Nel corso della presentazione del suo ultimo libro, alla libreria Feltrinelli di Monza, la poetessa Vivian Lamarque ha incontrato lettori e studenti, intavolando un dialogo interessante sulla poesia, con una nota finale anche sul silenzio del poeta
V
icina al mondo, nel mondo. Così deve essere la vera poesia, nelle parole che l'autrice Vivian Lamarque ha rivolto ai molti lettori e studenti accorsi per la presentazione del suo ultimo libro, Madre d'inverno (Mondadori 2016), lo scorso mercoledì alla libreria Feltrinelli di Monza. Soprattutto ai giovani liceali, accorsi in buon numero per ascoltarla, la poetessa ha ricordato l'importanza della lingua nella scrittura: una lingua che sia vera, reale, del tutto avulsa dal "poetichese" che spesso si impara a scuola.Pubblicata nella prestigiosa collana degli Oscar Mondadori dal 2002 e vincitrice di premi come il Viareggio Opera Prima e il premio Andersen, Vivian Lamarque è poetessa, autrice di fiabe e traduttrice, tra gli altri, di Valéry, Baudelaire e La Fontaine. Nel panorama letterario contemporaneo è una figura particolare, poiché ha dedicato una parte importante del suo lavoro a due categorie di persone: gli stranieri, con l'insegnamento, e i bambini, con molti dei suoi libri. Come a dire, forse, che chi fa letteratura deve imparare a guardare il mondo con gli occhi di chi è, per così dire, più fragile. «Le voci poetiche contemporanee sono per fortuna assai diverse tra loro – commenta al riguardo – la mia lingua, è vero, batte spesso dove duole il male del mondo, sia dell'uomo che del regno vegetale e animale; cito sempre Foscolo: “questa bella d’erbe famiglia e d’animali”».
Proprio la fragilità, in fondo, costituisce il tema portante dell’ultimo libro, Madre d’inverno: partendo dal tramontare di sua madre in un letto d’ospedale, l'autrice guarda soprattutto alla feribilità dell’ultima fase della vita, ai vecchini che cadono continuamente come bambini. «E naturalmente – aggiunge – regna il tema del tempo che se ne va, anzi, come è stato scritto, lui resta: siamo noi che ce ne andiamo».
Con maestri come Saba, Caproni, Penna, la semplicità dei suoi versi è un'orgogliosa rivendicazione, oltre che un dato critico ormai assodato. Una semplicità, beninteso, sempre declinata con consapevolezza tecnica. Illuminante, al riguardo, la risposta fornita a una ragazza che le chiedeva se il poeta vero "manipola" i propri versi, oppure, una volta scritti, deve lasciarli così com'è: «Il poeta, come lo scultore, interviene e reinterviene, ancora e ancora e ancora. Scrivere significa cancellare qualcosa di preesistente, che però poi trova sempre il modo di tornare».
Quella praticata da Vivian Lamarque è insomma una poesia che incita a non essere indifferenti: «Di più – aggiunge lei stessa – è un incitare al sentimento, alla capacità di sentire il mondo e le persone intorno a noi».
E il silenzio? Ne ha mai avuto bisogno? A questa domanda, da parte di una studentessa, l'autrice ha risposto con semplicità disarmante: «Sì, il silenzio è necessario quando la vita incalza e non lascia il tempo per pensare in versi». Del resto, se la poesia deve essere nel mondo e nella vita, per il poeta sarà necessario immergersi nel flusso e lasciarsene sommergere per un po'. Senza contare che spesso la vera cifra del poeta può essere proprio il silenzio, più che il parlare, come lascia intendere l'autrice stessa con questi versi:
Bambina muta
col punto erba
col punto croce
diligente cuciva
la bocca, faceva
il nodo.