BandAutori 40. Numero speciale con un “raccolto” a più voci e tra i libri “che suonano” a 40 anni di distanza dall’ultimo Festival di Re Nudo tenutosi al Parco Lambro di Milano. Che ancora oggi fa discutere. Come titoli di coda, due playlist targate Anni 70
Preamboli per l’occasione. La musica negli Anni 70 era soprattutto all’aria aperta.. Anni di piombo, ma anche come ebbe a dire, Roberto “Freak” Antoni: anni di pongo. Musica e candelotti e segue dibattito. Nel bel mezzo, “Re Nudo”, un mensile che pubblicò il suo primo numero nel dicembre ’70 e che tentò di essere un collante tra tutto quello che bolliva in pentola. Grafica che pesca dall’underground americano, scritti su psichedelia, sentire libertario, liberalizzazione delle droghe leggere, musiche “altre”, India, provos olandesi. Una matassa da sbrogliare: il rapporto di amore e odio con la nuova sinistra italiana di allora, più o meno, tutta sotto i vessilli della dottrina marxista. Alcune cose si possono fare insieme, altre nemmeno se ne parla. Quando il cammino è comune non è più solo musica. Perché altri ingredienti vengono aggiunti. Che sono, in egual misura, diavolo e acqua santa. In parallelo: Stampa Alternativa, le molotov all’arrivo dei Led Zeppelin/Cantagiro e di Lou Reed, un De Gregori “processato” al Palalido, misticismo e dottrina politica. “Re Nudo” vuole il suo Festival e se lo auto-organizza. La prima volta è nel ‘71 a Ballabio, nei pressi di Lecco. Ci si arrangia, il palco è quello che è, ma la voglia di qualcosa di diverso è palpabile: arrivano in 10mila. L’anno dopo si fa il bis. Ci si sposta a Zerbo, in provincia di Pavia, gli avventori aumentano, sono circa 20mila. Non c’è due senza tre, quindi località Alpe del Vicerè, a pochi chilometri da Erba. Gli artisti sul palco sono di varia estrazione, alcuni “saranno famosi”, l’atmosfera è tutta sacchi a pelo, ragazzi e ragazze giovanissimi che per la prima volta nella loro vita non faranno rientro a casa, ci sono capelloni e donne disinibite e di conseguenza, guardoni, refrattari, chi battibecca: “Siamo noi i rifiuti della società o siete voi la società dei rifiuti?”. Al di là di mai sopite divergenze, tutta fila liscio e nel nome della reciproca tolleranza. La svolta, avviene nel ’74 quando il Festival sbarca a Milano. Nel giro di pochi anni, molte cose sono cambiate. Il conflitto sociale è esploso ed imploso, le linee di demarcazioni sono sempre più nette, le diverse ideologie impongono severità comportamentali. Per qualche giorno si va al parco. Che è un parco per modo di dire, tanto è lasciato andare. L’approdo metropolitano diventa sempre più di massa, a prevalere più che i pruriti esistenzialisti che avevano caratterizzato le prime edizioni sono i comportamenti stagni, le sfaccettature delle diverse bandiere e delle sigle. Anche questa volta “cambiamo la musica, cambiamo la società” regge, unifica, va alla grande. Passa solo un anno e ulteriori malesseri covano sotto sotto. Il personale è politico (lo è sempre stato, ma adesso sembrano accorgersene quasi tutti), cominciano ad affiorare contraddizioni, la dottrina politica diviene tabù, emerge la difficoltà nel tracciare percorsi comuni. Anche se si è sempre di più nello stesso posto C’è il biglietto non è più a gratis. Qualche sbofonchio diventerà presagio. Il patatrac succede l’anno dopo: l’organizzazione non regge l’enorme afflusso di centinaia di migliaia di persone (con altrettante storie uguali e disuguali). Difficile capire se si è finiti in una “zona liberata” o in una “riserva indiana”. Tenuta sotto controllo dalle forze dell’ordine, non aiutata minimamente dal Comune (né acqua, né tutto), e poi, potrebbe capitare che pure piova. Governo ladro. E’ caos generalizzato. E si finirà sempre per rimarcare quei giorni che vanno dal 26 al 30 giugno ’76. Tutto quel “prima” costretto quasi all’oblio. Chi si ripiglierà dalla scossa, perché di quello si trattò, e chi finirà in trappola. Una bestia nera chiamata eroina. Che chissà come mai si poteva recuperare con incredibile facilità. E il pensiero va all’annientamento delle Black Panther negli Stati Uniti. (m.p.)
