Fotoreporter e uomo politico del sud Italia. Pugliese di nascita e lucano per scelta. Attivista del PCI, si è dedicato con passione, sincerità e meticolosità alle vicende della cultura e della vita contadina di quelle terre che Cristo aveva dimenticato di raggiungere.
Nel raccontare questa storia ci prendiamo il carico di responsabilità di chi arriva tardi, la colpa di non averlo fatto prima, quando Domenico, anzi più familiarmente, Mimì Notarangelo non era ancora memoria da celebrare ma persona da ascoltare.
Il suo nome lo riporteremo più volte in queste righe perché vogliamo che resti, ormai, immanentemente.
Mimì Notarangelo era un uomo politico del sud Italia. Pugliese di nascita e lucano per scelta. Attivista del PCI e dirigente locale della FGCI (Federazione Giovani Comunisti Italiani), si è dedicato con passione, sincerità e meticolosità alle vicende della cultura e della vita contadina di quelle terre che Cristo aveva dimenticato di raggiungere.
Mimì Notarangelo era un giornalista. L’Unità lo aveva scelto come corrispondente e lui ha portato avanti questo incarico dal 1960 al 1975 diventando una firma stabile della testata nazionale in quegli anni.
Mimì Notarangelo era un fotoreporter. Proprio dalle necessità legate alla carta stampata e al racconto delle storie che dovevano essere analizzate, affrontate, diffuse, ha maturato un imponente archivio fotografico, storico e documentaristico.
Mimì Notarangelo nutriva un certo amore per il cinema che non rimase passivamente relegato in una sala di proiezioni ma che si tradusse in collaborazioni privilegiate. La prima occasione si presentò quando, nel 1964, prese parte al celebre Vangelo secondo Matteo che Pasolini stava girando a Matera. Per il regista fu consulente del casting per le comparse ma anche comparsa egli stesso. Sotto la veste da centurione nascose la sua macchina fotografica che usò abilmente permettendo a quelle immagini rubate di diventare, poi, icone. Collaborò, inoltre, con Francesco Rosi al suo Cristo si è fermato a Eboli e al film Tre fratelli in qualità di esperto del mondo contadino e delle tradizioni popolari per le scelte sceniche e scenografiche. Si contano altre collaborazioni cinematografiche con Vittorio Taviani, Liliana Cavani, Luigi Zampa, Brunello Rondi, Lino Miccichè e altri. Nei suoi scatti li ritroviamo tutti i protagonisti di quel cinema: Gian Maria Volontè, Nino Manfredi, Susanna Colussi, oltre a, naturalmente, Francesco Rosi e Pier Paolo Pasolini.
Una parte del suo archivio fotografico è raccolta e pubblicata dal Museo Virtuale della Memoria Collettiva che consente un accesso immediato, libero e trasversale a una parte minima dell’imponente lavoro storiografico e antropologico del reporter.
David Grieco ricorda la gran quantità di istantanee del fotografo lucano che in casa Pasolini facevano bella vista sugli scaffali delle librerie. “Di tutte quelle che ho visto non ce n’era una che non fosse estremamente intensa e significativa. Per me vale Cartier-Bresson, vale persino Salgado”, dice.
Mimì Notarangelo era uno scrittore. E a questo punto vogliamo dare respiro al suo operato e al suo pensiero.
In una mano la storia millenaria dei santi padri contadini è il titolo di una sua fotografia scattata nel 1968 ad Aliano ed inserita nel volume E fu subito Lucania. 50 anni di fotografia quando il mondo era ancora in bianco e nero.
In quella mano la storia di un popolo e della sua elezione contadina.
Non è un caso che abbiamo voluto riferirci a questo scatto che per noi rappresenta, con forza dirompente, la civiltà rurale ed è proprio quella cultura che, stratificata nei secoli attraverso il tramandarsi di saperi, a nostro avviso, rappresenta la poetica del lavoro di Notarangelo.
In premessa al volume, Goffredo Fofi intitola il suo contributo Prima del genocidio del mondo contadino perché è proprio di questo che Domenico Notarangelo si è occupato, documentandolo sulle pagine dell’Unità. È proprio la Lucania che ha amato profondamente, quella terra che lui definiva di fatica e dolore, la terra “della brava gente sempre in lotta per il riscatto” che a lui premeva raccontare.
Notarangelo ha il grande merito di aver documentato la civiltà contadina lucana seguendone la progressiva scomparsa. Un processo che è andato di pari passo con politiche di industrializzazione approssimative e con la scoperta dei giacimenti di gas che hanno creato nuovi pretesti per guardare a queste terre come si guardavano le colonie da sfruttare.
Notarangelo ha amato la Basilicata al punto da trasferirvisi nei primi anni Cinquanta documentando, con il suo lavoro di fotoreporter, più di mezzo secolo di storia lucana. Ha iniziato a fotografare per completare i suoi articoli per L’Unità avvertendo, poi, in modo sempre più stringente, l’urgenza di narrare una cultura che proprio in quegli anni iniziava a tramontare. Un crepuscolo che sembrava volesse più celare e cancellare, con l’atteggiamento che si assume davanti a cose vergognose. Mimì, invece, gli ha dato luce.
Nelle fotografie in bianco/nero di Notarangelo ci sono i contadini, i braccianti, gli artigiani, le donne, i bambini, la gente di Grassano, Aliano, Ferrandina, Miglionico, Policoro, Accettura, Matera, Pomarico, Irsina, Pisticci, Avigliano, Bernalda, Tursi e tutti quei paesi sparuti sul territorio lucano, in zone marginali o arroccate su terreni franosi, tra i calanchi e la grandi valli come quella del fiume Agri.
