Per "La Monza che vorrei" intervista al segretario della CGIL Monza Maurizio Laini. Le prospettive future, la capacità del territorio, la Villa Reale e i 207 milioni per la ristrutturazione del San Gerardo...
Signor Laini, lei come vede il futuro di Monza, in uno scenario di lungo termine?
Mi piace l’idea di fare un discorso non immediatamente politico, ma di scenario. Purtroppo il mio mestiere di sindacalista sta a metà tra la gestione faticosa del quotidiano e l’immaginazione di situazioni diverse, ottimali. Se la vita piatta e frustrante di una quotidianità fatta di cassa integrazione, di mobilità, non fosse coniugata con una visione prospettica e con una idealità che credo muova ancora il mondo, al di là della fine delle ideologie, il mio mestiere non meriterebbe di essere fatto.
La visione del futuro è l’unico modo per orientare una quotidianità che per molti versi è devastante e frustrante.
Anche perché, penso, sarebbe sostanzialmente rivolta solo al passato, a situazioni ormai compromesse, senza prospettive.
Sì, a situazioni spesso marcite. La visione del futuro è l’unico modo per orientare una quotidianità che per molti versi è devastante e frustrante. Riuscire a mantenere un equilibrio tra questi due estremi è un modo per fare questo mestiere in modo degno di esser fatto. Mi piace quindi cimentarmi sugli scenari più che su ciò che è immediatamente politico. Anche se quest’ultimo aspetto non compete direttamente al sindacato, esso può fornire un suo contributo per affrontare i problemi di un dato territorio.
O qui si capisce che non c’è salvezza per il sistema produttivo senza una ripresa di protagonismo degli attori locali come parte dirigente, o non c’è salvezza.
Quando si parla di scenari, si cerca di capire quali sono le possibili minacce e opportunità, i punti di forza e di debolezza di una data realtà. Lei come li vede per Monza?
Comincio da un punto di debolezza: credo che per scongiurare scenari molto negativi per Monza e per il sistema Brianza, che sono già in corso, l’unica cosa possibile sia la costruzione di una identità, della consapevolezza di appartenere a un sistema economico e sociale con un suo profilo, una sua storia, una sua qualità, e che ha bisogno di essere difeso e sviluppato con azioni, appunto, di sistema. O qui si capisce che non c’è salvezza per il sistema produttivo senza una ripresa di protagonismo degli attori locali come parte dirigente, o non c’è salvezza. La debolezza sta in questo: che ognuno lavora per conto suo, ogni gruppo difende i propri interessi, e tutti insieme ci si sente periferia della grande metropoli. Non solo, ma si continua a vivere nell’illusione che comportamenti e cultura politica tipicamente metropolitani siano adeguati a un territorio che invece ha una sua diversa identità e dignità.
Qui si continua ad agire secondo filiere verticali anziché territoriali, “orizzontali”. Questo modo di agire è la fine.
Però a me capita di sentire discorsi sulla Brianza che la descrivono come il mondo migliore, la culla dell’imprenditorialità, i più bravi del mondo...
Sì, a parole. In realtà, non solo l’economia brianzola non è fuori dalla crisi che coinvolge il sistema globalizzato, ma per le sue caratteristiche, soprattutto per la componente manifatturiera, è particolarmente esposta e debole nella competizione con i sistemi vicini o affini.
Da un punto di vista politico, una cosa è dire: io, la mia associazione, il mio gruppo di interesse ha un politico di riferimento, e attraverso di lui, il suo potere, la sua vicinanza alla stanza dei bottoni mi garantisco il futuro. Altra cosa è dire: io, tu, gli altri, se ci mettiamo insieme per condividere scelte e prospettive, riusciamo ad essere protagonisti del nostro futuro al di là delle filiere di carattere politico. Qui si continua ad agire secondo filiere verticali anziché territoriali, “orizzontali”. Questo modo di agire è la fine.
Monza non è il capoluogo di questo territorio. Monza non ha né la consapevolezza, né la voglia di costruirsi una statura, una legittimazione, un ruolo. Questo è il suo grande punto di debolezza
Ma questo riguarda solo la politica, o anche le imprese? A volte sembra che le imprese brianzole non abbiano alcun rapporto con la politica, fanno il loro mestiere e non vanno oltre.
Anche le imprese. Non a caso ho parlato di filiera. Perché tra l’azienda e il politico c‘è l’associazione, il gruppo di interesse, l’”uomo del ministro”... Questo modo di fare sistema, di tutelare il sistema produttivo, è un modo che deriva dalla cultura metropolitana milanese, che cozza con le esperienze di altri sistemi territoriali. A Como, Bergamo, Lecco, ci sono luoghi di concertazione dove politici di diverso colore si confrontano con il sistema delle imprese, con associazioni diverse, con i sindacati, le istituzioni.
