PELLICCE: SOFFERENZE MADE IN ITALY. LAV: IN LOMBARDIA, VENETO, EMILIA ROMAGNA E ABRUZZO E’ STRAGE DI 200 MILA ANIMALI TRA VISONI  E CINCILLA’. 70 MLN DI VITTIME ANIMALI IN TUTTO IL MONDO, VIDEO-DENUNCIA.

IL 10 E 11 DICEMBRE IN CENTINAIA DI PIAZZE D’ITALIA FIRMA LA PETIZIONE LAV PER OTTENERE UNA LEGGE CHE VIETI ALLEVAMENTO, CATTURA E UCCISIONE DI ANIMALI “DA PELLICCIA”.

A MONZA, TAVOLO LAV IN PIAZZA CARROBIOLO SABATO 10 DICEMBRE E IN PIAZZA SAN PAOLO  DOMENICA 11 DICEMBRE, DALLE 9,30 ALLE 18,30.

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Ottenere una legge nazionale che vieti l’allevamento, la cattura e l’uccisione di animali per la produzione di pellicce: una drammatica realtà che in Italia interessa ancora circa 200.000 animali tra visoni e cincillà. Questa la principale finalità della nuova campagna antipellicce della LAV (www.lav.it) che  sabato 10 e domenica 11 dicembre porterà i suoi attivisti in centinaia di piazze d’Italia per raccogliere firme a sostegno di questa proposta. A Monza la LAV sarà presente in piazza Carrobiolo il giorno 10 dicembre e in piazza San Paolo il giorno 11 dicembre, dalle 9,30 alle 18,30. 

La campagna antipellicce della LAV corre anche sul web attraverso il sito dedicato www.nonlosapevo.com, aggiornato con nuovi filmati, informazioni e nella grafica.

Anni di campagne antipellicce hanno portato alla chiusura degli allevamenti di volpi in Italia (non più attivi dalla fine degli anni ’80), ma qui si allevano ancora visoni e risulta attivo anche un allevamento di cincillà. Questi allevamenti sono dislocati in Lombardia (province di Cremona, Mantova), Veneto (province di Padova, Vicenza), Emilia Romagna (Ferrara, Forlì, Modena) e Abruzzo (L’Aquila).

In Italia l’allevamento di animali per la produzione di pellicce non ha mai rappresentato un’attività di particolare rilevanza economica e negli ultimi 40 anni ha registrato un continuo e inesorabile trend negativo: nel 1988 erano attivi 170 allevamenti con circa 500 mila animali; nel 2003 si sono ridotti a 50, con circa 200.000 animali; nel 2011 sono ufficialmente dieci gli allevamenti ancora attivi. Un numero che potrebbe sembrare irrilevante rispetto ai 7.200 allevamenti presenti nel resto d’Europa, ma che in realtà comporta la sofferenza e la morte di almeno 200 mila animali all’anno.

L’85% della produzione mondiale di pellicce deriva da animali appositamente cresciuti e uccisi in allevamenti intensivi e dislocati prevalentemente in Europa (che detiene circa il 60% della produzione mondiale di pelli), ma anche in Cina (25% della produzione mondiale), Stati Uniti (poco più del 5%), Canada (4%), Russia (3%) e altri Paesi. Un business che condanna a morte almeno 70 milioni d’animali ogni anno. Le catture in natura rappresentano il 15% dell’approvvigionamento mondiale di pellicce, ovvero circa 10 milioni di animali.

L’allevamento in gabbia di questi animali risulta gravemente lesivo del loro benessere: a questa conclusione era giunto il Comitato Scientifico per la Salute e il Benessere Animale della Commissione Europea già nel 2001. Oggi, la conferma che nulla è cambiato, con nuovi filmati diffusi in Italia dalla LAV.

Negli allevamenti di visoni si registra una mortalità del 20% per i cuccioli e fino al 5% per gli adulti entro un anno di vita. Ulcera gastrica, problemi renali e caduta dei denti sono i problemi di salute più frequenti tra i visoni in allevamento, insieme a stereotipie comportamentali e automutilazioni causate dall’insofferenza alla prigionia che gli impedisce di correre, scavare, nascondersi, nuotare e stabilire delle naturali relazioni sociali.