Nelle varie edizioni del Festival sono saliti sul palco: Acqua Fragile, Aktuala, Analogy, Area, Arti & Mestieri, Donatella Bardi, Banco del Mutuo Soccorso, Franco Battiato, Edoardo Bennato, Biglietto per L’Inferno, Angelo Branduardi, Roberto Cacciapaglia, Alberto Camerini, Canzoniere del Lazio, Capsicum Red, Ivan Cattaneo, Eugenio Finardi, Giorgio Gaber, Garybaldi, Francesco Guccini, Jumbo, Loy & Altomare, Giovanna Marini, Pino Masi, Napoli Centrale, Perigeo, P.F.M., Paolo Pietrangeli, Alan Sorrenti, Trip, Antonello Venditti, Yu Kung, quelli che troverete leggendo più avanti e moltissimi altri ancora. Ma come precisa Piero Milesi, produttore di Faber: “A Parco Lambro è’ mancata la presenza di uno come Fabrizio De Andrè, lui che usava concetti molto alti, ma non voleva suonare dal vivo”.
Immagine tratta da "Prima che la vita...", docu-film di Felice Pesoli
6^ FESTA DEL PROLETARIATO GIOVANILE
PARCO LAMBRO, MILANO
E siamo tutti insieme ma ognuno per sé. La ricomposizione si sogna ma non c’è, ognuno nel suo sacco o nudo tra il letame, solo come un pulcino, bagnato come un cane”. (da “Un tranquillo festival pop di paura” di Gianfranco Manfredi)
Dal 26 al 30 giugno 1976, al Parco Lambro di Milano si tiene la sesta “Festa del proletariato giovanile”. E’ organizzata sempre da “Re Nudo” con l’appoggio di Partito radicale, Lotta continua, IV Internazionale, Falce e martello, e le riviste “Rosso”, “A rivista anarchica”, “Umanità nova”. Migliaia di giovani giungono da ogni parte del Paese. Si cerca il proletariato giovanile, ma non c’è, non arriva. In compenso calano a Milano i figli del Boom economico, del benessere e della media borghesia italiana. Per quattro giorni, quel parco della periferia di Milano si trasforma in una piccola Woodstock all’italiana. Sul palco si esibiscono, tra gli altri, Area, Canzoniere del Lazio, Eugenio Finardi, Sensation’s Fix, Ricky Gianco, Agorà, Toni Esposito, Don Cherry. Tre radio libere milanesi (Milano Centrale, Monte Stella, Canale 96), tramite un ponte radio, trasmettono per la prima volta collegamenti in diretta dalla Festa. Alcuni militanti di “Rosso” e dei Collettivi Autonomi organizzano espropri all’interno e all’esterno del Festival: assaltano il furgone della carne e al chiosco ristorante “La Capanna dello Zio Tom”, distruggono lo stand del collettivo omosessuale Fuori, irrompono nel supermercato di via Feltre e le cariche della polizia lambiscono il parco a pochi metri. Le assemblee si moltiplicano sul palco centrale e su quello cosiddetto “libero”. Si bruciano le bustine di eroina sequestrate a un povero tossicodipendente dopo un potente pestaggio del servizio d’ordine. Il parco viene invaso da cortei di ragazzi e ragazze nudi che battono lattine. Gli artisti vengono fischiati, contestati oppure osannati, non esiste alcuna via di mezzo. Il caos è totale e la situazione sfugge di mano agli organizzatori. (Daniele Biacchessi)
Il capolinea. Un disastro annunciato. L’epico film realizzato dal valente regista underground Alberto Grifi (30 ore di girato, quattro telecamere, una troupe di 18 persone) ha già raccontato tutto. Le immagini vanno oltre qualsiasi possibile commento. E’ una rappresentazione in scala ampliata dell’impasse evolutivo del movimento giovanile, che sta per affrontare il periglioso passaggio tra le Scilla e Cariddi della lotta armata e dell’eroina. Un evento così drammatico da mettere in ombra tutte le esperienze precedenti. Quando si parla di festival pop in Italia, ormai l’unico file che si apre – purtroppo – è quello del Parco Lambro 1976. Oltre centomila estranei tra squallore, confusione, violenza diffusa, tutti contro tutti. La presunzione di dare una linea guida al popolo festivaliero, si infrange di fronte allo slogan urlato in faccia agli organizzatori: “Via! Via la nuova polizia!”