Eluana Englaro, il Presidente del Consiglio, la Costituzione e la nave in mano al cuoco di bordo.
America Latina, Weimar o Spagna franchista: basta scegliere la rievocazione storica più adatta, in questi giorni, in questo paese.
La politica che strumentalizza e si intromette con arroganza negli affari personali, nelle scelte che attengono all’intimità e alla volontà di una famiglia, che abbandona senza scrupoli il ruolo regolatore che gli è proprio. Una politucola che ascolta “i cori delle osterie padane”, come ha sostenuto qualcuno qualche giorno fa, che nega la possibilità di una prima assistenza ai clandestini, che scheda i clochard, autorizza le ronde, sputando in faccia alla dignità della persona (una dignità, che comprendiamo essere relativa, legata al ceto e alla provenienza). C’è dell’altro e sembra fatto apposta per chiudere la partita col sistema democratico: l’attacco al sindacato, il disprezzo profondo per le regole del gioco, le intercettazioni impedite, le ripetute violazioni della Costituzione e l’aperta volontà di sottomettere ciò che resta della magistratura indipendente.
Tutto questo rappresenta la torta, mancava la ciliegina: il pietoso e tragico caso Englaro, in cui Berlusconi non si è limitato al tentativo apparentemente maldestro e avventato, certamente nullo sul piano giuridico e irresponsabile su quello politico, di far passare un decreto che sostituisse la sua opinione personale alla sentenza emessa dalla Cassazione, ma è andato oltre, ignorando il potere di garanzia che la Costituzione attribuisce al capo dello stato. Siamo ormai davanti alla becera azione di un uomo giunto al pieno delirio di onnipotenza, che dichiara senza vergogna di volerla riscrivere, la Carta Costituzionale, un documento – stando alle sue parole - redatto chissà sotto quali arcane influenze sovietiche.
Insomma, quel che voglio dire, senza spendere altre parole su questo paese, ahinoi, ridotto a schifo, è che le decisioni di questi giorni, non possono generare allarme, non possono sorprendere: l'allarme è scattato ormai da tempo e la cosa preoccupante è che nessuno più lo sente.
Kierkegaard scrisse, in tempi non sospetti: «La nave è ormai in mano al cuoco di bordo e le parole che trasmette il megafono del comandante non riguardano più la rotta, ma il menù del giorno dopo». Perfetta metafora. Il popolo delle libertà imbecilli sta facendo proprio questo: in coro annuncia il menù del giorno dopo, appaga le pance, gli istinti più bassi, e se ne fotte serenamente della rotta.
Risultato: la nave sta affondando, ma nessuno vuole smettere di cenare. E questo è veramente il peggio, è veramente il segno della povertà morale raggiunta da questo paese, costruita in questo paese.
Ma ci svegliamo? o, ditemi, dove finiremo di questo passo?