In Italia migliaia di visoni sono costretti a vivere reclusi in gabbie che misurano 36x70cm e alte 45cm. Una vita fatta di privazioni e sofferenza, che inizia nel mese di maggio con le prime nascite dei cuccioli di visone e termina dopo 8 o 9 mesi, tra dicembre e gennaio, quando il cosiddetto “pelo invernale” è giunto a maturità e gli animali vengono così uccisi per asfissia tramite inalazione di monossido di carbonio in vere e proprie camere a gas. Non è possibile assicurare che questo sistema di uccisione provochi una morte indolore, in quanto l’abbattimento avviene per opera dell’allevatore, in allevamento, e non è possibile verificare che vengano adottati gli accorgimenti per risparmiare agli animali le sofferenze mentre sopraggiunge la morte (es. controllo della temperatura del gas immesso, la sua concentrazione, che determina il periodo di perdita di coscienza dell’animale).

I metodi di uccisioni ammessi, diversamente impiegati a seconda della specie e su decisione delle autorità sanitarie competenti, consistono in:

-             strumenti a funzionamento meccanico con penetrazione nel cervello;

-             iniezione della dose letale di una sostanza avente proprietà anestetiche;

-             elettrocuzione seguita da arresto cardiaco;

-             esposizione al monossido di carbonio;

-             esposizione al biossido di carbonio.

“Questi metodi di uccisione sembrano richiamare un film horror e invece sono la spietata realtà che gli acquirenti di pellicce cercano di ignorare - afferma Simone Pavesi, responsabile nazionale LAV campagna antipellicce - I capi con pellicce animali non sono, come è evidente, un bene necessario e in Italia l’uccisione di animali senza necessità è un reato, ai sensi dell’art.544-bis del codice penale; ciononostante migliaia di animali ‘da pelliccia’ sono uccisi senza necessità: una contraddizione inaccettabile che richiede opportuni provvedimenti da parte del Parlamento. Inoltre si tratta di un prodotto insostenibile sul piano etico ma anche ambientale perché un recente studio indica le pellicce come il tessuto più inquinante”.

 “Un capo d’abbigliamento con un piccolo inserto in vera pelliccia, la strategia più diffusa da parte delle imprese interessate a questo mercato, non è meno crudele di un capo interamente realizzato in pelliccia perché sarà sempre stato ottenuto attraverso le sofferenze e l’uccisione di uno o più animali -  afferma Martina Miscioscia, responsabile della LAV di Monza - Nata come bene prezioso e di lusso, fin dagli anni ’80 la pelliccia ha del tutto perso questo connotato, messo in discussione da continue campagne informative e di sensibilizzazione condotte dalla LAV e da altre organizzazioni. Le pellicce sono i resti di cadaveri animali che nulla hanno a che vedere con il buon gusto che dovrebbe caratterizzare le proposte moda.”

Diversi Paesi hanno già vietato questi allevamenti, direttamente o per il tramite di forti restrizioni che hanno poi portato alla naturale dismissione di questa attività: già dal 2000, la Gran Bretagna ha bandito gli allevamenti in quanto ritenuti crudeli; l’Olanda ha vietato l’allevamento delle volpi e dei cincillà (dal 1995); anche Austria (dal 2004), Danimarca (dal 2009, con bando vigente a partire dal 2024), Irlanda del Nord e Scozia (2003), Croazia (dal 2007, con bando vigente a partire dal 2017), e la Bosnia hanno vietato l’allevamento di animali per la produzione di pellicce.

Germania, Svizzera, Svezia e Bulgaria hanno adottato forti restrizioni per disincentivare questo allevamento.

Approfondimenti:

 °        Nuova campagna LAV:

www.nonlosapevo.com

 °        Impatto delle pellicce sul benessere animale

Rapporto “The welfare of animals kept for fur production” (Commissione UE, 2001):

http://ec.europa.eu/food/animal/welfare/international/out67_en.pdf

°        Impatto delle pellicce sull’ambiente

Rapporto “The environmental impact of mink fur production” (LAV, 2011):

http://www.lav.it/index.php?id=1728

 

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