. Il Comune di Milano, incurante della presenza di una massa umana così grande, ha negato l’allacciamento della luce e dell’acqua (…) Piccolo gioiello nella tempesta, il jazzista Don Cherry con il suo gruppo, magico, elegante e fluttuante nell’aria a dispetto del setting. La sua morbida esibizione riesce persino a diffondere un po’ di buone vibrazioni tra il pubblico (…) Contro il palco si scarica, a ondate, la rabbia del pubblico incattivito, formato in gran parte da lumpenproletari repressi e affamati, pieni di risentimento verso gli avidi organizzatori che offrono cibi e bevande di dubbia qualità a prezzi gonfiati. I nuovi imprenditori alternativi non sono meno avidi di quelli “borghesi”, speculano sui bisogni, alzano i prezzi al crescere della domanda – un comportamento molto poco marxista – e la scoperta non rasserena gli animi. A tre secoli di distanza dal periodo del dominio spagnolo, Milano rivive – inaspettatamente – l’esperienza dell’assalto ai forni del pane (episodio descritto dal Manzoni nei “Promessi sposi”). Questa volta sono i camion frigoriferi che riforniscono gli stand del festival ad essere presi d’assalto dalla plebe scarmigliata. Il collasso di un progetto ideologico fumoso esplode in mille fuochi, supermercati saccheggiati, polli congelati (immangiabili) usati come palloni per partite improvvisate. Servizio d’ordine armato di bastoni che perquisisce le tende in cerca dei polli congelati. Omosessuali e femministe vengono minacciati fisicamente. I loro stand devastati. Eroinomani malmenati e gettati fuori dal festival, piccoli spacciatori di fumo processati sommariamente. Intanto l’immondizia si ammassa, si susseguono le cariche e i lacrimogeni della polizia, che cerca di individuare gli espropriatori in mezzo alla gente. E yoga, massaggi e tarantelle, cortei interni, fischi e nudismo punitivo, da perquisizione carceraria. Ci si spoglia non per gioia ma per disperazione: la liberazione non arriva. Centinaia e centinaia di persone si aggirano con l’epidermide scoperta, tra lo sporco, circondate da immense folle di guardoni. Non è gente nuda, erotica, naturale, ma spogliata. Un partecipante in mezzo al delirio ha le idee ben chiare: “Andiamo nudi verso la follia!” (…) I mass media ci sguazzano, buttando palate di letame sulle speranze e i sogni dell’hip proletario. A questa sconfitta ignominiosa contribuiscono non poco le mai chiarite intenzioni degli organizzatori, ormai con i piedi in troppe scarpe e senza la forza necessaria per gestire un evento ipertrofico. Oltretutto, invece di analizzare la questione, fare autocritica o aprire dibattiti, i promoter chiudono bottega e abbandonano precipitosamente il campo e la metropoli. Le masse sono fastidiose, invadenti, ingrate e ingestibili – meglio ristabilire le distanze. Le ultime due edizioni, semiclandestine, del Re Nudo Pop Festival – molto salutiste e senza musica – si terranno tra i monti di Guello nel comasco (1977) e nell’entroterra ligure, ad Alpicella (1978), quando gran parte della dirigenza si è data al misticismo al seguito del guru indiano Rajneesh. Nel 1977 anche i giovani fascisti italiani scopriranno di essere affetti dal prurito festivaliero e daranno vita alla loro versione del be-in, il Campo Hobbit (il primo si svolge a Montesarchio, Benevento, 11/12 giugno), per stare insieme e ascoltare musica in modo “alternativo”. Dieci anni dopo Monterey, il rock viene sdoganato anche dalla destra. (Matteo Guarnaccia)
