SABATO 21 MARZO 2015 ORE 15:30, PRESSO IL CIRCOLO LIBERTA' VIALE LIBERTA' 33 MONZA,
“Morire di petrolio”: in un libro la vittoria dei cittadini contro la Tamoil a Cremona
Grazie all'"azione popolare", un cittadino si è costituito in giudizio contro il colosso petrolifero, poi condannato in primo grado per disastro ambientale. E il Comune ha incassato un milione di provvisionale. "Negli anni Novanta la città condizionata da Gheddafi"
La storia di un piccolo gruppo di cittadini – militanti radicali – supportati da due avvocati, un geologo e un deputato, che per oltre un quarto di secolo si è battuto per la salute delle persone e dell’ambiente, in una delle più belle aree verdi appoggiate sul Po intorno a Cremona, è tutta in “Morire di petrolio. Trent’anni di lotte radicali a Cremona contro l’inquinamento ambientale, economico, sociale e politico”. Un libro (Reality Book, pp. 201, euro 12), di prossima uscita, che racconta la battaglia di un manipolo di attivisti che ha portato alla condanna in primo grado dei vertici della Tamoil, raffineria responsabile di “disastro doloso di natura ambientale” – si legge nel dispositivo della sentenza arrivata lo scorso luglio – senza precedenti. Un pronunciamento giunto dopo sette anni di indagini, 40 udienze, perizie, controperizie, analisi, campionamenti, sopralluoghi.
“La durata è la forma delle cose”, dice l’autore del saggio, Sergio Ravelli, ispirandosi a una frase del filosofo Bergson. “Perchè un tale risultato è stato possibile solo grazie ad una lotta fatta di professionalità, rigore morale, rischio personale(con esposizione all’isolamento) e in maniera disinteressata senza alcun tornaconto. Tenacia che ci ha portato a trovare quel pertugio che ha portato al rinvio al giudizio”. E quindi all’istruzione del processo, da parte del giudice Guido Salvini, terminato, oltre che con la condanna dei dirigenti, con l’ordine di pagamento, da parte dell’azienda, di una provvisionale immediatamente esecutiva di un milione di euro al Comune di Cremona. La più alta mai concessa in Italia in casi simili, e pari solo al risarcimentoThyssen. Ma in quel caso l’amministrazione comunale si era costituita parte civile, a Cremona la precedente giunta non lo aveva fatto, accontentandosi di un accordo stragiudiziale con Tamoil: in sintesi, la rinuncia a costituirsi in cambio della bonifica dell’area). Somma che arriva così grazie all’azione popolare, istituto utilizzato di rado (4 volte in 12 anni) seppur previsto dal Testo Unico sull’ordinamento degli enti locali, avanzata da un semplice cittadino che si costituito parte civile nel processo agendo per conto del Comune. Il caso Cremona fa scuola, in giurisprudenza, anche perché per la prima volta un giudice ha esteso la fattispecie di reato previsto dall’articolo 434 del codice penale, nella parte in cui si legge “altri disastri dolosi”, all’ambiente.
Quasi mai utilizzata, l’azione popolare permette a un cittadino di costitursi parte civile al posto del Comune Pubblicità.
Ecco perché, partito come racconto, il volume si è trasformato in manuale tecnico-giuridico per la “scienza e la coscienza civica e ambientalista”, da poter essere utilizzato in tutta Italia ove esistono “bombe ecologiche come la Tamoil”. Un insediamento produttivo attualmente dismesso – ora è un deposito – e in attesa di una bonifica che secondo molti mai verrà portata a compimento.
Ma se oggi rappresenta un simulacro di se stesso, il polo produttivo ebbe un peso decisivo come terminale del potere di Gheddafi, proprietario della raffineria. Il capitolo “Tamoil agente di Gheddafi” ci riporta agli anni Novanta. E nel contesto di una piccola città, dove l’establishment politico-istituzionale locale era in una condizione di totale subalternità al rais, così come l’Italia lo era sul piano energetico nei confronti della Libia. In quegli anni le sanzioni dell’Onu che gravavano sul regime libico, a seguito dei fatti di Lockerbie, comportavano il blocco petrolifero, aggirato però in quanto mai si sono arrestati i flussi di denaro (Italia-Libia) e di petrolio (Libia-Italia), vuoi per esigenze occupazionali (360 i dipendenti della raffineria, più altri 1.000 se consideriamo l’indotto), vuoi per il prezzo conveniente al quale veniva acquistato il combustibile.
Negli anni Novanta, l’establishment della città era in condizione di totale subalternità a Gheddafi
Una ricostruzione giornalistica del 1997 narra del viaggio in Libia di una delegazione di dirigenti Tamoil e di amministratori locali. “Per superare l’embargo decretato dall’Onu – si legge nell’articolo – il gruppo cremonese raggiungerà Tripoli attraverso la Tunisia”. Nessuno, poi, è in grado a quantificare l’ammontare delle sponsorizzazioni che grazie a Tamoil sono piovute sulla città (cultura, sport, associazioni; ma anche il patrocinio a numerose manifestazioni).
