cover maledetta dopamina

BandAutori 49. Nel primo numero del 2017 il noise rock strumentale dei Maledetta Dopamina, atipico trio brianzolo. Con "Libri che suonano" indaghiamo il rapporto tra Giorgio Gaber e Re Nudo.

Maledetta Dopamina “Maledetta Dopamina” (Dischi Bervisti/I Dischi del Minollo/Moquette Records/Koe Records)

Per una volta parliamo di una proposta musicale proveniente dalla terra di elezione di Vorrei, cioè la Brianza. I Maledetta Dopamina sono un trio formato dai fratelli Lorenzo e Luca Novati assieme a Luca Scattaretica, vengono geograficamente dalle terre tra Lecco e Monza ma musicalmente dall’America rumorosa e più o meno underground che ha tenuto alte le sorti del rock negli ultimi 20-25 anni. Il loro disco d’esordio omonimo è in uscita a fine gennaio per l’etichetta Dischi Bervisti, fondata qualche anno fa da Nicola Manzan per produrre le uscite del suo progetto Bologna Violenta e ora aperta anche ad album di altre band da lui ritenute meritevoli, in collaborazione con altre tre label attive in ambito indipendente. Ed è proprio Manzan ad impreziosire con il suo arrangiamento di viola e di violino “Toro sedato”, uno dei brani migliori dell’album. In tutti gli altri pezzi i tre brianzoli fanno invece tutto da soli, aiutati in sede di mastering da Giovanni Versari, facendo valere al meglio le peculiarità sonore della loro formazione: non siamo infatti di fronte al classico power trio chitarra-basso-batteria, ma a due batteristi e un bassista. I brani, tutti strumentali, che scaturiscono da questo strano trio non possono che essere secchi e nervosi, aggressivi e violenti: a tratti sembra di sentire la sezione ritmica dei Jesus Lizard lanciata a folle velocità come ai bei tempi (vedi “Fuga”) oppure quella dei Queens Of The Stone Age meno pop degli esordi (ad esempio in “Brotos”), che è comunque un bel sentire. Altrove emergono più chiare influenze math rock, quando gli intrecci ritmici si fanno più arzigogolati, come in “Messa a terra”. “Maledetta Dopamina” è dunque un disco con la giusta dose di nostalgia per un rock che forse non c’è più ma al tempo stesso con la necessaria dose di creatività, merce rara per un esordio. Voto: 7 (Fabio Pozzi)

TOP 5. Tra i dischi di ieri e di oggi

Boosta “La stanza intelligente” (Voto: 5), Flaco Punx “Coleotteri” (Voto: 8), Valter Gatti “Southland” (Voto: 7.5), David Riondino & Open World Jazz Quartet “Il bolero come terapia” (Voto: 5), Cristina Zavalloni With Uri Caine “The Soul Factor” (Voto: 8.5) – Massimo Pirotta

Cabeki “Non ce la farai, sono feroci come bestie selvagge” (Voto: 7), Paolo Conte “Amazing Game” (Voto: 7,5), Roberto Fabbriciani/Jonathan Faralli “Il soffio sulla pelle” (Voto: 6,5), Metamorfosi “Purgatorio” (Voto: 6,5), Il rovescio della medaglia “Tribal domestic” (Voto: 6) – Fabio Pozzi

 

NOVITA’ E RISTAMPE DISCOGRAFICHE

AA.VV. “Paolo Sorrentino: Music For Films” (5cd boxset), Baustelle “L’amore e la violenza”, Blindur “Blindur”, Christadoro “Christadoro”, Eneide “Uomini umili, popoli liberi” (Lp), Guido & Maurizio De Angelis “Roma violenta” (Lp), Jacopo Ferrazza Trio “Rebirth”, Luca Vagnini “L’invisibile”, Mannarino “Apriti cielo”, Marcello Giombini “Computer disco” (Lp), Mario Biondi “Handful Of Soul. Special Edition” (Lp), Mirco Mariottini “Visioni in musica”, Pietro Berselli “Orfeo l’ha fatto apposta”, Stelvio Cipriani “Mark il poliziotto” (Lp), Teresa De Sio “Teresa canta Pino”, Tony Marciano “Ragazzo del Sud” (a cura di Massimo Pirotta)

LIBRI CHE “SUONANO”. Un estratto

gaber re nudo

Al lettore di oggi potrà sembrare normale che un intellettuale raffinato come Giorgio Gaber potesse intrattenere relazioni di scambio, dibattito, amicizia con un esponente della controcultura italiana degli Anni 70 come Andrea Valcarenghi (poi divenuto Majid). Basta riascoltare la densità di contenuti delle sue melodie che custodiamo nei più preziosi scaffali della nostra memoria. Dunque è perfino ovvio figurarci un Gaber proteso all’incontro con pensatori di minoranza, lontanissimo dallo star-system. Disinteressato alla televisione, sempre in ricerca… E invece normale non lo era affatto. Perché all’inizio degli Anni 70 Giorgio Gaber – più ancora di Dario Fo – era uno dei personaggi più famosi e amati d’Italia, cantante popolarissimo, ricco, invidiato, fotografato, omaggiato. Dappertutto te lo saresti potuto immaginare tranne che nelle sedi polverose del movimento femminista o al fianco di pensatori alternativi dall’aspetto – per limitarci a un eufemismo – decisamente trasandato. Gaber salutava il “dorato mondo dello spettacolo” ma, a differenza di altri, sfuggiva pure i salotti  prestigiosi dell’intellighenzia di sinistra. Poteva ben considerarsi un uomo appagato, ma nello stesso tempo era anche un uomo tormentato. Sapeva di avere già ricevuto moltissimo dalla vita, ma se pensava a forme di restituzione certo non le avrebbe mai interpretate come militanza o come beneficenza. Così i dialoghi fra Valcarenghi e Gaber testimoniano un passaggio cruciale: l’avvio di una ricerca intorno e dentro di sé da parte di un uomo così saggio da riconoscere i benefici, ma anche la futilità del proprio successo. L’incontro con Valcarenghi, ma anche con altri pensatori appartati e originali – favorito da un discografico dal nome illustre e dalle aspirazioni simili come Nanni Ricordi – avrebbe dato esiti imprevedibili. Chi lo avrebbe mai detto che nell’appartatezza Giorgio Gaber sarebbe riuscito a conservare un rapporto solidissimo con il suo grande pubblico. Trascinandolo a faticare intorno ai contenuti dei suoi spettacoli, non a caso da quel momento in avanti concepiti per il teatro. Di modo che anche ascoltando il disco, la singola canzone, tu dovessi sempre viverla come parte di un percorso articolato. Ben presto si modificò il rapporto del cantante con il suo pubblico, sempre più coinvolto e partecipe. Nel giro di pochi anni l’icona della canzonetta popolare poteva concludere il Festival di Re Nudo del Parco Lambro rivolgendosi – come dice giustamente Gaber – non alla massa enorme dei centomila lì accampati, ma individualmente a ciascuna persona componente della massa. Che liberazione riconoscere insieme a lui che l’io, l’attenzione alla dimensione intima delle nostre esistenze, non comportava una scelta egoistica. Ma al contrario era l’unico fondamento efficace di uno stare insieme diverso. (introduzione di Gad Lerner a “Giorgio Gaber su Re Nudo. Articoli e interviste 1972-2002” a cura di Majid Valcarenghi e Antonio Priolo, Edizioni Re Nudo 2007)

Gli autori di Vorrei
Fabio Pozzi & Massimo Pirotta