EUGÈNE IONESCO IN
ANTEPRIMA NAZIONALE AL BINARIO 7
In scena lo spettacolo “Delirio a due” con Elena Bucci e Marco Sgrosso
Monza, 28 marzo 2013. Il Teatro Binario 7 propone in anteprima nazionale, il 6 e 7 aprile, il nuovo lavoro della compagnia “Le Belle Bandiere”. In occasione dei primi vent'anni di esistenza la compagnia gioca con un modello di relazione a due, sospeso tra le convenzioni del naturalismo borghese e un acrobatico equilibrismo sul filo di un assurdo che assomiglia sempre di più alla realtà.
In “Delirio a due” i protagonisti dell'irresistibile scherzo teatrale di Eugène Ionesco non hanno un nome proprio, ma sono soltanto Lui e Lei. Hanno bisogno di verificare continuamente il loro legame, ma non trovano altra via che la colpevolizzazione dell’altro, e questo anche per quanto riguarda i misteri della vita.
Il dolore, la morte, il tradimento, ogni cosa che non si voglia o non si sappia accettare, ecco, è sempre colpa di Lui o di Lei. Lui e lei sono avatar che si mettono in difficoltà l’un l’altro con stratagemmi sciocchi, come spegnere la luce, cambiare di posto i mobili, confondere le informazioni. Mentono e rivelano, per ingannare angoscia e tempo. Attraverso questo meccanismo, entrambi sono chiusi in un eterno presente, in una navicella di sicura e riconoscibile inconsapevolezza che li traghetta attraverso l’esistenza. Soltanto i crolli e le esplosioni che sentiamo da fuori, pur sfiorando il grottesco, ci fanno presagire l’esistenza del tempo e della storia e il possibile frantumarsi del mondo occidentale che Ionesco profeticamente disegna in preda ad un terrorismo allo stesso tempo ovvio e misterioso.
I ridicoli battibecchi di Lui e Lei sono accompagnati dal controcanto ossessivo di una guerra civile che infiamma al di fuori del nido protetto dove si consuma la vacua esistenza degli amanti, impermeabili alle bombe che esplodono, alle sparatorie e alle stragi che riecheggiano nella via, alle pareti e ai soffitti che crollano. E questo esterno negato rende tragicomico, e a tratti tenero, un dialogo intriso di ripetizioni rituali e non sensi, sorta di meccanismo inceppato che continua a girare a vuoto. Le parole diventano suono puro in un gioco di assonanze, rime sghembe, fonemi ingoiati o masticati, scherzi irriverenti, accostamenti arditi.
Il palcoscenico è disseminato di trappole e di percorsi cifrati, come se si fosse dentro un gioco di ruolo che si rivela poi fin troppo reale. Lui e lei sono avatar che si mettono in difficoltà l’un l’altro con stratagemmi sciocchi, come spegnere la luce, cambiare di posto i mobili, confondere le informazioni. Mentono e rivelano, per ingannare angoscia e tempo.
In realtà ci raccontano della paura della solitudine, del bisogno di qualcuno che attesti la loro esistenza, dell'irresistibile forza comica nascosta dentro le piccole tragedie quotidiane che spesso, nella loro apparente gravità, ci impediscono di allargare lo sguardo. Ci appaiono come autistici automi alla ricerca di un perché della vita, di un senso assoluto, perennemente in attesa di una felicità rimandata, provano la reciproca resistenza, per vedere se possono davvero fidarsi della permanenza dell’altro finché morte non li separi.