Milano sempre più intollerante. Anche contro un'orto urbano
La polizia municipale avrebbero dovuto distruggerlo, ma...
Sviluppare gli orti urbani per combattere la fame nel mondo, la disoccupazione e il cambiamento climatico. E' una delle mission che Letizia Moratti ha fissato per l'Expo milanese del 2015 che avrà come tema «Nutrire il pianeta, energia per la vita». La notizia non deve aver fatto breccia nella testolina del funzionario comunale che ieri mattina ha spedito in zona Ticinese una pattuglia di vigili urbani, muniti di ecespugliatore, per spianare un orticello coltivato da un gruppo di giovani dei centri sociali (il pollice verde non ha frontiere).
Poco più di cento metri quadrati, uno scampolo di terra di tutti e di nessuno, vicino al centro sociale Conchetta. Da una quindicina d'anni i ghisa milanesi si sono conquistati sul campo le stellette di duri. Ieri, smentendo la loro triste nomea, hanno dimostrato d'avere un po' di sale in zucca. Hanno rimesso nel furgone le cesoie, e le zucchine sono rimaste al loro posto. Come pure i pomodorini che stanno cominciando a prendere colore.
Il pericolo, scampato ieri, potrebbe ripresentarsi se il Comune darà retta alle proteste di alcuni residenti che si sono presi il mal di pancia di sollecitare l'intervento dei vigili urbani. A una quota di milanesi persino un orticello ormai dà sui nervi. Per fortuna, ce ne sono altri che hanno apprezzato l'iniziativa verde dei giovani. Che, viste le ristrette dimensioni , non ha l' obiettivo di sfamare torme di conchettari.
E' una palestra per imparare i rudimenti dell'arte: quando piantare, quanto innaffiare, quali ortaggi resistono meglio nell'habitat metropolitano, come si tiene in mano una zappetta invece di un mouse (o una bottiglia di birra, ultimo nemico numero uno di Palazzo Marino).
Tutte cose che il signor Chen, originario delle campagne dello Zhejiang, non ha bisogno d'imparare. Il signor Chen ha avuto l'onore di un articolo sul Corriere della sera perchè tra l'asfalto e le auto posteggiate in via dell'Aprica ha ricavato tre orticelli da 10 metri quadrati l'uno. L'aria non si raccomanda per salubrità (li vicino c'è lo scalo merci Farini), però fagiolini e pomodori vengono su bene. Pure lì qualche malmostoso si lamenta: «Bisogna chiamare i vigili», «E' un'occupazione abusiva di suolo pubblico», «Vengono qui e credono di poter fare qual che vogliono».
Finora, in via dell'Aprica i vigili non si sono presentati e il signor Cheng continua tranquillo a zappettare, a innaffiare e a raccogliere.La piccineria delle proteste contro gli orti di strada è uno dei tanti sintomi del provincialismo di una Milano che si vorrebbe metropoli. Da un paio d'anni quotidiani e rotocalchi grondano di servizi e fotografie sulla «moda» degli orti urbani, delle terrazze dove coltivare erbe aromatiche, dei tetti trasformati in orti pensili.
L'orto di Michelle Obama alla Casa bianca è stata solo la ciliegina sulla torta. In Gran Bretagna è stata lanciata una vera e propria campagna che rinverdisce il «Dig for Victory» della seconda guerra mondiale, quando sotto le bombe gli inglesi riuscirono a produrre il 10% dei generi alimentari sfruttando ogni palmo di aiuole, parchi, terreni inutilizzati. La campagna sollecita le grandi proprietà fondiarie a devolvere gratuitamente lotti di terreno su cui impiantare orti urbani. A New York, e in tutte le grandi città degli States, coltivare un orto - spesso comunitario - fa tendenza. Alle ragioni salutiste e del chilometro zero la crisi economica ha aggiunto il vantaggio del risparmio. A Detroit, dove la crisi dura da più di dieci anni, vaste aree dismesse sono coltivate collettivamente a ortaggi e persino a mais. E in questo caso non si tratta di moda, ma di sopravvivenza.
Da "Il Manifesto" Terra Terra 22.07.2009