Alberto Grifi, regista del film su Parco Lambro '76
Andrea Valcarenghi, direttore di “Re Nudo”: “E’ stata senz’altro un’occasione importantissima per capire una realtà sociale vastissima ed eterogenea. Ma ci siamo resi conto che manifestazioni di simili dimensioni sono ormai inadeguate: le incomprensioni, le contraddizioni, le difficoltà organizzative, quando si ha a che fare con una partecipazione così estesa, tendono ad annullare ogni possibilità di controllo. Se dovessimo ripetere l’esperienza nella stessa situazione l’anno prossimo, avremmo probabilmente a che fare con 200-250mila persone: uno sforzo impossibile, a meno di creare strutture tecnico-organizzative davvero imponenti, destinate però a divenire soffocanti e ad approfondire ulteriormente la separazione tra gestione e pubblico. Il nostro obiettivo era stato, nelle ultime tre Feste, quello di portare nella metropoli certe tematiche e problematiche: l’abbiamo raggiunto. Ora puntiamo a iniziative limitate lontano dalle città, che coinvolgano maggiormente i partecipanti, in ambiti che garantiscano maggior libertà d’azione per tutti con un minimo d’organizzazione”. (Intervista di Daniele Caroli)
L’happening di Parco Lambro. La rivoluzione di classe si allea con la rivoluzione culturale condotta dagli studenti per ottenere maggiori libertà e maggiori diritti. L’episodio più clamoroso e più deludente di questo preteso incontro fra rivoluzionari ed hippies è il Festival del Parco Lambro, la Babele dell’autonomia lombarda. Si radunano alla periferia della città, in un parco di nobili piante, ma di corsi d’acqua pieni di acidi e di rifiuti delle fabbriche, sotto siepi fiorite che puzzano di acido fenico, alcune migliaia di giovani, alcuni venuti per parlare di politica altri per fumare spinelli, fare i nudisti, ascoltare musica rock. Ne vien fuori una tetra confusione: i professori marxisti di “Rosso” e “Primo Maggio” tentano invano di cogliere l’occasione pedagogica, coloro che li ascoltano parlano cento lingue diverse. Gridano gli “autonomi” di Quarto Oggiaro: “Non siamo marxisti, tantomeno leninisti o stalinisti. Siamo delle coscienze rivoluzionarie. Ci sta bene tutto ciò che è realmente radicale”. Per molti gruppi “Autonomia” ha il significato che le attribuisce la rivista “Fuzz”: “area di parcheggio nel politico degli scontenti dei gruppi”. (Giorgio Bocca)
Le uova sul Revox “… Nel 1976 ho portato sul palco “Suoni di frontiera”, con sintetizzatori, nastri e stranezze varie. A un certo punto sono stato costretto a interrompere il concerto per un lancio di uova sul palco. Uno di questi ha centrato la testina di uno dei Revox con la conseguenza che ne uscì un suono miagolante. Tempo cinque minuti e me ne andai via. Il Parco Lambro l’ho vissuto come un incubo e non è stata entusiasmante nemmeno la mia esperienza con Andrea Valcarenghi, di scarsa soddisfazione personale”. (Claudio Rocchi)
