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Caro Carlo Petrini,

 

in occasione dei Colloqui di Dobbiaco che si sono tenuti a settembre nella piccola cittadina sudtirolese, ho avuto la fortuna e l’occasione di incontrarla davanti a un’ottimo strudel di mele e con la presente mi concedo la libertà di scriverle.

 

Nel suo intervento in Val Pusteria, citava dati e fatti concreti a dimostrazione della precarietà dello stato di salute del nostro paese e dell’intero pianeta. Precarietà dovuta anche al grave fenomeno del consumo di suolo agricolo.

Un tema, quest’ultimo, molto ben ripreso in un suo articolo pubblicato su Repubblica.

Mi permetta di riprenderne alcuni passaggi significativi:

“Che effetto vi farebbe se vi dicessero che su tutto il territorio del Lazio e dell’Abruzzo non esiste più un solo filo d’erba, neanche un orto; che le due Regioni sono state completamente, e dico completamente, cementificate? Sono sicuro che la maggioranza degli italiani inorridirebbe. Forse avrebbero una reazione un po’ diversa tutti quelli che a vario titolo sono invischiati in speculazioni edilizie”.

“L’Italia è al primo posto in Europa per la produzione e il consumo di cemento armato, 46 milioni di tonnellate l’anno: le cave legali e abusive hanno un impatto paesaggistico tremendo, e i cementifici inquinano molto, mangiandosi vigne, campi coltivati, boschi, o compromettendo l’ecosistema di quelli viciniori che gli sopravvivono. Il tutto per foraggiare la costruzione selvaggia di villette a schiera, outlet, depositi e quant’altro”

 

Chiudeva la sua accorata testimonianza così:“Lasciate stare i suoli agricoli, sono una risorsa insostituibile, pulita, bella e produttiva. Sono il luogo che ci fa respirare, che riempie gli occhi, che ci dà da mangiare e che custodisce la nostra memoria, la nostra identità. Continuare a distruggerli, dopo tutto lo scempio che è già stato fatto, non è da Paese civile ….”

 

Detto questo, però, devo confessarle un mio disagio.

Leggendo la sua bellissima lettera (avrei voluto scriverla io!), non riuscivo a cancellare dal mio sfondo visivo il simbolo di Slowfood, la  simpatica lumachina.

 

Da dove sortiva il mio disagio?

Mi inquietava aver visto la lumachina sulle brochure e sugli inviti patinati di EXPO 2015. Proprio sul grande volano che avrà l’effetto moltiplicatore delle brutture e delle sciagure da lei ben denunciate.

 

Come molti cittadini della pianura lombarda ho un orto. L’ho recentemente ampliato, riducendo lo spazio dedicato alle rose per fare posto ad una nuova fila di insalata. E come capita a molti altri dilettanti dell’orto, mi imbatto spesso in lumachine, simili a quella del vostro fortunato stemma.

 

Un animale che, pur recando alcuni danni, mi risulta simpatico. Perchè comunque cerca di sopravvivvere. Come la maggior parte di noi esseri viventi. Facendo della lentezza la sua virtù, ed accontentandosi di mangiucchiare qualche foglia qua e la.

 

Caro Petrini, sarebbe davvero un peccato se la Lumachina di Slowfood, invece di continuare a “mangiare le foglie”, si adattasse (senza volerlo) agli eventi. E, date le circostanze e le apparenze che le vengono prospettate, accettasse di imitare (inconsapevolmemte) un altro animale, il camaleonte. Trasformandosi essa stessa in foglia. Però di fico.

 

Questo è il rischio.

Slowfood rischia di diventare un paravento cultural-gastronomico.

 

Una foglia di fico, appunto. Buona per nascondere ruspe e betoniere.

Un ingrediente gustoso per vendere meglio ai milanesi e a tutti gli italiani la favola della “Nuova Milano da Bere” di Expo 2015.

Un grande kermesse presa al volo e pensata per coprire l’incapacità politica e culturale della classe dirigente milanese, lesta nell’approfittare della scorciatoia del grande evento mondiale, per distogliere l’attenzione dal vuoto morale e di prospettiva. Che oggi, chiunque, passeggiando per Milano, può respirare insieme a nanoparticelle di varia origine.

 

Da qui al 2015, questa enorme vetrina chiamata Expo, sarà il pretesto legittimante per nuove colate di cemento, nuove autostrade, nuovi autogrill, nuovi lunapark e nuovi capannoni. Strappando all’agricoltura vaste aree del Parco Agricolo Sud Milano e del Parco del Ticino.

Proprio come lei teme.

 

Giustamente, Slowfood promuove la filiera corta e la valorizzazione dei prodotti locali, il ritorno alla sobrietà dei consumi semplici e la riscoperta di alcuni vecchi valori contadini.

Non comprendo, però, come sarà per lei possibile coniugare tutto questo con Expo 2015.

 

La ritengo persona troppo intelligente, per credere che Slowfood possa pensare di motivare alla propria storia, alla propria coscienza e ai propri adernti e simpatizzanti, la partecipazione a questo evento, ricorrendo solo allo slogan della signora Moratti: “Expo 2015. Nutrire il Pianeta”.

 

Una frase che, a chi osserverà la provincia di Milano all’indomani della grande “abbuffata”, suonerà come la classica beffa successiva al danno.

Una beffa ancora maggiore, se sarà realizzata con l’inconsapevole complicità (ma le scrivo proprio per questo!), di chi vorrebbe tutelare l’agricoltura e ne predica in tutto il mondo la salvaguardia.

 

Io sono solo un piccolo sindaco di un piccolo comune. Non ho agganci politici importanti e non ho certo nessuna possibilità di influire (come altri, come lei) sul corso delle cose.

La mia voce non può certo essere pari (per volume) a quella del Sindaco di Milano. Né la piccola comunità che governo ha il peso della grande metropoli umana posta al centro della più grande regione italiana.

Però, la consapevolezza di quasi impotenza di fronte ai grandi eventi, che mi accomuna ad altri giovani e periferici amministratori e a moltissimi altri cittadini, non mi impedisce di chiedere, parlare e comunicare con chi ritengo possa svolgere un ruolo. Ed in questo caso, lei può davvero svolgerne uno importante.

 

Caro Carlo Petrini, lei è stato individuato da un’importante rivista come uno degli uomini che potrebbero cambiare il mondo.

Per questo, le chiedo di rivedere l’appoggio di Slowfood a Expo 2015. O quantomeno di approfondirne gli aspetti critici che sono tenuti nascosti agli occhi dei cittadini.

 

Sarebbe davvero utile, per fermare quella che lei giustamente chiama un’invasione del suolo agricolo da parte del cemento, se la simpatica lumachina di Slowfood cominciasse a mangiare voracemente alcune foglie che sono cresciute sotto i piedi dell’uomo vitruviano, sulle lucide ed ammiccanti brochure di Expo 2015.

 

Con sincera cordialità

 

Domenico Finiguerra

Sindaco di Cassinetta di Lugagnano (MI)

Comune del Parco del Ticino, Riserva della Biosfera Unesco

 

Dal blog di Domenico Finiguerra
col titolo "LA LUMACHINA E L’UOMO VITRUVIANO"

Gli autori di Vorrei
Domenico Finiguerra