saggio sostiene che l’avanguardia del fumetto degli anni Settanta andava spegnendosi e con essa si spegneva l’idea che il centro dell’attenzione fosse il linguaggio.

LdFCoverSe questa osservazione poteva essere azzeccata alla fine degli anni Ottanta, oggi, con l’esplosione del fenomeno della graphic novel, dovremmo riconoscere che le carte si sono ancora una volta rimescolate.

Daniele Barbieri, I linguaggi del fumetto, Bompiani, pp. 310, 16,00 euro

 

 

 

 

Gli autori di Vorrei
Juri Casati
Juri Casati

Classe 1975, lavora in un'Agenzia per il Lavoro. Laureato in Filosofia, è autore di numerosi racconti di genere horror, gotico, fantastico e fantascientifico. Coltiva interessi in ambito storico e di filosofia della scienza

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