Ho insultato la folla “Ho presentato tutte e tre le edizioni a Parco Lambro. Il primo anno era un paradiso, il secondo paranoia, il terzo un incubo. Orribile e indecoroso quel lancio di polli. Il Festival fu interrotto da un’assemblea per decidere se dovesse proseguire o dovesse essere interrotto (…) Decisero che il Festival poteva proseguire, così dopo l’assemblea, ricominciò la musica, salì sul palco Don Cherry con Toni Esposito. Iniziarono a suonare e dopo pochi minuti arrivò sul palco l’ennesimo ballerino nudo. Loro smisero di suonare, io sentii un fluttuare della folla, come un’onda che arrivava fino al palco, dalla rabbia presi il microfono e lanciai un pesantissimo attacco al pubblico presente, senza esclusione di insulti con un linguaggio durissimo. Non se lo aspettavano e la situazione andò normalizzandosi”. (Massimo Villa)
Fischi alle femministe e agli omosessuali “… All’ultimo Parco Lambro c’erano quelli di Autonomia Operaia, l’ex Gruppo Gramsci, che promuovevano la rivista “Rosso”. Furono fischiate le femministe, gli omosessuali e i Com (Collettivi Omosessuali Milanesi) che promuovevano la rivista “Il Vespasiano”. Furono insultati da parte della sinistra extraparlamentare, molto moralista e ignorante, perfino omofobica. Non accettava il personale politico, pensavamo solo a un modo di fare politica molto autoritaria. Partecipai a tutte le edizioni di Parco Lambro e devo dire che fu un esperienza fortissima, indescrivibile, un momento di grande coinvolgimento, non solo per gli artisti presenti sul palco, ma anche per tanti momenti di socializzazione (…) Concerti che terminavano alle prime luci dell’alba, magicamente”. (Bruno Casini)
L’ultimo giorno “… Al Festival c’erano momenti alterni, li vivevi da dentro, era diverso da qualche anno prima (…) C’era anche la non tanto velata, presenza delle case discografiche e dei manager (…) Accaddero anche episodi di contestazione pacifica con tutti nudi a ballare e fare girotondi e l’assalto allo stand dei polli. C’erano tante anime, sballi totali, appassionati uditori, c’era la tenda della rivista “Gong” con cui stavo lavorando, quelle delle radio”. (Roberto Masotti)
Avevamo sottovalutato i primi segnali “Ci siamo andati due volte al Parco Lambro, ma non a quello dei polli usati come palloni da calcio (…) Credo di ricordare che quell’anno ci fu qualche controversia tra noi, come cooperativa L’Orchestra e l’organizzazione del Festival (…) Ricordo il giudizio che ne avevo dato allora: c’erano state le elezioni che non erano andate come ci aspettavamo, il Pci non aveva superato la Dc, nei tre anni precedenti c’era stato il referendum sul divorzio, poi nel ’75 le elezioni amministrative avevano segnato la grande avanzata della sinistra ed erano passate di mano – tra l’altro – le gestioni degli Assessorati alla Cultura e le Biblioteche. Noi nella nostra attività avevamo colto la trasformazione: se prima si andava a suonare solo alle feste dell’Unità, poi invece cominciarono i concerti organizzati dalle istituzioni, così nel ’76 tutti aspettavano che la vittoria della sinistra si sarebbe tradotta a livello nazionale. E invece non andò così”. (Franco Fabbri degli Stormy Six)
Ho cantato “Questa casa non la mollerò” “… Era inevitabile che si arrivasse allo sfascio, c’erano le avvisaglie con processi sommari allo spacciatore di turno. Peccato che prendessero anche i consumatori, ne ho salvato uno di questi che scappava (…) Io ho cantato “Questa casa non la mollerò”, l’avevo scritta a proposito della prima occupazione, del primo sgombero della polizia in via Tibaldi (…) Io c’ero anche con una canzone come “Compagno sì compagno no, compagno un cazzo” e con il dito puntato contro l’inquinamento della natura, “Il fiume Po”. (Ricky Gianco)
