Adesso va di moda chiamarla "accountability", la responsabilità politica, la responsabilità tout court di quello che si fa, di quello che si ordina di fare. In Italia è un concetto veramente difficile da affermare, dai livelli più ingombranti delle grandi stragi "di stato" impunite dopo 30 e 40 anni, sino ai disastri delle giunte campane, dagli eterni sconfitti delle campagne elettorali che restano imperterriti ai loro posti sino agli episodi di Genova nel 2001. Con la sentenza di primo grado sui "fatti della scuola Diaz" è arrivata l'ennesima conferma: in Italia chi paga per quello che fa sono solo gli ultimi, le mezze figure, gli straccioni, i braccianti, i morti di fame che rubano per disperazione. Per quasi tutti gli altri, comandanti, mandanti, grandi vecchi e piccoli stronzi, la responsabilità in Italia, semplicemente, non esiste (AC).
L'articolo di oggi su l'Unità.
Undici ore di camera di Consiglio. Poi il Tribunale di Genova, presieduto da Gabrio Barone, ha emesso la sentenza contro i 29 agenti e dirigenti della Polizia di Stato accusati della mattanza alla scuola Diaz: solo 13 condanne. E l’assoluzione per i vertici della polizia. In Aula scoppiano le urla: gridano «Vergogna, vergogna».
Il Tribunale ha assolto per non aver commesso il fatto 16 imputati tra cui Francesco Gratteri (attualmente direttore del Servizio anticrimine), Giovanni Luperi al vertice della Iasi, cioè i Servizi segreti, e Gilberto Caldarozzi, attuale direttore dello Sco e insieme a loro gli agenti Filippo Ferri, Massimiliano Di Bernardini, Fabio Ciccimarra, Nando Dominici, Spartaco Mortola e Carlo Di Sarro. Per ognuno di loro la pubblica accusa aveva chiesto 4 anni e 6 mesi ritenendoli colpevoli di calunnia, falso ideologico e arresto illegale. Il Tribunale ha assolto inoltre per non aver commesso il reato o perché il fatto non sussiste Massimo Mazzoni, Renzo Cerchi e Davide Di Novi. Per loro la pubblica accusa aveva chiesto 4 anni ritenendoli colpevoli di calunnia, falso ideologico e arresto illegale.
Assolti anche da ogni responsabilità Massimo Nocera, Maurizio Panzieri e Salvatore Gava. Nocera era accusato di aver simulato un finto accoltellamento e il pm aveva chiesto per lui 4 anni di carcere.
Tutte le condanne, in sostanza, riguardano il settimo Nucleo mobile di Roma a cominciare dal suo capo dell'epoca, Vincenzo Canterini, che ha preso 4 anni, 2 anni a Michelangelo Fournier, ex vice di Canterini; 3 anni a Fabrizio Basili, Ciro Tucci, Carlo Lucaroni, Emilio Zaccaria, Angelo Cenni, Fabrizio Ledoti, Pietro Stranieri e Vincenzo Compagnone. Tre anni anche a Pietro Troiani; due anni e sei mesi a Michele Burgio; un mese a Luigi Fazio.
La notte del 21 luglio 2001 agenti del settimo nucleo del Reparto Mobile di Roma e altri di altri reparti fecero irruzione nel complesso scolastico Armando Diaz e Giovanni Pascoli, che era il quartier generale dei no global. La difesa ha sempre sostenuto che l'azione fosse diretta ad arrestare gli autori delle devastazioni che migliaia di manifestanti avevano compiuto in città, per l'accusa sarebbe stata una specie di rivalsa voluta dai vertici della polizia che non erano riusciti a tutelare l'ordine pubblico.
Nella scuola furono malmenati e arrestati 93 giovani, poi liberati perché contro di loro non c'erano prove. I poliziotti furono accusati di falsificazione delle prove: le due molotov, i picconi e le spranghe esibiti come tali, secondo l'accusa, sarebbero stati rispettivamente trovati nelle aiuole di corso Italia e in un cantiere aperto nel complesso scolastico. Secondo gli avvocati difensori, però, le presunte falsificazioni sarebbero state causate dalla fretta e dal disordine di quei momenti.
La questione centrale del processo è stata quella di accertare le responsabilità personali di ciascuno degli imputati e provare se le violenze commesse siano state il frutto di un piano di azione deciso dai superiori. L’assoluzione dei vertici della polizia, però, come ha immediatamente detto l’avvocato di Troiani «smonta il teorema della Procura». Dal processo sono nate altre tre inchieste: una contro l'ex questore Francesco Colucci, accusato di falsa testimonianza, con il coinvolgimento dell'ex capo della Polizia Gianni De Gennaro; la seconda per la sparizione delle bottiglie molotov, smarrite nella questura genovese; una terza per l'identificazione di un poliziotto ripreso nei filmati dell'irruzione e riconosciuto dal pm durante un'udienza tra il pubblico.
I pm avevano chiesto 110 anni di reclusione. A sciogliere gli ultimi dubbi nei giorni scorsi era arrivato un filmato girato nella notte tra il 21 e il 22 luglio del 2001 nella scuola Armando Diaz da un operatore Rai e depositato dalle parti civili lo scorso ottobre. In particolare, alcune fotografie estrapolate dal documento, sono state usate per un'inchiesta giornalistica della Bbc di prossima pubblicazione: si riconoscono il cortile della Diaz e le sagome di alcuni funzionari di polizia - il cosiddetto "conciliabolo" di cui si è parlato in fase processuale, a cui avrebbero partecipato i poliziotti più alti in grado - Luperi, Gratteri, Troiani e altri - e sullo sfondo, vicino alle finestre della scuola, il profilo di uomo evidenziato con un cerchio rosso.
L'uomo è ripreso di spalle, è in borghese, indossa un casco protettivo e tiene un sacchetto azzuro nella mano sinistra. Accanto, una didascalia in inglese: «Naples Digos Inspector entering Diaz Pertini». È lui, secondo i giornalisti britannici, la chiave delle indagini, il personaggio più volte evocato nel processo: l'agente della Digos di Napoli che avrebbe introdotto nell'istituto le bottiglie molotov, la regina delle prove false che ha fatto scattare polizia, massacro e manette.
Ma c'è anche un altro video, pubblicato in esclusiva sul sito de l'Unità, che ripercorre e documenta quei drammatici momenti.
In quelle ore - secondo quanto emerso in tribunale - Pietro Troiani, la persona per la quale è stata chiesta la condanna più pesante (5 anni), vice questore aggiunto di Roma, ordina al suo assistente Michele Burgio di portare alla Diaz e di consegnargli due bottiglie molotov, che erano state sequestrate nel pomeriggio durante gli scontri di corso Italia dal vice-questore Pasquale Guaglione. Burgio obbedisce, e porta alla Diaz le bottiglie incendiarie. Il materiale finisce nelle mani di una poliziotta e poi a un misterioso ipettore della Digos di Napoli, fino ad ora ancora non identificato.
Le molotov, che il nostro codice penale equipara ad armi da guerra, spariscono misteriosamente per poi riapparire su un lenzuolo che raccoglie l' «arsenale» sequestrato ai fantomatici eversivi del fronte Black Bloc: coltellini multiuso, le sottili anime in alluminio degli zaini fatte passare per spranghe, gli assorbenti femminili, il tutto vicino a picconi, mazze rubate da un vicino cantiere. Insomma, tutte le presunte prove racimolate ad arte per giustificare il crudele pestaggio a freddo, che Michelangelo Fournier, nel 2001 vicequestore aggiunto del primo Reparto Mobile di Roma, durante una sua deposizione definì una «macelleria messicana».