Dopo la sconfitta di Tamoil in prima grado, un dilemma si apre tuttavia in città. Che farà, a questo punto, il Comune, una volta depositate le motivazione della sentenza e resa esecutiva la provvisionale di un milione di euro? Si accontenterà dei soldi? Si metterà d’accordo per una somma maggiore e rinuncerà all’appello? E farà lo stesso sul versante civile, per il risarcimento completo del danno? A oggi, una risposta ancora non c’è.
Cremona, i manager della Tamoil condannati perdisastroambientale
La società stessa aveva denunciato la situazione di inquinamento "storico" nel 2001, ma per il giudici le pratiche inquinanti nella raffineria vicina al Po, ora semplice deposito, erano continuate anche in tempi recenti e persino successivamente alla denuncia. Condanne da uno a sei anni per cinque manager
Disastro ambientale: ora lo dice anche una sentenza. Sono stati condannati quattro dei cinque dirigenti Tamoil a processo a Cremona per l’inquinamento dei terreni. Dopo sette anni di indagini e quaranta udienze il gup Guido Salvini ha inflitto la pena più pesante, per disastro ambientale doloso, ai manager Enrico Gilberti e Giuliano Guerrino Billi. Sei anni più sei mesi di arresto per l’inquinamento del sottosuolo e 9mila euro di ammenda per il primo, tre anni per Billi. Il libico Mohamed Saleh Abulaiha e Pierluigi Colombo sono stati invece condannati per disastro ambientale colposo. La pena stabilita è di un anno e otto mesi, più quattro mesi di arresto e 6mila euro di ammenda. Assolto invece il quinto imputato, il francese Ness Yammine, per non aver commesso il fatto: era arrivato infatti a Cremona solo nel 2007 e non era a conoscenza della situazione precedente.
In una requisitoria fiume che aveva ricostruito tutte le fasi della vicenda, il pm Fabio Saponara aveva richiesto per i manager condanne da sei a tredici anni di reclusione per il reato di avvelenamento delle acque, che il gup ha poi ridefinito in disastro colposo.
La vicenda era iniziata nel 2001, quando Tamoil si era “autodenunciata” come sito inquinato. In questo modo la compagnia libica si era avvalsa della normativa che consentiva la non punibilità per gli inquinamenti precedenti, ma obbligava a informare Comune, Regione e Arpa della reale situazione di inquinamento. La compagnia avrebbe dovuto anche attivarsi per ripulire le falde dei terreni inquinati. Tamoil era all’epoca proprietaria della raffineria che oggi è soltanto un deposito, situato a pochi passi dall’argine del Po e a meno di due km dal centro della città. L’inquinamento aveva investito non solo la zona del sito industriale ma anche i terreni esterni vicino all’argine del fiume in cui si trovano affollati circoli ricreativi di Cremona con piscine e attrezzature sportive.
La perizia di 368 pagine disposta dal giudice aveva smontato la ricostruzione della difesa, secondo la quale l’inquinamento era “storico” e precedente alle attività della raffineria: i tre periti hanno stabilito che l’inquinamento è “riconducibile in modo univoco ai processi chimici svolti negli anni nello stabilimento petrolchimico”. Tra l’altro la perizia ha rilevato una forte presenza di MTBE, l’additivo usato per la benzina verde solo dalla prima metà degli anni 80.
A partire dal 2007 sono stati estratti dal terreno e dalla falda acquifera enormi quantità di idrocarburi contenenti tra l’altro anche benzene. Dalla fine del 2008 al 2011 sono stati recuperati 1800 metri cubi di idrocarburi che galleggiavano sulla falda acquifera. I terreni della raffineria e a valle sono
ancora intrisi di queste sostanze.
Nel corso del giudizio abbreviato è stato infine scoperto che lo sversamento di idrocarburi era continuato anche dopo il 2001, data della “autodenuncia”, a causa delle pessime condizioni della rete fognaria della raffineria: in aula sono stati sentiti anche ex dirigenti ed ex dipendenti di Tamoil assieme a dipendenti di alcune ditte esterne che avevano parlato di rete fognaria “gruviera” all’origine dell’inquinamento, delle criticità strutturali delle condotte fognarie e di come l’azienda fosse consapevole di inquinare intervenendo però tardivamente sulle sue fogne colabrodo.
I risarcimenti saranno ora stabiliti in un separato processo civile, ma il giudice Salvini ha intanto riconosciuto una provvisionale per i soci delle società canottieri, di Legambiente e del Dopolavoro ferroviario.
E per il Comune di Cremona arriva un regalo inaspettato: l’amministrazione, tra molte polemiche, aveva deciso di non costituirsi come parte civile, nonostante l’invito del giudice. Il Comune aveva sostenuto di non essere stato danneggiato dalla compagnia libica. Per questo lo aveva fatto un comune cittadino,Gino Ruggeri, tesoriere dell’Associazione Welby di Cremona, utilizzando l’articolo 9 del Testo unico sugli Enti locali che prevede la sostituzione da parte di un cittadino elettore. Il risarcimento di un milione di euro a titolo di provvisionale riconosciuto dal giudice in suo favore lo incasserà però, malgrado l’inerzia, del Comune.