Poi il Movimento del ’77 “… Ci andai indossando le mie Lacoste e mi trovai circondato da uomini a torso nudo e da donne con le gonne lunghe e a fiori. Molto qui dipese dagli umori del pubblico. Che creò o ruppe incantesimi. Tra l’odore di patchouli e di marijuana. I nostri gruppi dal vivo, scelte artistiche che dovevano andare contro la musica dei padroni, voglia di essere parte attiva, enfasi della critica, e che cavolo, mica poteva sembrare la festa nazionale de “l’Unità”. Vietato vietare, dove si socializzò, ci si divertì, si amoreggiò, si applaudirono gli artisti oppure ci fu il tutti contro tutti (…) Gli organizzatori dell’ultimo Parco Lambro non capirono che il biglietto (che quasi nessuno pagò) non ci doveva essere. Era in atto un mutamento, c’erano anche il sottoproletariato e il popolo delle periferie metropolitane, non più solo operai e studenti. Non si trattava tanto di avere a che fare con l’area dell’Autonomia organizzata, ma con quella diffusa e con nuovi soggetti sociali che si affacciarono sulla scena, difficili da capire nell’immediato. Alla crisi della militanza delle organizzazioni della sinistra, subentrò la politica dei bisogni. L’ultima edizione del Festival di “Re Nudo” al Parco Lambro la ricordo non tanto come la fine di una storia, ma l’inizio di un’altra inedita storia. Infatti, da lì a pochi mesi, nacque il Movimento del ’77, che contrariamente al ’68, sviluppatosi su scala internazionale, fu un fenomeno tutto italiano. (Massimo Pirotta)
Gaetano Liguori: “Al Parco Lambro non ci sono andato perché in quel periodo ero legato al Movimento Studentesco, molto distanti dall’organizzazione di “Re Nudo” come giro politico: loro erano fricchettoni, noi stalinisti”.
Scritti e testimonianze da: “Storie di rock italiano” di Daniele Biachessi (Jaca Book), “Re Nudo Pop & altri festival” di Matteo Guarnaccia (Vololibero), il settimanale “Ciao 2001” del 15/22 agosto 1976, “Storia della Repubblica italiana” di Giorgio Bocca (Rizzoli), “Che musica a Milano” di Giordano Casiraghi (Zona)
Immagini da: “Prima che la vita…”, regia di Felice Pesoli. Alberto Grifi, regista del film “Parco Lambro ‘76”. Copertina Lp “Event ‘76” degli Area
PLAYLIST ‘70
In ordine alfabetico: Area “Arbeit Mach Frei”, Franco Battiato “Pollution”, Alberto Camerini “Gelato metropolitano”, Chrisma “Chinese Restaurant”, Fabrizio De Andrè “Non al denaro, non all’amore né al cielo”, Francesco De Gregori “Rimmel”, Faust’O “Suicidio”, Eugenio Finardi “Sugo”, Ricky Gianco “Arcimboldo”, Francesco Guccini “Radici”, Claudio Lolli “Ho visto anche degli zingari felici”, Gianfranco Manfredi “Ma non è una malattia”, Premiata Forneria Marconi “Storia di un minuto”, Skiantos “MonoTono”, Stormy Six “Un biglietto del tram” (Massimo Pirotta)
Enzo Maolucci “L’industria dell’obbligo”, Rino Gaetano “Mio fratello è figlio unico”, Francesco Guccini “Via Paolo Fabbri 43”, Giorgio Gaber “Far finta di essere sani”, Goblin “Profondo Rosso”, Balletto di Bronzo “Sirio 2222”, Skiantos “Kinotto”, Enzo Jannacci “Quelli che…”, Claudio Rocchi “Volo Magico N° 1”, Napoli Centrale “Napoli Centrale”, Piero Ciampi “Andare camminare lavorare e altri discorsi”, Lucio Dalla “Come è profondo il mare”, The Trip “Caronte”, Canzoniere delle Lame “Canti rivoluzionari italiani”, Gaznevada “Gaznevada” (Fabio Pozzi)