Comunicato stampa
Sembra facile ed è bello immaginare la Villa i Giardini e il Parco Reale di Monza come una, piccola, Versailles. D’accordo, noi non abbiamo la Galleria degli Specchi, il Trianon, etc ,etc
Però abbiamo un complesso monumentale che non avrebbe nulla da invidiare a Versailles. Cosa ci manca allora per aspirare a qualcosa di simile?
La volontà di seguire quella strada invece che quella della deresponsabilizzazione dell'amministrazione pubblica nei confronti del patrimonio culturale, che da museo di se stesso diventa "location di eventi" per lo più incompatibili con la sua dignità e la sua storia.
L'incontro che abbiamo avuto con il Direttore del Consorzio e le notizie apparse sulla stampa circa il progetto definitivo sulla Villa non attenuano le nostre preoccupazioni, anzi le accentuano. L’articolo 13 del Disciplinare di gestione della concessione indirizza chiaramente a considerare la Villa come un luogo di sfruttamento intensivo per il profitto di pochi a danno della fruibilità per tutti, fraintendendo volutamente il concetto di valorizzazione del bene paesistico e culturale contenuto nel Testo Unico dei Beni Culturali. Basterebbe l’esempio del Belvedere della Villa Reale, che da punto di raccordo ed elemento centrale del valore paesistico dell’intero complesso monumentale costituito da Villa Giardini e Parco Reale, è destinatoa diventare a ristorante di lusso per i pochi che potranno accedervi, contribuendo così ad accrescerne il degrado (fisico o di percezione) per colpa di uno sfruttamento ignorante e irresponsabile.
La giustificazione che mancano i soldi per mantenere i beni culturali non può valere: si pensi alle cifre abnormi spese per la nuova sede della Regione (ce n’era davvero bisogno?) o per la sede della provincia di Monza e Brianza: 11 milioni per un livello amministrativo come la provincia che i più considerano inutile e che, con buona pace di tutti, sembra destinato a venir soppresso. Il Codice dei Beni Culturali impone a tutti gli enti pubblici che costituiscono la Repubblica di contribuire alle spese per la conservazione del patrimonio culturale tutelato, a partire da quello di cui hanno diretta proprietà e gestione.
La “messa a bando” dei beni culturali così come si è fatto in relazione alla parte nobile della Villa Reale di Monza, non serve a un loro effettivo recupero né a fare in modo che il privato possa concorrere a salvare il nostro patrimonio culturale. Essa si traduce, infatti, in una alienazione del bene medesimo senza alcuna capacità (o volontà) di controllo da parte dell’amministrazione pubblica che abdica alle sue prerogative e non ottempera ai suoi doveri. Inoltre quella della messa a bando in project financing è una forma che può favorire le clientele e la corruzione ed è rischiosa anche per il futuro del bene perché si basa pressoché esclusivamente sul tornaconto che ne ricaverà il privato e, laddove questo non ci sia, può comportare l’abbandono, come è avvenuto in moltissimi casi documentati dalla stampa.
La forma di concorso del privato che promuoviamo – l’azionariato popolare diffuso – è diametralmente opposta: si basa su singoli progetti di recupero ai quali possano concorrere tutti (singoli e aziende) nella massima trasparenza, come atto di responsabilità verso il bene che si vuole salvare. È quanto si sta facendo da anni a Versailles con la campagna di adozione dei beni culturali, che ha permesso il restauro di tutte le statue dei Giardini e della Galleria degli specchi (12 milioni di euro). Le contropartite per il privato sono il ritorno di immagine e gli sgravi fiscali e su questo secondo aspetto pensiamo che si debba porre mano anche in Italia a progetti di legge in tal senso, che hanno mostrato tutta la loro utilità in Francia, ma anche negli Stati Uniti, etc.
A monte ci vuole l’assunzione di responsabilità da parte dell’amministrazione pubblica verso i beni che ha il dovere costituzionale di tutelare (art. 9 Cost.)
Monza, 22 febbraio 2012