Monza non è il capoluogo di questo territorio. Monza non ha né la consapevolezza, né la voglia di costruirsi una statura, una legittimazione, un ruolo. Questo è il suo grande punto di debolezza
E i punti di forza?
Sono la storia, la qualità, l’eccellenza, la creatività, la cultura del lavoro, l’imprenditorialità, il distretto del mobile... Che però sono a rischio, nonostante le professioni di ottimismo. La situazione reddituale e occupazionale del settore del mobile, come di quello dell’high-tech vimercatese, cioè un buon quarto dell’economia brianzola, dovrebbero allarmare. Solo se si prende coscienza di che posto hanno nel futuro della Brianza questi e altri settori, studiando la realtà (dati e ricerche specifiche su Monza e la Brianza sono ancora scarsi) ma soprattutto coinvolgendo “il territorio”, direbbe la Lega, “la comunità”, direbbero i cattolici, “il popolo”, direbbe la sinistra, si può dire: “La Brianza è, la Brianza sarà...”.
Con queste premesse, se lei dovesse immaginare due storie del futuro di Monza e della Brianza di qui al 2020 ed oltre, una molto negativa e l’altra molto positiva, come le descriverebbe?
Quella negativa è presto detta, e temo la più probabile: Monza è in Lombardia, la Lombardia è in Italia e l’Italia è in Europa, le prospettive sono incerte e secondo molti funeste. Il che significa un abbassamento della qualità e del tenore di vita delle persone. In questo scenario, Monza e Brianza non si salvano. Certo, possiamo immaginare politiche migliori o peggiori rispetto a questo scenario, il tentare di governarlo con adattamenti per ora non chiari (economia verde, minori sprechi...), o al contrario subirlo passivamente, con esiti devastanti.
Uno scenario positivo per una Monza e Brianza, sempre collocati inesorabilmente nel quadro europeo, può derivare da 1. Che l’Europa riesca a consolidare un proprio quadro sociale e politico al di là della moneta unica, con una maggiore integrazione democratica e più potere all’Unione Europea, e riflessi positivi per il nostro Paese. 2. Che anche Monza riesca a cogliere le opportunità offerte da questa prospettiva. E questo è possibile solo se si riesce ad avviare politiche territoriali di carattere virtuoso, che tengano insieme le comunità, che guardino alla dimensione orizzontale, riducendo le disuguaglianze. Perché anche in uno scenario positivo si possono buttar via le opportunità. A livello locale, si può influire molto non tanto sulle quantità, quanto sulla qualità della convivenza (spazi verdi, mobilità accettabile, servizi alle persone, eccetera). Purtroppo non vedo una coesione, uno spirito solidaristico che rendano credibile una prospettiva di questo tipo, ma piuttosto una conflittualità non sana, tra gruppi di interesse.
Una volta definiti gli scenari, è necessario chiedersi che cosa si può o si deve fare nel breve termine. Secondo lei, cosa dovrebbe fare la prossima amministrazione di Monza, ma anche le diverse forze sociali per favorire il verificarsi di quelli positivi?
Io credo che la variabile decisiva sia la qualità degli uomini.
Se non ci vediamo mai, se non abbiamo l’occasione di realizzare una costruzione strutturata, se ad esempio la Provincia non ci dà l’occasione per affrontare insieme i problemi veri di questo territorio, è difficile pensare che io e Cerioli riusciamo a promuovere una azione adeguata.
Nelle mie precedenti interviste ho sempre ricavato giudizi positivi sulla popolazione della Brianza.
No! Non mi riferisco ai brianzoli, che hanno quasi una mistica del lavoro, anche manuale. Ho in mente tanti esempi di eccellenza, costruiti con la testa e con le mani, al di là della cultura formale. Mi riferisco a una classe dirigente di amministratori e politici incapace di farmi sognare sul futuro di questo territorio. Ci vorrebbe qualche sconvolgimento da parte della gente. Quindi, la prima cosa da fare è scegliere gente che sappia amministrare con una visione ampia e lungimirante. La seconda, è cominciare a riflettere sul futuro, istituendo un luogo di concertazione. Se non ci vediamo mai, se non abbiamo l’occasione di realizzare una costruzione strutturata, se ad esempio la Provincia non ci dà l’occasione per affrontare insieme i problemi veri di questo territorio, è difficile pensare che io e Cerioli (Presidente di Confindustria Monza e Brianza, n.d.r.) riusciamo a promuovere una azione adeguata. Ci vuole un luogo responsabilmente allestito dal pubblico. Occorre poi che ci sia una immissione di liquidità per realizzare una serie di investimenti pubblici e privati. Se crediamo nella dimensione territoriale, e puntiamo sulla fiducia che deriva dalla conoscenza delle persone e dei progetti, questa operazione diventa possibile. Si potrebbe fare una società territoriale di gestione del risparmio, finalizzata ad investimenti pubblici e privati. Infrastrutture, ma anche progetti di sviluppo che l’eccellenza di questo territorio tiene nel cassetto (ne ho qualcuno in mente) ma che non vengono tirati fuori per paura del futuro e per la mancanza di credito. Iniziative anche di carattere imprenditoriale, redditive. Ma bisogna mettersi insieme, coinvolgere chi le risorse le ha (ad esempio la Camera di Commercio), fornire all’opinione pubblica motivi per credere nel futuro, rendere attrattivo il territorio.
