Il bando di gara per il restauro della Villa Reale riceve critiche dal Garante per gli appalti ed il ricorso di Legambiente
La lunga vicenda del restauro della Villa Reale da pochi giorni si è arricchito di nuovi episodi, che dimostrano gravi carenze nel bando di gara, indetto nel 2010 da Infrastrutture Lombarde (società della Regione) ed assegnato in luglio di quest’anno ad Italiana Costruzioni.
Il primo episodio riguarda il Garante degli appalti. Autorità di vigilanza con poteri consultivi, ma non meno autorevole, è stata interpellata dal comitato “La Villa Reale è anche mia” per un controllo di legittimità sul bando di gara. La risposta è arrivata in settembre, e conferma la presenza nel bando di gara di due rilevanti errori:
1. Il bando non contiene il vincolo, per i partecipanti, di avere le necessarie qualifiche tecniche e professionali per il restauro di un bene storico. Tecnicamente si tratta della “attestazione SOA per la categoria OS2”
La mancanza di questo vincolo era già stata segnalata durante il dibattito in Consiglio Comunale dal consigliere Alfredo Viganò, senza avere risposta dal direttore di Infrastrutture Lombarde, appositamente invitato per illustrare il bando di gara. Non si tratta di un dettaglio: un restauro come quello della Villa non può essere realizzato da chiunque. Forse è per questo che spesso, nel bando si parla di ristrutturazione, e non di restauro, come se si trattasse di un condominio qualsiasi.
2. Il compenso che Infrastrutture Lombarde si e' riservato e' superiore al massimo consentito. In sintesi, il Garante sostiene che per tale attività si può percepire un compenso non superiore al 2% dell'importo, mentre Infrastrutture Lombarde si e' riservata ben il 6.5%, pari ad un milione di Euro in più.
Milione che ora, si spera, potrà essere recuperato per il restauro della Villa. Se ne deduce che non solo Infrastrutture Lombarde ha indetto un bando di gara che contiene un grave errore, ma che si è fatta pagare molto più del dovuto. Cominciamo bene.
Ma l’episodio più importante è quello annunciato lunedì 26 settembre: il ricorso al TAR contro il bando di gara, presentato da Legambiente, in accordo con il comitato “La Villa Reale è anche mia” che per motivi tecnici non lo ha potuto firmare ma appoggia pienamente l’iniziativa.
Il ricorso, in modo responsabile, per ora non chiede la sospensiva, che rischierebbe di fermare il restauro. Si concentra infatti sulle modalità di gestione, successive al completamento dei lavori. Secondo i ricorrenti le modalità con cui la Villa Reale verrà gestita dal privato, violano i principi e le norme in materia di fruizione pubblica dettati dal Codice dei Beni Culturali, e non sono neppure compatibili con il carattere storico e artistico del bene.
Secondo il ricorso le funzioni museali, che dovrebbero avere rilevanza principale, assumono carattere solo residuale ed eventuale, inserite all’interno di un vasto elenco di funzioni tra di loro molto eterogenee e prevalentemente di natura commerciale.
Queste ultime, ammesse dall’art. 13 della concessione, violano infatti l’articolo 20 del Codice dei Beni Culturali, che vieta di adibire i beni culturali ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico e alla fruizione pubblica del bene. L’apertura al pubblico finisce per essere legata non al bene culturale in sé, bensì all’evento commerciale: il tutto in spregio alla legge che, invece, prevede che venga assicurato il diritto del pubblico di accedere -gratuitamente o pagando un biglietto- al complesso monumentale, al fine di godere del bene stesso.
Pericolosa risulta inoltre la possibilità del concessionario di sub-concedere l’insieme delle attività di gestione a terzi non selezionati tramite procedura pubblica e a discrezione del concessionario, con semplice clausola di gradimento.
Il contratto di concessione risulta, inoltre illegittimo, nella parte in cui subordina il potere del concessionario di adibire il bene ad ulteriori e non meglio precisate attività, alla semplice previa autorizzazione del concedente (autorizzazione che si intende accolta nel caso di mancata risposta nel termine di trenta giorni).Invocando questo meccanismo, il concessionario potrebbe, in concreto, arrivare a destinare tali spazi a funzioni residenziali o alberghiere, con grave pregiudizio per la fruizione pubblica e la stessa destinazione del bene.
Infine i ricorrenti sottolineano che la concessione ha una durata di 22 anni(2 anni di lavori e 20 anni di gestione) dalla sottoscrizione del disciplinare,mentre il Consorzio, soggetto concedente, ha durata ventennale e si assume, dunque, impegni, che eccedono tale arco temporale.
Paradossalmente, al Consorzio Villa Reale e Parco di Monza non risulta finora conferiti i beni oggetto del bando di gara, mancando un qualsiasi atto in tal senso.
Per ora, dopo l’annuncio del risocrso, solo Regione Lombardia ha risposto con un generico attacco ai ricorrenti, senza entrare nel merito delle contestazioni.
Ora la parola spetta al TAR.
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