In Gran Bretagna il partito indipendentista Ukip vince le elezioni amministrative e prefigura una “rivoluzione violenta su larga scala in tutta l'area del Mediterraneo”
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el 2010 il premier britannico David Cameron aveva annunciato un obiettivo ambizioso: trasformare l’Inghilterra in una strutturata Big Society: una redistribuzione di potere dalle élites agli uomini e alle donne della strada, supportata dalla Big Society Network, ovvero una società nata per generare, sviluppare e presentare nuove idee e per aiutare le persone a riunirsi nei loro quartieri a fare “buone cose”.In sostanza, mentre lo Stato si snellisce, sarebbero le comunità locali, con i fondi messi a disposizione da una apposita banca (Big Society Bank) e la partecipazione dei cittadini comuni più intraprendenti, a gestire i trasporti pubblici, la raccolta dei rifiuti, la conservazione dei parchi ecc. trasformando di fatto il sistema di governo del Regno Unito.
Il progetto, lanciato nel 2010 dal Partito Conservatore, prevedeva l'applicazione di cinque punti prioritari:
-Dare alle comunità più poteri (localismo e devoluzione)
-Incoraggiare le persone ad assumere un ruolo attivo nella loro comunità (volontariato)
-Trasferire il potere dal centro al governo locale
-Sostenere cooperative , mutue , associazioni di beneficenza e imprese sociali
-Pubblicare i dati del governo (governo aperto / trasparente)
Questa politica è sembrata essere una tappa del lento e lungo processo di dissolvimento del modello statale nel sistema del capitalismo, iniziato oltre trenta anni fa con l'avvento delle politiche neo liberiste: più società e meno stato è il motto che ci ha accompagnato negli ultimi tre decenni.
In questo servizio avevamo riportato alcuni concetti di Gilles Deleuze e Michel Foucault, secondo i quali i sistemi del walfare non sono più riformabili: i due studiosi francesi definirono tentativi di prolungare l’agonia le riforme propagandate dai ministri di tutto il mondo nel settore del lavoro, della previdenza, della educazione e della sanità.
Le critiche alla Big Society
In generale il progetto aveva ricevuto critiche negative da diversi settori del mondo politico. La critica principale si era basata sul sospetto che questo progetto fosse funzionale a coprire gli ingenti tagli previsti nei prossimi anni della spesa sociale. In questo dossier di Euricse i temi sono stati affrontati in modo dettagliato: nascita ed evoluzione del concetto di Big Society tra Regno Unito e Italia sulla stampa generalista ed economica. Oppure si è sentito un drastico giudizio: lo considerava un semplice escamotage elettorale, descritto da Dino Amenduni nel servizio “Dalla Big Siciety alla Smart Society”
La confusione è stata grande. Persino tra gli assertori non c'è stata abbastanza chiarezza di vedute.
In questa intervista a Phillip Blond, teorico della Big Society, viene titolato: “La Big Society? Non l'ha capita nemmeno Cameron”, mentre qui l'intervista dello stesso fatta dal Corriere della Sera.
Qui il dibattito sulla Big Society proposto dal sito di Labsus e qui la presentazione del sito Percorsi di secondo walfare. Infine qui La Stampa titola: Cameron ripone nel cassetto i sogni della "Big Society".
Nigel Farage
Dalla Big Society a “...una rivoluzione violenta su larga scala in tutta l'area del Mediterraneo” ?
I fermenti della società inglese hanno manifestato aspetti sorprendenti e contraddittori.
Sempre nella stessa cultura anglosassone era nato nella metà degli anni duemila il movimento della Transition Towns, movimento basato su un nuovo modello economico alternativo al modello di sviluppo fondato sul petrolio: si era diffuso in tutta Europa (anche in Italia) e aveva come base portante concetti non violenti e basati su un pizzico di valore utopista.
Ma negli ultimi anni è stato clamoroso il ritorno della politica sulla scena, come a voler contraddire tutte le teorie che la davano ormai per morta, anche e soprattutto in considerazione della fine del grande conflitto capitale-lavoro, conflitto considerato dagli analisti, per un secolo e mezzo, il generatore della necessità della politica. Dalle convulse crisi di Grecia, Spagna, Irlanda e Portogallo, passando per il successo del movimento di Grillo in Italia, più che una volontà a fare rivoluzioni si scorge invece una fortissima richiesta di ruolo della politica.
La vittoria in questi giorni alle elezioni amministrative dell'Ukip (United Kingdom Independence Party), partito guidato da Nigel Farage, una costola staccatasi dei tories, ne segna un ulteriore conferma. Ormai molti commentatori stanno mettendo da parte le prime e grossolane analisi che accostavano questo partito a movimenti simil Lega Nord se non addirittura al Movimento 5Stelle di Grillo.
“Farage non è un Beppe Grillo inglese: è molto più solido, strutturato, preciso nella visione politica”, sostiene Marcello Foa nel blog de Il Giornale e cita a corredo l'analisi di Stefano Magni.
Nigel Farage è divenuto famoso in Europa durante la sua attività di deputato al parlamento Europeo. A più riprese si è scagliato in modo plateale contro la presidenza europea, accusandola di essere asservita agli intersessi dei potentati economici legati al club Bilderberg e Trilateral. Subito dopo la vittoria alle elezioni amministrative ha dichiarato l'imminente inizio di una rivoluzione violenta a partire dall'Europa meridionale.
Punti di vista differenti invece su il sito di articolo 43 “Gran Bretagna, al voto amministrativo boom degli indipendentisti”. Il Corriere della Sera per il momento è ancora fermo a «La Big Society, un'idea valida anche in Italia»: alle semplici lusinghe, datate 2010, per il sistema di potere Formigoni da parte del teorico Phillip Blond.
"Lei è stato recentemente a Rimini al meeting di Comunione e Liberazione, pensa che in Italia la sua idea di Big Society possa essere attuata?
«Di più, da voi la mia idea è già diventata realtà in alcune parti del Paese. Per esempio in Lombardia anche grazie al ruolo delle organizzazioni religiose che sono spesso la colla che tiene insieme una comunità. Voi italiani da questo punto di vista siete avvantaggiati»".
Certe volte è preferibile essere svantaggiati. (ndr)