A questo proposito, lei sa che l’Italia ha una attrattività quasi nulla in termini di investimenti diretti esteri (IDE), a differenza di altri paesi europei (vedi la Toyota in Francia). Cosa pensa dell’attrattività di Monza e Brianza?
L’attrattività è una questione di competitività territoriale. E’ una questione non solo di infrastrutture fisiche (strade, ferrovie...) ma anche di istruzione, di efficienza e di correttezza della pubblica amministrazione, di assenza di corruzione o di infiltrazioni mafiose.
Io penso che la Villa Reale sia un riferimento importante per la costruzione del futuro di Monza. Invece, la proposta avanzata per la sua ristrutturazione è uno scempio. E’ una operazione banale di business per Infrastrutture Lombarde S.p.A., una irresponsabile “cessione di rogne” da parte del Comune di Monza
Debbo dire che in precedenti interviste ho raccolto giudizi positivi sia sulla pubblica amministrazione locale, sia sul livello di formazione professionale. Quanto alla domanda di formazione universitaria, c'è Milano.
Sarebbe meglio che la fornisse anche Monza. Ma è una questione di benchmarking, di confronto con l’attrattività di altri territori vicini o analoghi. Manca sicuramente un adeguato marketing territoriale. Ma insisto: manca l’individuazione di una direzione di marcia, che consenta di scegliere cosa promuovere. Dobbiamo sapere qual è il nostro destino nello scenario. Ad esempio, io penso che la Villa Reale sia un riferimento importante per la costruzione del futuro di Monza. Invece, la proposta avanzata per la sua ristrutturazione è uno scempio. E’ una operazione banale di business per Infrastrutture Lombarde S.p.A., una irresponsabile “cessione di rogne” da parte del Comune di Monza, una svendita al peggior offerente, il tutto avulso da qualsiasi disegno territoriale, di cui la Villa dovrebbe costituire un asset di grande attrattività, intorno al quale costruire una rete di offerta culturale e turistica, e quindi anche economica.
Ultima domanda: se lei dovesse svegliarsi un giorno come sindaco di Monza, cosa farebbe per prima cosa?
Per fortuna non ho questa prospettiva. Prima di tutto mi sveglierei spaventato, perché le cose da fare sono talmente tante. Comunque, per prima cosa telefonerei a Francesco Beretta, Direttore del S. Gerardo, e gli direi: “Tu hai 207 milioni di euro per la ristrutturazione del S. Gerardo. Non è ammissibile che questa somma ingente venga gestita in privato con Infrastrutture Lombarde S.p.A., senza alcuna discussione in ambito territoriale. E’ un grande business che avrà conseguenze importanti sulla qualità della vita della gente. Allora, come prima cosa, dovremmo fare insieme una discussione su cosa diventerà il S. Gerardo. In secondo luogo io, come Sindaco di Monza, che tra i tanti problemi ha quello del Piano di Governo del Territorio, debbo avere voce in capitolo anche sulla vendita dell’area del vecchio S. Gerardo. Se non ci mettiamo d’accordo subito su questa vicenda, rischiamo di rendere un cattivo servizio alla città. Organizziamo un tavolo in cui ci sia anche la Provincia, l’ASL, i lavoratori del S. Gerardo, i cittadini interessati alla qualità dello sviluppo della città. Trattandosi di molti soldi, c’è anche il rischio di cose pericolose come subappalti incontrollati, lavoro nero, infiltrazioni mafiose. Non basta essere d’accordo con Formigoni, occorre che questo territorio sappia quale sarà il destino di aree e infrastrutture che sono strategiche per il suo futuro.
Maurizio Laini è il Segretario generale CGIL Monza e Brianza. Insegnante, nella sua lunga esperienza sindacale è stato il promotore di numerose iniziative nel campo scolastico, con particolare riguardo alla formazione dei docenti. È membro del Consiglio direttivo dell’IRRSAE Lombardia (Istituto Regionale di ricerca Sperimentazione Aggiornamenti Educativi). Giornalista, ha diretto in periodi successivi numerose pubblicazioni e testate di carattere sociale e sindacale.