Quella mano del contadino lucano ci riconnette a un mondo che nell’Italia unita, in quella fascista, in quella democratica, in quella modernista, è rimasto periferia di cui occuparsi in modo non organico, non puntuale e non circostanziato.
Per i contadini le principali minacce erano “la grandine, le frane, la siccità, la malaria, e c’è lo Stato”. Così dicevano quelle facce lucane che Notarangelo ricercò per Rosi e, attraverso lui, per Levi. Così pensavano. Così era.
Rispetto a tutte queste lunghe premesse, ci preme dire che a Mimì Notarangelo va un altro grande merito su tutti: quello di averci restituito la dignità e la forza di tutti coloro che hanno saputo lottare per i loro diritti fondamentali. Le individualità e la collettività.
Dalla lettura dei suoi scatti viene fuori, con uno spirito antitetico rispetto a certe visioni disfattiste del Sud e della Basilicata storica, il ritratto di un popolo umile ma non rassegnato, che non è massa ma che è identità, coscienza e appartenenza.
E allora eccole lì le manifestazioni popolari per il lavoro e la mancanza di servizi (manifestazione a Marsico Nuovo nel 1962 contro la soppressione della ferrovia), per l’aumento delle pensioni (di grande impatto emotivo la foto delle donne in corteo ad Irsina nel 1965), a difesa dell’ecosistema del territorio (rivolta popolare contro la Liquilchimica a Pisticci nel 1974), contro il terrorismo e i nuovi partiti di destra (corteo per lo scioglimento del MSI a Matera nel 1970).
Dice bene Ferdinando Mirizzi nella postfazione all’ultima pubblicazione di Notarangelo quando scrive: le singole figure e i gruppi ritratti da Mimì, i suoi primi piani (…) paiono comunicare un senso di fiducia nell’avvenire e voler affidare alla testimonianza del fotografo un messaggio di speranza. (…) Non c’è lo stereotipo visivo della Basilicata come terra arretrata ed esotica prodotta dalla fotografia che potremmo definire ‘sociale’, degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento (…) ma un mondo che si apriva al cambiamento.
Il suo imponente archivio è stato sistematizzato e custodito con cura e professionalità da Domenico stesso, che credeva fortemente nell’importanza e nella divulgazione di questo voluminoso materiale documentale e fotografico.
Gli eredi (ovvero i figli Peppe, Antonio e Mario) sono attualmente impegnati in nuovi tentativi con le istituzioni lucane, e materane nello specifico. “Recuperare, inventariare, restaurare, digitalizzare, rendere fruibile ed utilizzabile tutto ciò che ha raccolto non è però cosa semplice” sottolinea Peppe “ci vuole il lavoro di persone competenti, tempo, spazi e soprattutto soldi perché l'Archivio Notarangelo diventi realtà. Lui l'avrebbe donato, affidato, destinato al Comune di Matera ma non ha mai trovato disponibilità e forse interesse. Da un anno circa mi sto impegnando a mettere d'accordo Ministero dei Beni Culturali, Regione Basilicata, Comune di Matera e altri soggetti per concretizzare questo. Credo di aver dimensionato un progetto realizzabile e ho trovato la disponibilità di molti perché questo si concretizzi”.
Dunque, in una città che peraltro si sta preparando a ricoprire il ruolo di capitale europea della cultura, ci auguriamo che si recuperi, si accolga, ci si prenda cura di questo illustre figlio. Se c’è un senso nell’essere e sentirsi Europa, questo va ricercato nel racconto della propria, specifica, preziosa provincialità e identità. Gli scrigni che finora hanno conservato le storie hanno, ora, bisogno di essere aperti per meravigliare o anche solo per rendere noto.
Allora, sì, Mimì Notarangelo non sarà più memoria da celebrare ma tornerà ad essere persona da ascoltare.
Pubblicazioni di Domenico Notarangelo
- Il Maggio di Accettura, 1975, Ed. Liantonio, Palo del Colle
- La stampa periodica Lucana 1944-1994, 1995, Ed. Osanna, Venosa
- Matera promozione, 1997, Ed. Paternoster, Matera
- Giornali e giornalisti a Putignano, 1999, Ed. Schena, Fasano
- San Michele e Sammichele, 1999, Ed. Schena, Fasano
- I sentieri della Pietà, 2000, Ed. Schena, Fasano
- Tutto in un ricordo, 2003, Ed. Levante, Bari
- Giornali e giornalisti a Gioia del Colle, 2004, Ed. I.G.B., Santeramo in Colle
- Il gioco dell’oca di Matera, 2007, Ed. Arteprint, Matera
- Il Vangelo secondo Matera, 2008, Ed. La città del sole, Reggio Calabria
- Con Francesco Rosi nella Matera di Carlo Levi, 2011, Quaderni di CinemaSud, Atripalda
- Da Carlo Levi a Franco Rosi, 2011, Ed. Calice, Rionero in Vulture
- C’ero anch’io, 2012, Ed. Calice, Rionero in Vulture
- La Rivoluzione Napoletana del 1799 in Puglia e Basilicata, 2013, Ed. Cerabona, Torino
- Pasolini Matera, 2013, Ed. Giannatelli, Matera
- K’r’spett, il dialetto di Sammichele di Bari, 2013, Ed. Giannatelli, Matera
- E fu subito Lucania, 2015, Ed. Giannatelli, Matera
a queste pubblicazioni se ne aggiungeranno presto, speriamo, altre cinque che Mimì Notarangelo ha lasciato e che sono ancora inedite