Biennale di Monza, polemica per l’opera con teste di capra mozzate.

Il dissenso e il dubbio di ENPA.

Passi l’estro artistico, passi l’ispirazione, passi anche il voler fare attraverso la propria opera una denuncia sociale, ma a tutto c’è un limite.

Questo limite è stato ampiamente superato da Raffaele Greco, giovane artista siciliano la cui installazione della Biennale di Monza è stata inaugurata sabato mattina, 16 novembre, in Piazza San Paolo alla presenza del sindaco Dario Allevi e dell’assessore alla Cultura, Massimiliano Longo.

La sua opera “Quiescenza”, infatti, per quanto realizzata con il meritorio intento di proporre una riflessione intorno al linguaggio intimidatorio della mafia, da null’altro era costituita se non da un ammasso di pietre con sopra, sanguinanti e ricoperte di mosche, tre teste mozzate di ovini, visibili a tutti.

Moltissimi hanno manifestato il loro disappunto e disgusto per la macabra messinscena sia direttamente in Piazza San Paolo sia sulle piazze virtuali dei social network e critiche che non sono mancate anche sul profilo Facebook della stessa Biennale.

Se voleva suscitare clamore e notorietà, l’artista è riuscito nell’impresa, ma ENPA, che non intende certamente dare un giudizio critico, esprime tutto il proprio dissenso e disgusto per la scelta di veicolare un ottimo messaggio nel peggiore dei modi.

Oltre a ciò ci sorge un dubbio: quegli animali sono stati macellati per fornire materia prima a questa "opera d'arte"?

Gli effetti sui più piccoli

Alcuni bambini si sono spaventati e qualcuno è addirittura scoppiato a piangere. E, in effetti, spiega Elena Selvagno, volontaria ENPA e laureata in psicologia clinica, «non sorprende che aver assistito a una simile scena abbia suscitato reazioni di choc negli adulti ma soprattutto nei bambini più piccoli, che si sono ritrovati non solo esposti loro malgrado alla visione di una scena inappropriata per la loro ancora acerba sensibilità, ma, immaginiamo - prosegue la Selvagno - hanno forse dovuto subire anche lo smarrimento e il disgusto dei propri genitori, che non hanno avuto il tempo di prepararli né forse rispondere in modo funzionale agli interrogativi e alle paure che la visione può aver suscitato.»